Partner di Progetto

Partner di progetto


Museo della Reggia di Caserta


Ente dotato di autonomia speciale ai sensi del D.M. n. 44 del 23 gennaio 2016.  

La costruzione della Reggia ebbe inizio con la posa della prima pietra il 20 gennaio del 1752 e procedette alacremente sino al 1759, anno in cui Carlo di Borbone, morto il Re di Spagna, lasciò il regno di Napoli per raggiungere Madrid per assumere la corona di quel Regno. Dopo la partenza i lavori di costruzione del Palazzo nuovo, come veniva denominata all'epoca la Reggia, subirono un notevole rallentamento, cosicché, alla morte di Luigi Vanvitelli, nel 1773, essi erano ancora lungi dall'essere completati. Carlo Vanvitelli, figlio di Luigi, ed altri architetti portarono a compimento nel secolo successivo questa grandiosa residenza reale. Il Museo della Reggia di Caserta è il risultato di una serie di allestimenti che iniziano nei primi decenni del Novecento, e precisamente nel 1919, quando il Reale Palazzo viene staccato dal patrimonio della Corona di Casa Reale dei Savoia e diviene parte del patrimonio dello Stato d’Italia. La Reggia, con il parco annesso e l'Acquedotto Carolino sono uno dei siti Unesco presenti in regione Campania.


Museo e Real Bosco di Capodimonte


Ente dotato di autonomia speciale ai sensi del D.M. n. 44 del 23 gennaio 2016. Costruito da Carlo di Borbone, il palazzo nasce come luogo per le collezioni d'arte della famiglia mentre il bosco circostante diventa riserva di caccia. In quanto residenza reale, essa ha conosciuto tre dinastie, ognuna delle quali ha lasciato un segno: i Borbone, i sovrani francesi (Giuseppe Bonaparte e Gioacchino Murat) e i Savoia dopo l’Unità di Italia. Nel percorso del Museo si attraversano ambienti sfarzosi, come la Sala della Culla, il Salone delle Feste e luoghi privati come l’Alcova pompeiana. E poi ritratti di famiglia, oggetti d’arte e di arredo e prodotti di lusso delle manifatture borboniche quali porcellane, armi, sete e arazzi. Capodimonte è anche Museo. Tutto ha inizio con la Collezione Farnese, già famosa nel Cinquecento, che Carlo di Borbone eredita dalla madre e porta con sé a Napoli nel 1735, desiderando di sistemarla in questa reggia nella zona collinare della capitale del regno. Nel tempo, la collezione si arricchisce con le acquisizioni delle famiglie reali, con le opere provenienti da chiese e conventi napoletani, con importanti doni da parte di collezionisti privati. Tra Sette e Ottocento Capodimonte diviene tappa obbligata del Grand Tour d’Italia, durante il quale giovani intellettuali e aristocratici provenienti dai paesi europei visitavano la reggia per goderne le bellezze artistiche e naturali. Oggi, la realtà museale di Capodimonte, e una delle più importanti d’Italia ed è tra le mete più visitate del nostro paese. 


Palazzo Reale di Napoli


Ente dotato di autonomia speciale ai sensi del D.P.C.M. n. 169 del  2 dicembre 2019, entrato in vigore il 5 febbraio 2020. Il Palazzo Reale di Napoli fu fondato come palazzo del re di Spagna Filippo III d’Asburgo nell’anno 1600, per iniziativa del viceré Fernando Ruiz de Castro conte di Lemos e della viceregina Catarina Zuñiga y Sandoval. La sua collocazione urbanistica accanto al Palazzo Vicereale Vecchio, poi demolito, e ai giardini di Castel Nuovo continua la tradizionale posizione della residenza reale a Napoli al margine meridionale della città antica, con la facciata rivolta però verso ovest, dove si apre il grande spiazzo del Largo di Palazzo. L’architetto Domenico Fontana progettò una residenza civile di forme tardo rinascimentali con colonne e ornamenti classici in facciata, cortile centrale quadrato con portico a pian terreno e al primo piano loggia interna sui quattro lati. Quando Napoli nel 1734 divenne capitale di un regno autonomo con Carlo III di Borbone, il Palazzo fu ampliato sul versante del mare, con l’Appartamento del Maggiordomo Maggiore, poi verso il Vesuvio con l’Appartamento per i Reali Principi. Vennero perciò a formarsi altri due cortili, oltre a quello d’onore. Gli interni furono allestiti nel gusto tardo barocco con marmi preziosi e affreschi celebrativi, tra i quali le opere di Francesco De Mura e Domenico Antonio Vaccaro. Le ultime trasformazioni avvennero al tempo di Ferdinando Il Borbone, tra il 1838 e il 1858: dopo un incendio sviluppatosi nelle stanze della Regina Madre, l’architetto Gaetano Genovese fu incaricato di un restauro generale nel gusto neoclassico. Sede dei Principi di Piemonte dopo l’Unità d’Italia, fu ceduto al Demanio dello Stato da Vittorio Emanuele III di Savoia nel 1919 e destinato in gran parte a Biblioteca Nazionale, mentre l’ala più antica sul Cortile d’Onore, ricca di testimonianze storico-artistiche dal Seicento all’Ottocento, fu adibita a Museo dell'Appartamento di Etichetta.


Parco Archeologico dei Campi Flegrei


Ente dotato di autonomia speciale ai sensi del D.M. n. 44 del 23 gennaio 2016. Il Parco comprende i principali siti e monumenti archeologici del territorio flegreo, che costituisce un contesto singolare per storia, natura, paesaggio, caratterizzato da un’attività vulcanica che si manifesta in molteplici forme: bradisismo, vapori termali, sorgenti d’acqua, fumarole. Questo territorio ha avuto un ruolo centrale nella storia, dall’antichità classica sino a tempi recenti: nei Campi Flegrei sono ambientati alcuni dei più importanti miti antichi, la Gigantomachia, la Sibilla cumana, la porta degli Inferi nell’Averno, ed è teatro di avvenimenti storici di grande rilevanza. Qui sorge in età arcaica la prima colonia greca del Mediterraneo Occidentale, Cuma, e, in età romana, il più importante porto commerciale dell’Urbe, Puteoli, oltre alla fama ineguagliata di Baia, località prediletta per la villeggiatura della nobiltà romana. Il Parco Archeologico dei Campi Flegrei ha il compito di salvaguardare il patrimonio e contribuire alla valorizzazione dei tanti siti e monumenti che costellano il territorio, con un approccio integrato di salvaguardia e promozione. 

Al Parco afferiscono i seguenti siti archeologici: 

  1. Anfiteatro di Cuma - Bacoli (Napoli) 

  1. Anfiteatro di Liternum - Giugliano in Campania (Napoli) 

  1. Anfiteatro Flavio, Puteoli - Pozzuoli (Napoli) 

  1. Cento Camerelle, Bauli - Bacoli (Napoli) 

  1. Grotta della Dragonara, Misenum - Bacoli (Napoli) 

  1. Grotta di Cocceio - Pozzuoli (Napoli) 

  1. Ipogei del Fondo Caiazzo, settore della necropoli di Puteoli - Pozzuoli (Napoli) 

  1. Museo archeologico dei Campi Flegrei nel Castello di Baia - Bacoli (Napoli) 

  1. Necropoli c.d. di San Vito, settore della necropoli di Puteoli -Pozzuoli (Napoli) 

  1. Necropoli di Cappella, Misenum - Monte di Procida (Napoli) 

  1. Necropoli di via Celle, settore della necropoli di Puteoli - Pozzuoli (Napoli) 

  1. Parco Archeologico delle Terme di Baia - Bacoli (Napoli) 

  1. Parco archeologico di Cuma - Pozzuoli (Napoli) 

  1. Parco archeologico di Liternum - Giugliano in Campania (Napoli) 

  1. Parco Archeologico Sommerso di Baia - Bacoli (Napoli) 

  1. Parco Monumentale di Baia - Bacoli (Napoli) 

  1. Piscina Mirabilis, Misenum - Bacoli (Napoli) 

  1. Sacello degli Augustali, Misenum - Bacoli (Napoli) 

  1. Stadio di Antonino Pio, Puteoli - Pozzuoli (Napoli) 

  1. Teatro romano, Misenum - Bacoli (Napoli) 

  1. Tempio c.d. di Diana, Baia - Bacoli (Napoli) 

  1. Tempio c.d. di Venere, Baia - Bacoli (Napoli) 

  1. Tempio c.d. di Apollo, lago d’Averno - Pozzuoli (Napoli) 

  1. Tempio c.d. di Serapide, Puteoli - Pozzuoli (Napoli) 

  1. Tomba c.d. di Agrippina, Bauli - Bacoli (Napoli) 

  1. Villa del Torchio a Quarto - Napoli 


Parco Archeologico di Ercolano


Ente dotato di autonomia speciale ai sensi del D.M. n. 44 del 23 gennaio 2016.  

La città romana di Ercolano, distrutta e sepolta dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., fu riportata alle cronache della storia nel Settecento grazie alle esplorazioni borboniche. Col tempo il ricordo dell’ubicazione dell’antica città romana si perse, e solo nel 1710 un contadino scavando un pozzo per irrigare il proprio orto, recuperò molti frammenti di marmo pregiati, che solo più tardi si compresero appartenere al teatro della città antica. Informato della scoperta il nobile Emanuel-Maurice di Lorena, Principe di Elboeuf, acquistò il pozzo e per nove mesi condusse nell’area scavi per cunicoli a proprie spese, grazie ai quali recuperò nove statue con cui omaggiò i potenti del tempo. Ma solo nel 1738, per volere del re Carlo III di Borbone, iniziarono sistematiche esplorazioni per cunicoli del sito antico. Nel 1828 sotto il regno di Francesco I di Borbone furono intrapresi per la prima volta gli scavi “a cielo aperto”, eseguiti fino al 1875. Dopo una lunghissima interruzione, i lavori furono ripresi nel 1927 da Amedeo Maiuri, che li condusse fino al 1958, ma già nel 1942 quasi tutta l’area che costituisce l’attuale parco archeologico era stata riportata alla luce e contestualmente restaurata e coperta. Fra il 1960 ed il 1969 ulteriori lavori sono stati condotti nel settore settentrionale dell’Insula VI e lungo il decumano massimo, mentre negli ultimi venti anni è stata esplorata l’antica spiaggia, coincidente con la fascia più meridionale dell’area archeologica. In questa zona sono stati riportati alla luce dodici ambienti con ingresso ad arco (i fornici), ricoveri per barche e magazzini, ove avevano cercato riparo molti Ercolanesi in fuga dall’eruzione. Negli anni 1996-1998 sono stati eseguiti gli scavi a cielo aperto nell’area convenzionalmente denominata “Scavi Nuovi”, collegata al parco archeologico propriamente detto mediante una stretta e profonda trincea che, innestandosi all’altezza della Casa di Aristide, prosegue con una galleria al di sotto del moderno Vico Mare. Sono stati realizzati numerosi progetti scientifici e  di ricerca archeologica nell’ambito del progetto interistituzionale Herculaneum Conservation Project, condotto grazie ai cofinanziamenti del Packard Humanities Institute, in collaborazione con la British School at Rome ed altre Università italiane e straniere. 


Parco Archeologico di Paestum e Velia


ll Parco Archeologico di Paestum e Velia, iscritto dal 1998 nella lista del patrimonio mondiale UNESCO, è un ente dotato di autonomia speciale ai sensi del D.M. n. 44 del 23 gennaio 2016. Attraverso scavi, ricerche, mostre, restauri e laboratori di didattica, si impegna a tutelare, valorizzare e comunicare ai cittadini di tutto il mondo la storia millenaria di due importanti poleis magno-greche. Il Parco ha competenza territoriale sul Museo Archeologico Nazionale e sull’area archeologica di Paestum, sul Museo Narrante di Hera Argiva alla foce del Sele, sull’area dell’ex stabilimento della Cirio, sulle mura di cinta e sulle altre aree archeologiche conferite e sull’area archeologica di Velia. Il sito di Paestum è noto fin dal ‘700 per la straordinaria bellezza dei tre templi dorici attorno ai quali c’è una città fondata da un gruppo di coloni greci provenienti da Sibari, in Calabria, intorno al 600 a.C. e che, nei secoli, vide svilupparsi e intrecciarsi tre importanti culture: greca, lucana e romana. Nell’area archeologica, si possono ammirare le strutture di epoca greca, tra cui i templi, l’agorà, l’eklesiasterion e la tomba dell’eroe fondatore della città; successivamente, quali segni del passato romano della città, il foro con altri templi e le tabernae, la basilica, l’anfiteatro, il macellum, il comitium e numerose abitazioni. In età tardo-antica, Paestum subì un progressivo declino, fino ad essere abbandonata e occupata da aree paludose e malsane.
Poco più a Sud, un’altra città raccolse l’eredità della Magna Graecia: si tratta di Velia, patria della scuola eleatica di Parmenide e Zenone, il cui pensiero ha segnato profondamente lo sviluppo della filosofia antica e della cultura mediterranea. La fondazione di questa polis risale circa al 540 a.C., quando gli abitanti di Focea, sulle coste occidentali dell’attuale Turchia, furono costretti a lasciare la propria madrepatria perché assediati dai Persiani. Dopo un lungo e travagliato viaggio nel Mediterraneo, all’indomani della battaglia di Alalia che li vide affrontare una coalizione di Etruschi e Cartaginesi, gli esuli fondarono la città di Elea, Velia in età romana. L’abitato antico occupa un’acropoli rocciosa e i retrostanti pendii collinari. Protetto da un ampio circuito di mura, lo spazio urbano si articola in tre quartieri: l’acropoli e i due quartieri della “città bassa”. La particolare conformazione del territorio velino ha reso necessario mettere in comunicazione tali quartieri con un vallone che scavalca il crinale costituendo la principale strada di collegamento della città antica. La strada conduce a una gola monumentalizzata dalla costruzione della straordinaria Porta Rosa, un arco costruito in blocchi di arenaria risalente alla fine del IV secolo a.C., nonché uno dei monumenti più noti di Velia. 


Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per il Comune di Napoli


L’Ente, istituito nella sua attuale organizzazione con il DPCM 171/2014 e il DM 44/206, si occupa della tutela del patrimonio archeologico, architettonico, artistico e paesaggistico della città di Napoli. Nei propri archivi conserva sia la documentazione prodotta negli iter autorizzativi di interventi sottoposti al Codice dei Beni Culturali, che la documentazione di interventi condotti direttamente su beni culturali, così come il materiale documentale (disegni, fotografie, elaborati, schede) frutto dell’attività di catalogazione e valorizzazione del patrimonio culturale. Tali archivi conservano materiale a partire dalla fine dell’800 e pertinente a diverse provincie della Campania, in relazione all’organizzazione territoriale dell’Ufficio nel corso delle diverse riforme. 

La Soprintendenza, tra i vari compiti, svolge:  

  1. le funzioni di catalogazione e tutela nell’ambito del territorio di competenza, sulla base delle indicazioni e dei programmi definiti dalla Direzione generale Archeologia, belle arti e paesaggio;  

  1. assicura altresì, raccordandosi con la Soprintendenza nazionale per il patrimonio culturale subacqueo, la tutela del patrimonio culturale subacqueo;  

  1. autorizza l’esecuzione di opere e lavori di qualunque genere sui beni culturali, fatta eccezione per quelli mobili assegnati alle direzioni regionali e agli istituti dotati di autonomia speciale;  

  1. dispone l'occupazione temporanea di immobili per l’esecuzione, con le modalità ed entro i limiti previsti per la conduzione dei lavori in economia, di ricerche e scavi archeologici o di opere dirette al ritrovamento di beni culturali;  

  1. partecipa ed esprime pareri nelle materie di sua competenza nelle conferenze di servizi;  

  1. assicura la tutela del decoro dei beni culturali secondo le disposizioni del Codice, e in particolare gli articoli 45, 49 e 52 del Codice;  

  1. amministra e controlla i beni datigli in consegna ed esegue sugli stessi, con le modalità ed entro i limiti previsti per la conduzione dei lavori in economia, anche i relativi interventi conservativi;  

  1. svolge attività di ricerca sui beni culturali e paesaggistici, i cui risultati rende pubblici, anche in via telematica;  

  1. promuove, anche in collaborazione con le Regioni, le Università e le istituzioni culturali e di ricerca, l’organizzazione di studi, ricerche, iniziative culturali e di formazione in materia di patrimonio culturale; 

  1. istruisce e propone alla competente Commissione regionale per il patrimonio culturale i provvedimenti di verifica o di dichiarazione dell'interesse culturale, le prescrizioni di tutela indiretta, nonché le dichiarazioni di notevole interesse pubblico paesaggistico ovvero le integrazioni del loro contenuto. 


Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per le Province di Caserta e Benevento


La Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Benevento e Caserta, riformata con D.M. n. 44 del 23 gennaio 2016, si occupa della tutela del patrimonio archeologico, architettonico, artistico e paesaggistico delle due province e conserva gli archivi di particolare interesse poiché frutto della documentazione prodotta dal costante esercizio della tutela dei beni notificati e di tutti i procedimenti afferenti. È l’ente preposto al rilascio delle autorizzazioni previste per legge in materia di paesaggio e di interventi sui beni culturali pubblici e privati sottoposti a vincolo di tutela. L’ente svolge anche una importante attività di valorizzazione dei beni del territorio con l’organizzazione di mostre, convegni, pubblicazioni scientifiche. 

La Soprintendenza, tra i vari compiti, svolge:  

  1. le funzioni di catalogazione e tutela nell’ambito del territorio di competenza, sulla base delle indicazioni e dei programmi definiti dalla Direzione generale Archeologia, belle arti e paesaggio;  

  1. assicura, raccordandosi con la Soprintendenza nazionale per il patrimonio culturale subacqueo, la tutela del patrimonio culturale subacqueo;  

  1. autorizza l’esecuzione di opere e lavori di qualunque genere sui beni culturali, fatta eccezione per quelli mobili assegnati alle direzioni regionali e agli istituti dotati di autonomia speciale;  

  1. dispone l’occupazione temporanea di immobili per l’esecuzione, con le modalità ed entro i limiti previsti per la conduzione dei lavori in economia, di ricerche e scavi archeologici o di opere dirette al ritrovamento di beni culturali;  

  1. partecipa ed esprime pareri nelle materie di sua competenza nelle conferenze di servizi;  

  1. assicura la tutela del decoro dei beni culturali secondo le disposizioni del Codice, e in particolare gli articoli 45, 49 e 52 del Codice;  

  1. amministra e controlla i beni datigli in consegna ed esegue sugli stessi, con le modalità ed entro i limiti previsti per la conduzione dei lavori in economia, anche i relativi interventi conservativi;  

  1. svolge attività di ricerca sui beni culturali e paesaggistici, i cui risultati rende pubblici, anche in via telematica;  

  1. promuove, anche in collaborazione con le Regioni, le Università e le istituzioni culturali e di ricerca, l’organizzazione di studi, ricerche, iniziative culturali e di formazione in materia di patrimonio culturale; 

  1. istruisce e propone alla competente Commissione regionale per il patrimonio culturale i provvedimenti di verifica o di dichiarazione dell'interesse culturale, le prescrizioni di tutela indiretta, nonché le dichiarazioni di notevole interesse pubblico paesaggistico ovvero le integrazioni del loro contenuto. 


Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per l’area metropolitana di Napoli


La Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per l'area metropolitana di Napoli, istituita nella sua attuale organizzazione con il DPCM 171/2014 e il DM 44/2016, si occupa della tutela del patrimonio archeologico, architettonico, artistico e paesaggistico dell’area metropolitana di Napoli e conserva archivi di particolare interesse, poiché frutto della documentazione prodotta dal costante esercizio della tutela dei beni notificati e di tutti i procedimenti afferenti. È l'ente preposto al rilascio delle autorizzazioni previste per legge in materia di paesaggio e di interventi sui beni culturali pubblici e privati sottoposti a vincolo di tutela.  

La Soprintendenza, tra i vari compiti, svolge:  

  1. le funzioni di catalogazione e tutela nell’ambito del territorio di competenza, sulla base delle indicazioni e dei programmi definiti dalla Direzione generale Archeologia, belle arti e paesaggio;  

  1. assicura altresì, raccordandosi con la Soprintendenza nazionale per il patrimonio culturale subacqueo, la tutela del patrimonio culturale subacqueo;  

  1. autorizza l’esecuzione di opere e lavori di qualunque genere sui beni culturali, fatta eccezione per quelli mobili assegnati alle direzioni regionali e agli istituti dotati di autonomia speciale;  

  1. dispone l'occupazione temporanea di immobili per l’esecuzione, con le modalità ed entro i limiti previsti per la conduzione dei lavori in economia, di ricerche e scavi archeologici o di opere dirette al ritrovamento di beni culturali;  

  1. partecipa ed esprime pareri nelle materie di sua competenza nelle conferenze di servizi;  

  1. assicura la tutela del decoro dei beni culturali secondo le disposizioni del Codice, e in particolare gli articoli 45, 49 e 52 del Codice;  

  1. amministra e controlla i beni datigli in consegna ed esegue sugli stessi, con le modalità ed entro i limiti previsti per la conduzione dei lavori in economia, anche i relativi interventi conservativi;  

  1. svolge attività di ricerca sui beni culturali e paesaggistici, i cui risultati rende pubblici, anche in via telematica;  

  1. promuove, anche in collaborazione con le Regioni, le Università e le istituzioni culturali e di ricerca, l’organizzazione di studi, ricerche, iniziative culturali e di formazione in materia di patrimonio culturale; 

  1. istruisce e propone alla competente Commissione regionale per il patrimonio culturale i provvedimenti di verifica o di dichiarazione dell'interesse culturale, le prescrizioni di tutela indiretta, nonché le dichiarazioni di notevole interesse pubblico paesaggistico ovvero le integrazioni del loro contenuto. 


Soprintendenza Archeologica Belle Arti e Paesaggio per province di Salerno e Avellino


L’Ente, istituito nella sua attuale organizzazione con il DPCM 171/2014 e il DM 44/206, si occupa della tutela del patrimonio archeologico, architettonico, artistico e paesaggistico delle province di Salerno e Avellino. Nei propri archivi conserva sia la documentazione prodotta negli iter autorizzativi di interventi sottoposti al Codice dei Beni Culturali, che la documentazione di interventi condotti direttamente su beni culturali, oltre al materiale documentale (disegni, fotografie, elaborati, schede) frutto dell’attività di catalogazione e valorizzazione del patrimonio culturale. Tali archivi conservano materiale a partire dalla fine dell’800 e pertinente a diverse provincie della Campania, in relazione alla diversa organizzazione territoriale dell’Ufficio nel corso delle diverse riforme. 

La Soprintendenza, tra i vari compiti, svolge:  

  1. le funzioni di catalogazione e tutela nell’ambito del territorio di competenza, sulla base delle indicazioni e dei programmi definiti dalla Direzione generale Archeologia, belle arti e paesaggio;  

  1. assicura altresì, raccordandosi con la Soprintendenza nazionale per il patrimonio culturale subacqueo, la tutela del patrimonio culturale subacqueo;  

  1. autorizza l’esecuzione di opere e lavori di qualunque genere sui beni culturali, fatta eccezione per quelli mobili assegnati alle direzioni regionali e agli istituti dotati di autonomia speciale;  

  1. dispone l'occupazione temporanea di immobili per l’esecuzione, con le modalità ed entro i limiti previsti per la conduzione dei lavori in economia, di ricerche e scavi archeologici o di opere dirette al ritrovamento di beni culturali;  

  1. partecipa ed esprime pareri nelle materie di sua competenza nelle conferenze di servizi;  

  1. assicura la tutela del decoro dei beni culturali secondo le disposizioni del Codice, e in particolare gli articoli 45, 49 e 52 del Codice;  

  1. amministra e controlla i beni datigli in consegna ed esegue sugli stessi, con le modalità ed entro i limiti previsti per la conduzione dei lavori in economia, anche i relativi interventi conservativi;  

  1. svolge attività di ricerca sui beni culturali e paesaggistici, i cui risultati rende pubblici, anche in via telematica;  

  1. promuove, anche in collaborazione con le Regioni, le Università e le istituzioni culturali e di ricerca, l’organizzazione di studi, ricerche, iniziative culturali e di formazione in materia di patrimonio culturale; 

  1. istruisce e propone alla competente Commissione regionale per il patrimonio culturale i provvedimenti di verifica o di dichiarazione dell'interesse culturale, le prescrizioni di tutela indiretta, nonché le dichiarazioni di notevole interesse pubblico paesaggistico ovvero le integrazioni del loro contenuto. 


Soprintendenza archivistica e bibliografica della Campania


La Soprintendenza archivistica e bibliografica della Campania, organo periferico di livello dirigenziale non generale del Ministero della Cultura (MiC), trae origine dalla Soprintendenza Archivistica per le Province Napoletane, istituita dalla legge n. 2006 del 1939, con il compito di esercitare la vigilanza sugli archivi degli enti pubblici non statali e sugli archivi privati di notevole interesse storico esistenti nel Mezzogiorno d’Italia.
A seguito del DPR n. 1409 del 1963, nel quadro della nuova organizzazione regionale delle Soprintendenze archivistiche, in luogo di quelle già esistenti, che corrispondevano ai territori degli antichi Stati preunitari, la circoscrizione della Soprintendenza per le Province Napoletane fu ridotta al territorio campano e la denominazione dell’Istituto venne modificata in Soprintendenza Archivistica per la Campania.
I compiti della Soprintendenza sono definiti dal Codice dei beni culturali e del paesaggio (D.lgs. 22 gen. 2004, n. 42 e successivi aggiornamenti) e dal regolamento di organizzazione del Ministero (DPCM n. 169 del 2019). 
Il D.M. n. 44 del 23 gennaio 2016 ha conferito all’Istituto anche le funzioni in materia libraria, modificandone la denominazione in Soprintendenza archivistica e bibliografica.
La Soprintendenza provvede alla tutela e alla valorizzazione dei beni archivistici e librari nel territorio di competenza. Esercita compiti di vigilanza, tutela e valorizzazione nei confronti degli archivi degli enti pubblici e nei confronti degli archivi o singoli documenti di proprietà privata, dichiarati di notevole interesse storico.
Relativamente agli archivi, la Soprintendenza dipende funzionalmente dalla Direzione generale Archivi, mentre per le funzioni riguardanti i beni librari, dalla Direzione generale Biblioteche e Diritto d’Autore.

Attività:
Oggetto della digitalizzazione, al fine di agevolarne la consultazione, 43 registri di grande formato del XVIII e XIX secolo. Nello specifico, si tratta di 41 libri contabili della serie “Computisteria e gestione delle proprietà” relativi all’amministrazione del Marchesato del Vasto, del Ducato di Celenza e dello Stato di Guglionesi e di 2 cabrei, ovvero raccolte di mappe acquerellate e descrizioni delle proprietà e dei beni immobili, relativi al Ducato di Celenza.


Descrizione del bene oggetto dell’intervento:
L’archivio gentilizio d’Avalos è costituito da un corpus organico di documentazione conservato dalla famiglia per oltre mezzo millennio e creduto da tempo disperso, è stato recuperato dalla Soprintendenza archivistica e bibliografica della Campania alla fine del 2019 e depositato presso l’Archivio di Stato di Napoli. Alla messa in sicurezza è seguito, con fondi della Direzione Generale Archivi, un complesso progetto di riordino e inventariazione che ha portato alla redazione di un inventario analitico. Il materiale è stato oggetto anche di interventi conservativi. Il fondo è costituito da 120 metri lineari di scritture per un totale di 475 faldoni, a cui si aggiungono 1.202 pergamene, datate tra il 1257 e il 1883. Dalle carte emerge il ruolo fondamentale della famiglia d’Avalos nelle vicende storiche, amministrative, culturali e sociali dell’Italia meridionale e dell’intera penisola, a partire da Innico I e dai suoi due fratelli, Alfonso e Rodrigo, che seguirono a Napoli Alfonso V d’Aragona, incoronato re nel 1442. La fittissima rete di eredità e beni dotali, con nozze molto proficue, accrebbe l’estensione dei feudi, le cui vicende e fortune si trovano testimoniate fra le carte dell’Archivio e, in particolare, nei documenti riguardanti Napoli e territori limitrofi, i domini di Abruzzo e Molise e il Marchesato di Vasto e Pescara; i possedimenti in Puglia e Campania, coi Principati di Troia e Montesarchio, l’entroterra casertano e calabrese.  
 



Archivio Amelio-Santamaria


L’Archivio Amelio-Santamaria, custodito e gestito da Anna Amelio, Paola Santamaria e Eduardo Santamaria, raccoglie la più completa documentazione sulla figura e sull’opera del gallerista napoletano Lucio Amelio (1931-1994), uno degli indiscussi protagonisti del rinnovamento della scena artistica contemporanea in Italia.

L’Archivio privato Amelio-Santamaria si pone come finalità la promozione della cultura e dell'arte ed è costantemente impegnato nell'organizzazione e nella conservazione delle tracce e della memoria del lavoro svolto da Lucio Amelio, e del suo rapporto con artisti, galleristi e istituzioni del territorio e internazionali, di cui ne promuove la conoscenza, attraverso la conservazione di una pluralità di documenti di altissimo valore artistico raccolti nel corso della sua attività dal 1965 al 1994. Collabora, inoltre, alla realizzazione di mostre, cataloghi e altre iniziative culturali; tali collaborazioni si svolgono con istituzioni (musei, fondazioni e gallerie) tra le più prestigiose della scena artistica nazionale ed internazionale.

L’Archivio costituisce un patrimonio importante per la ricostruzione storica non solo della figura di Lucio Amelio, ma documenta anche i tanti momenti che hanno caratterizzato trent’anni di vita culturale a Napoli e in Campania, vissuti da Amelio quale protagonista in prima linea di proposte volte a "sprovincializzare" l'ambiente culturale dove ha operato.


Archivio Lia Incutti Rumma


L’Archivio Lia Incutti Rumma di Napoli custodisce il Fondo Marcello Rumma, un archivio “di persona” che testimonia l’opera e la vita fulminea di Marcello Rumma (1942-1970), documentando i sei anni della sua attività pubblica dal 1965 al 1970. Marcello Rumma, giovane intellettuale e mecenate salernitano, negli anni Sessanta, insieme alla moglie Lia, poco meno che ventenni, si fa promotore tra il 1965 e il 1970 (anno della sua precoce scomparsa) di mostre di una nuova generazione di artisti emergenti e di molteplici iniziative imprenditoriali e culturali tra Salerno e Amalfi.

Il Fondo Marcello Rumma, così nominato dopo il suo ordinamento e conservato dalla moglie nell’Archivio Lia Incutti Rumma di Napoli, raccoglie varie tipologie di documenti, corrispondenza, inviti, fotografie, articoli di giornali, cataloghi, che testimoniano l’impegno di educatore di Marcello Rumma nel Collegio di famiglia Arturo Colautti di Salerno (Rumma affianca il padre e professore di matematica Antonio, nei primi anni Sessanta, nella gestione del collegio), ma anche il suo impegno come promotore di importanti rassegne espositive tra Salerno e Amalfi, di fondatore di una casa editrice e di mecenate e collezionista di opere d’arte contemporanea. Un materiale che parla sì dell’imprenditore e mecenate Marcello Rumma, ma che ci accompagna anche nel ricostruire fatti e vicende dell’arte, soprattutto italiana, a lui contemporanea.


Archivio Marina Vergiani


L’Archivio Marina Vergiani è un archivio di persona privato che comprende una raccolta di documenti testuali e audiovisivi ideati e diretti da Marina Vergiani, architetto e autrice di documentari video sulla città e sull’arte a Napoli, tra il 1984 e il 2013.

Marina Vergiani (1952-2015), è stata architetto, autrice di documentari video sulla città e sull’arte, per lunghi anni dirigente culturale del Comune di Napoli e instancabile promotrice della valorizzazione e conservazione di documenti storici del teatro, delle realtà sociali e lavorative, del territorio e delle sue trasformazioni. Nella sua carriera ha collaborato con università, teatri, assessorati, istituzioni, fondazioni e associazioni culturali, occupando posizioni di prestigio quali quella di docente di Tecniche di valorizzazione dei Beni Culturali all’Università Suor Orsola Benincasa e assumendo poi la direzione del PAN - Palazzo delle Arti di Napoli dal 2005 al 2011. All’attività istituzionale ha sempre affiancato quella di ricerca e di produzione, collaborando con registi e filmmaker quali Mario Martone e Mario Franco, scrivendo soggetti e sceneggiature.

L’Archivio di Marina Vergiani comprende alcune migliaia di documenti su supporti elettronici, digitali, cartacei già schedati e, in particolare: la raccolta di materiali audiovisivi ideati e diretti da Marina Vergiani tra il 1984 e il 2013; la raccolta dei materiali video prodotti da B. Sketch tra il 1987 ed il 1991; la raccolta di scritti, storyboard, disegni, fotografie, pubblicazioni, manifesti, locandine, ideati con e da Giuliano Longone, Michele Bellamy Postiglione e Leonardo Coen Cagli.


Biblioteca e Complesso Monumentale dei Girolamini


Il vasto Complesso Monumentale dei Girolamini ospita una Chiesa in stile barocco che, per la sua decorazione in oro, fu definita una “Domus Aurea” e due chiostri monumentali; una prestigiosa Quadreria dove sono esposte numerose opere di artisti di scuola napoletana e di tanti importanti pittori operanti in città; una ricca Biblioteca (la più antica di Napoli) dove vengono conservati importanti e rari manoscritti. Il complesso monumentale, dedicato alla Natività di Maria ed a tutti i Santi, vide la luce nel 1586 con l’insediamento a Napoli dei padri Filippini Oratoriani. Deve il suo nome ai religiosi seguaci di san Filippo Neri che ebbero come loro primo luogo di riunione la chiesa di San Girolamo della Carità a Roma. I padri per edificare la chiesa acquistarono il Palazzo Seripando di fronte al Duomo, e tutti i palazzi che delimitavano l’area, abbattendo anche antiche chiesette, crearono così lo slargo per la facciata della chiesa dei Girolamini, detta anche di San Filippo Neri. La facciata principale della Chiesa Dei Girolamini è su largo dei Girolamini, lungo via dei Tribunali. L’ingresso alla chiesa avviene però dalla laterale via Duomo tramite il chiostro della porteria al civico 142 dove in origine sorgeva il rinascimentale palazzo Seripando. Il complesso monumentale è stato dichiarato monumento nazionale nel 1866 e a partire dal 2010 tutto il convento è stato interamente musealizzato. Il cinquecentesco edificio religioso, con i suoi 68 metri di lunghezza e i 28 metri di larghezza, è uno i più vasti di Napoli. Al suo interno si scoprono capolavori del tardo-manierismo romano e napoletano, del naturalismo e del barocco trionfante. La Biblioteca che occupa quattro stupende sale settecentesche e due moderne, è la più antica tra quelle napoletane, a lungo frequentata da Giambattista Vico e Benedetto Croce. La Quadreria dei Girolamini è un piccolo museo. Qui si scoprono opere di pittori appartenenti alla scuola napoletana come Massimo Stanzione, Luca Giordano, Battistello Caracciolo, Francesco Solimena oltre a opere di Guidi Reni, Sammartino, Ribera e Francesco Gessi.


Complesso monumentale di San Severo al Pendino


La Chiesa di San Severo al Pendino è una chiesa monumentale di Napoli, attualmente sconsacrata ed utilizzata come spazio espositivo. La chiesa venne fondata nel 1448 con il nome originario di Santa Maria a Selice. Nel 1550 fu concessa ai Domenicani che nel 1587 acquistarono il vicino Palazzo Como per utilizzarlo come convento. Tra il 1599 e il 1620 la chiesa venne demolita e ricostruita su progetto di Giovan Giacomo Di Conforto, che diede all'edificio un aspetto tardo manierista. Nel 1818 la struttura venne utilizzata come prima sede dell'Archivio di Stato, poi, con il ritorno dei religiosi, il complesso venne rifatto nel 1845 da Filippo Botta. Con i lavori di via Duomo la chiesa venne privata della facciata barocca e delle prime due cappelle, diminuendo la lunghezza della navata e sostituendo la facciata con una più semplice in stile neorinascimentale. Durante la seconda guerra mondiale venne utilizzata come rifugio antiaereo, mentre venne danneggiata dal terremoto del 1980. Dopo cinquant'anni dalla fine della guerra la chiesa è stata restaurata, riconducendo la struttura alla sua architettura originaria.


Conservatorio San Pietro a Majella


Il Conservatorio di Musica San Pietro a Majella, dichiarato reale nel giugno 1807 con decreto di Giuseppe Napoleone, ha una storia ricca, nata dalla fusione di diverse istituzioni preesistenti: i Conservatori di Santa Maria di Loreto, Sant'Onofrio a Capuana e Santa Maria della Pietà dei Turchini, che operavano nell'ambito dell'assistenza e della formazione musicale a Napoli durante l'età moderna. Questi conservatori si inserivano in politiche più ampie di carità e beneficenza dell'epoca, offrendo assistenza all'infanzia indigente e abbandonata e sviluppando competenze musicali. Nel corso del tempo, la musica divenne sempre più centrale nelle attività degli istituti, tanto che si trasformarono in vere e proprie scuole musicali, aprendosi anche ad allievi esterni.

Con il passare degli anni, il controllo degli enti di assistenza da parte dello Stato portò a cambiamenti nelle strutture e nelle modalità di gestione dei conservatori. Il Conservatorio di Santa Maria di Loreto si unì a quello di Sant'Onofrio a Capuana nel 1797, mentre nel 1806-1807 si verificò la fusione con il Conservatorio della Pietà dei Turchini, dando vita al Reale Conservatorio di Musica di San Pietro a Majella. L'istituzione era diretta da una direzione tecnica ed economica, con regole rigide di gestione e un sostegno costante dei benefattori. La formazione musicale era al centro delle attività, seguendo i principi dei grandi maestri del passato come Durante, Finaroli e Zingarelli.

Dopo l'unificazione nazionale, si sviluppò la necessità di uniformare la normativa e l'organizzazione degli istituti musicali preunitari. Nel 1871, su iniziativa di Giuseppe Verdi, fu convocata una commissione a Firenze per stabilire un indirizzo comune per l'insegnamento musicale in Italia.

Il Conservatorio di Napoli, nel corso del tempo, ha dovuto bilanciare la conformità alla normativa nazionale con la difesa delle sue peculiarità come ente autonomo. Questa battaglia si concluse nel 1890, quando lo statuto confermò la sua autonomia morale e la sua missione educativa sia nella musica che negli studi letterari. La normalizzazione degli aspetti amministrativi e normativi avvenne con i provvedimenti legislativi del 1912 e del 1918 e la Riforma Gentile. Questi atti stabilirono le prime disposizioni comuni per gli istituti governativi e ridefinirono l'organizzazione didattica e amministrativa. Infine, con la legge n. 508 del 1999, si completò il processo di rinnovamento dell'apparato didattico del Conservatorio di Napoli, in linea con gli standard dell'Alta Formazione Artistica e Musicale.


Direzionale regionale Musei Campania, Archivio Castel Sant’Elmo/Fondi arte contemporanea


La Direzione regionale Musei Campania ha l’obiettivo di potenziare le attività di valorizzazione dei musei italiani ed è il punto di connessione tra centro e periferia: opera per favorire il dialogo tra enti statali e locali, tra realtà museali pubbliche e private, per la costruzione del sistema museale regionale. Lavora per valorizzare e rendere fruibile la ricchezza culturale dei musei statali della propria regione. Coordina risorse umane, tecnologiche e finanziarie al fine di offrire al pubblico attività culturali ed espositive, servizi di accoglienza ed educativi di qualità. Sostiene la nascita di reti locali che coinvolgono diversi attori per lo sviluppo di itinerari culturali e la crescita dei territori in cui opera. Le Direzioni regionali Musei, uffici di livello dirigenziale non generale, sono articolazioni periferiche della Direzione generale Musei.

Il patrimonio documentario di Castel Sant’Elmo è costituito da più fondi legati alla programmazione culturale e alla formazione delle collezioni d’arte e prodotti da differenti uffici, di quella che oggi è la Direzione regionale Musei Campania, dislocati in ambienti diversi del castello. Nello specifico, si tratta dei fondi del Museo Novecento a Napoli, dell’Ufficio stampa, della Fototeca e della Biblioteca di Storia dell’arte “Bruno Molajoli”, composti da corrispondenze, documentazione audio, video e fotografica, materiale di comunicazione, rassegne stampa, cataloghi.

L’Archivio Castel Sant’Elmo/Fondi arte contemporanea mette insieme, in ambiente digitale, le diverse raccolte documentali, per un insieme che comprende oltre 1.000 fotografie tra positivi a stampa, diapositive e fotografie digitali; più di 30 documenti audiovisivi; quasi 200 tra comunicati e rassegne stampa e circa 50 cataloghi, oltre a inviti, brochures, progetti di allestimento.


Duomo di Napoli


Il Duomo di Napoli, la Cattedrale dedicata a Santa Maria Assunta, è situato lungo l’ottocentesca via omonima. Un’arteria pensata in età borbonica ma realizzata solo con lo sventramento della città nei primi decenni dell’Unità d’Italia. L’edificazione della Cattedrale fu voluta da Carlo d’Angiò nel 1294, nel luogo dove sorgevano due antiche basiliche: Santa Restituta e Stefania. Per lasciar posto alla nuova costruzione, quest’ultima fu completamente demolita, mentre la basilica di Santa Restituta fu ridotta al ruolo di cappella laterale. Il Duomo ricostruito in stile gotico, ha un impianto a croce latina, a tre navate. Il soffitto della navata principale è a cassettoni, in legno intagliato e dorato, mentre le navate laterali hanno volta a crociera, con decorazioni barocche. Le decorazioni a stucchi che decorano tutta la chiesa sono della fine del Seicento. La facciata alta circa 50 metri, è dotata di tre portali, la porta di destra viene aperta soltanto per le festività che celebrano San Gennaro e in alcuni casi straordinari. Le navate laterali, con le loro cappelle e nicchie, testimoniano i vari passaggi nell’arte e nell’architettura napoletana nel corso dei secoli. Tra le tante cappelle, due si distinguono sopra le altre per dimensione e rilevanza artistica. La Cappella di Santa Restituta, sulla navata sinistra, che corrisponde all’antica basilica voluta dall’imperatore Costantino, si presenta con tre navate ed ospita oggi opere di Luca Giordano e sculture trecentesche. Da qui si accede anche alla zona archeologica che si trova sotto il Duomo, dove sono conservati importanti resti della città greco-romana e paleocristiana. A destra dell’abside c’è anche l’accesso al Battistero di San Giovanni in Fonte, considerato il più antico d’occidente. La Cappella del Tesoro di San Gennaro (la terza a destra) risale invece alla prima metà del XVII secolo. È in questa cappella, in stile barocco, che tutti gli anni si attende il miracolo della liquefazione del sangue del santo. Superato il cancello bronzeo di Cosimo Fanzago si entra in una cappella con pianta a croce greca con quattro bracci di dimensione ridotta e cupola a doppia calotta. Qui sono custoditi il busto d’argento e le ampolle col sangue di San Gennaro. Sotto l’altare maggiore si trova la Cappella del Succorpo, la cripta del Duomo, conosciuta anche come Cappella Carafa, in onore del cardinale Oliviero Carafa che la volle edificare per custodirvi le reliquie di San Gennaro insieme a quelle di altri 51 santi. Giovan Tommaso Malvito la concepì come se fosse una basilica. Ha una pianta a tre navate scandite da colonne antiche con capitelli ionici con delle nicchie laterali e una cappella terminale.


Fondazione Bideri


La Fondazione Bideri è una istituzione no profit costituita nel 1995 in memoria di Ferdinando e Rosa Bideri e riconosciuta a livello nazionale con decreto prefettizio il 20/02/2002. La Fondazione Bideri rivolge la sua attività alla promozione e valorizzazione della cultura napoletana: promozione intesa come recupero di una memoria storica che ha contribuito a definire i tratti fondanti della nostra identità, valorizzazione intesa come ricontestualizzazione in chiave contemporanea di contenuti artistici di grande valore. Depositaria di un notevole fondo di documenti storici, spartiti, testi autografi, quadri, strumenti musicali antichi, libri e materiale d’epoca, la Fondazione Bideri ha raccolto l’eredità morale di Ferdinando Bideri, autentico pioniere nel campo dell’editoria culturale che, alla fine del secolo XIX, fu tra i primi in Italia a dare un assetto industriale alla pubblicazione di libri e componimenti musicali. Oscar Wilde, Benedetto Croce, Matilde Serao, Edoardo Scarfoglio, D’Annunzio, Di Giacomo, Ferdinando Russo, Mario Costa, Francesco Paolo Michetti, Libero Bovio, Pietro Scoppetta sono solo alcuni dei nomi di letterati e artisti che collaborarono con Ferdinando Bideri e i suoi eredi pubblicando opere di grande spessore e lasciando documenti di notevole interesse che oggi sono al centro dell’attività della Fondazione Bideri. Attualmente la Fondazione Bideri è impegnata nella costituzione e nell’ampliamento di un imponente archivio digitale. Contemporaneamente la sua attività è finalizzata alla organizzazione di mostre, seminari e convegni. Le iniziative della Fondazione Bideri hanno lo scopo di valorizzare la canzone napoletana avendo come riferimento la storia della casa editrice Bideri. Le azioni hanno il loro punto di partenza in un processo di digitalizzazione che interessa l’intero fondo documentale. Facendo leva sulle opportunità offerte dalla smaterializzazione dei contenuti disponibili, sono sviluppate attività di tutela, sostegno e diffusione.


Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee – Museo Madre


Il museo Madre (acronimo per Museo d’arte contemporanea Donnaregina) nasce nel 2005, quando la Regione Campania acquista l’edificio di via Settembrini, contiguo alla Chiesa di Donnaregina Vecchia, per destinarlo a museo per l’arte contemporanea. La Regione Campania istituisce la Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee quale ente funzionale regionale nel 2004.

La Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee è stata costituita il 22 novembre 2004 dalla Regione Campania al fine di “istituire, promuovere e gestire musei, centri d’arte e di cultura nel territorio della Regione Campania, acquisendo in via temporanea o permanente, a mezzo di contratti e/o accordi con Enti pubblici o privati, artisti e collezionisti, opere d’arte contemporanea da esporre permanentemente o temporaneamente nei propri musei o in mostre tematiche; svolgere attività culturali attraverso l’organizzazione di convegni, stage e seminari in tema di arte, letteratura, cinema, grafica, design, fotografia, architettura e di ogni altra forma di espressione artistica, moderna e contemporanea”. Dapprima strutturata in forma totalmente pubblica, nel 2011 la Regione Campania ha adottato una profonda riforma statutaria, che, in sintesi, ha modificato la figura del presidente, ruolo inizialmente riservato al Presidente della Giunta regionale o ad un componente della Giunta regionale, oggi ricoperto da persona che possieda “larga esperienza giuridica, economica e manageriale”; ha aperto alla possibilità di ingresso di altri soggetti nel consiglio di amministrazione; ha portato da tre a cinque i componenti del comitato scientifico; ha imposto la scelta del direttore mediante “pubblico concorso svolto secondo i principi nazionali e comunitari ad evidenza pubblica”; ha fissato in cinque anni la durata del suo incarico.


Fondazione Filiberto e Bianca Menna – Centro Studi d’Arte Contemporanea


La Fondazione Filiberto e Bianca Menna di Salerno è un centro Studi d’Arte Contemporanea che svolge un ruolo di primaria importanza nel campo della ricerca e della cultura che mirano a riconsiderare l’arte, irrinunciabilmente legata alla costruzione del nuovo, come motore di trasformazione della società. Nata nel 1989 per volontà della famiglia Menna, la Fondazione Filiberto Menna – Centro Studi d’Arte Contemporanea promuove iniziative e progetti volti a diffondere ed approfondire la conoscenza del presente dell’arte, rinnovando così la lezione teorica dello studioso salernitano, fra i protagonisti del dibattito critico del secondo Novecento.

Dal 2018 al nome di Filiberto, la Fondazione lega nella propria denominazione statutaria quello di Bianca (Pucciarelli in Menna) per meglio tutelare non solo il lavoro intellettuale della coppia, ma anche l’Archivio del Lavatoio Contumaciale e dell’Archivio Menna/Binga che conserva materiale cartaceo, video e fotografico, nonché un importante nucleo di opere realizzate da Tomaso Binga tra la fine degli anni Sessanta del secolo scorso e il primo ventennio del nuovo.

Distinguendo la propria azione da quella degli altri attori impegnati nel campo dell’arte, la Fondazione svolge la propria missione culturale con precise strategie operative che privilegiano il confronto critico e l’educazione, in una prospettiva orientata a quella costruzione del nuovo di cui lo stesso Menna è stato costante promotore nel corso della sua attività di ricerca.

Avvalendosi della collaborazione di giovani studiosi e grazie alla presenza di strutture e di strumenti adatti a realizzare iniziative legate all’attualità, la Fondazione, che ospita al suo interno un Archivio, una Biblioteca (aperta al pubblico nel 1994) e una Mediateca, si presenta come spazio dinamico e polifunzionale: un luogo di studio e un laboratorio creativo in grado di monitorare i territori dell’arte contemporanea e di dare un futuro alle idee dell’arte e della critica a lei dedicata.

La Fondazione organizza, all’interno dei suoi spazi, una serie di attività orientando il suo lavoro sui temi dell’arte, della critica d’arte e della teoria delle arti, formulando, inoltre, felici relazioni con il pensiero filosofico e con le esperienze musicali dell’attualità.

A questi nuclei centrali, che seguono gli interessi di Filiberto Menna, va aggiunto, inoltre, l’impegno che la Fondazione mostra, da anni, anche nei campi della formazione e della didattica per avvalorare un discorso legato non solo alle pratiche artistiche del presente dell’arte ma anche a nuove strategie educative e comunicative.


Fondazione ilCartastorie


La Fondazione ilCartastorie nasce nel 2016 come ente strumentale della Fondazione Banco di Napoli. La sua costituzione risponde operativamente agli scopi statutari di quest’ultima nel settore dell’arte e delle attività culturali. In particolare, la Fondazione ilCartastorie persegue le finalità di cura, conservazione, gestione, manutenzione, promozione e valorizzazione dell’Archivio Storico del Banco di Napoli, il più grande archivio di natura bancaria al mondo, nel quale sono raccolti preziosi documenti capaci di documentare 500 anni di storia napoletana, meridionale, italiana, europea e di paesi extra-europei. Nella mission ha spiccato rilievo la gestione del Museo che ne porta il nome con le operazioni culturali annesse (mostre, attività didattiche e laboratoriali, esposizioni, convegni, ecc.). La strategia del Museo, che può essere definita trans-mediale, è il luogo di raccordo da cui si raccontano e divulgano storie sul proprio patrimonio, secondo una logica di diversificazione dell’offerta e segmentazione dei destinatari, facendo leva su linguaggi e modalità di fruizione differenti. Il percorso multimediale che costituisce il cuore del sistema di offerta, è disponibile ai visitatori in maniera permanente dalla primavera 2016, ma vengono organizzate anche rappresentazioni teatrali, concerti, eventi a tema storico, laboratori di scrittura creativa, visite guidate, tradizionali o teatralizzate e residenze d’artista. Un modo per rispondere al meglio alla domanda locale di cultura e di sostenere al tempo stesso i flussi turistici, in quell’ottica di aggregatore sociale e promotore di sviluppo economico che da sempre contraddistingue l’operato della Fondazione Banco di Napoli.



Associazione Alessandro Scarlatti


L'Associazione Alessandro Scarlatti, fondata nel 1918, porta il nome del grande compositore barocco (Palermo, 1660-Napoli, 1725). Diventa Ente morale nel 1948, caratterizzandosi come una delle più antiche associazioni musicali del Sud d’Italia che da oltre 100 anni si occupa di diffondere l’arte e la cultura musicale nelle sue molteplici forme. Un’istituzione che si fa carico di portare avanti una lunga tradizione, prodotta dai suoi illustri fondatori - Emilia Gubitosi, Salvatore Di Giacomo, Franco Michele Napolitano, Giovanni Tebaldini - e che si è sviluppata, nel tempo, attraverso la creazione di iniziative che hanno fatto la storia della musica in Campania (dal coro diretto da Emilia Gubitosi, all’orchestra Scarlatti fondata nel 1949 e diretta da Franco Caracciolo, alle Settimane di Musica fondate da Salvatore Accardo e Gianni Eminente nel 1971).

Oggi l’Associazione risulta iscritta nell’Albo Regionale delle Istituzioni di Alta Cultura della Regione Campania. La sua programmazione culturale prevede diversi eventi e progetti distribuiti su undici mesi all’anno, tra cui, una stagione concertistica di rilievo nazionale, programmi di formazioni musicale per l’infanzia disagiata, laboratori per gli allievi dei Conservatori del Sud finalizzati a completarne la formazione per supportarne la competitività sul mercato del lavoro, valorizzazione degli Organi Storici delle Chiese della Campania, conferenze, pubblicazioni. Le molteplici attività intraprese dall’Associazione, pur essendo legate al mondo della musica, hanno significative ricadute sul territorio anche grazie alle molteplici relazioni strette con le più importanti istituzioni della regione - sovrintendenze ai beni culturali, università, conservatori - che consentono l’accesso a luoghi di inaspettata bellezza, spesso sconosciuti al grande pubblico.

Nella sua sede legale, sita in Piazza dei Martiri a Napoli, si conserva sia l'Archivio corrente che l'Archivio storico.


Associazione Amici Archivi onlus


L'Associazione Amici Archivi onlus è stata fondata nel 2000 da un gruppo di operatori dei beni culturali che riconoscono negli archivi un punto di riferimento fondamentale per tutti i settori della cultura napoletana e nazionale. L'Associazione è stata dichiarata organizzazione non lucrativa di utilità sociale con disposizione del Ministero delle finanze n. 20443 nel 2004. Sono organi dell’Associazione: l’Assemblea Generale dei Soci e il Consiglio Direttivo. L’Associazione, inoltre, si avvale, nel perseguimento degli scopi statutari, dei contributi del Comitato Tecnico Scientifico, organo consultivo che assiste la stessa nella selezione e valutazione delle iniziative da assumente, dei progetti da studiare e proporre, e delle collaborazioni da avviare. L’Associazione, infine, per diffondere e approfondire le diverse tematiche relative agli scopi statutari organizza convegni, giornate di studio, work shop, conferenze, dibattiti, gruppi e commissioni di studio, mostre, spettacoli, eventi e manifestazioni, attività editoriali e multimediali, di ricerca, consulenza, informazione e formazione e può istituire, inoltre, club tematici e sezioni territoriali locali in Italia e all’estero.

L’Associazione possiede un Archivio e una Biblioteca dove la consultazione e lo studio del materiale posseduto è a disposizione non solo dei propri soci, ma anche del pubblico in genere. I fondi archivistici e bibliografici sono stati depositati dai soci dell’Associazione e riguardano per la maggior parte nuclei di scritture di famiglia o di persone, o materiale acquisito sul mercato, conservato per i propri studi o per specifici settori d’interesse culturale o professionale.


Associazione Archivio Fotografico Parisio


L’Associazione Archivio Fotografico Parisio ha sede negli stessi locali che furono, fin dal 1924, l'atelier del fotografo Giulio Parisio (Napoli, 1891 - 1967). Istituita nel 1995, l’associazione è custode di un importante patrimonio fotografico - negativi e positivi -, che costituisce un archivio, fra i più compatti ed omogenei oggi disponibili nel Sud Italia, che documenta l'evoluzione della storia sociale, culturale e urbana della città di Napoli e della Campania. Una storia che si racconta attraverso le foto di Giulio Parisio ma anche dei fratelli Troncone, attivi a Napoli e in Campania dalla metà degli anni Venti del Novecento. Roberto Troncone (1875-1947) fondò, verso il 1912, la casa cinematografica Partenope film, di cui si conservano alcuni documenti e foto di scena, nella quale lavoravano i suoi due fratelli Vincenzo (1887-1973) e Guglielmo (1890-1970). Cessata l'esperienza del cinema questi ultimi aprirono uno studio fotografico, che è stato attivo fino al 1996 con Vittorio e il figlio di Guglielmo.  

Gli archivi Parisio e Troncone, che rappresentano i fondi più consistenti custoditi dall’Associazione, sono composti da oltre un milione di negativi originali, su diversi supporti e formati, oltre a un considerevole quantitativo di positivi originali. La tutela e conservazione sono il primo obiettivo che l’Associazione si è prefisso. I fondi Parisio e Troncone, come pure la sede, sono stati riconosciuti di interesse storico da parte dello Stato e posti sotto vincolo dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Al centro delle attività dell'Associazione, la divulgazione intellettuale attraverso dibattiti e incontri, ma soprattutto la promozione di Napoli per chi non la conosce, con mostre ed eventi volti a esaltarne la storia e raccontarne le facce più nascoste. L'Archivio è socio dell'Associazione Nazionale Archivisti Italiani e dell'International Committee for Documentation and Conservation of Buildings, Sites and Neighbourhood of the Modern Movement.


Associazione Opera Pia Purgatorio ad Arco di Napoli


L’associazione Opera Pia Purgatorio ad Arco – O.N.L.U.S. è l’Ente proprietario del Complesso Museale di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco. Già IPAB - Istituto di Pubblica Assistenza e Beneficenza - vanta 400 anni di vita ed è una delle poche opere pie ancora esistenti e attive nel portare a termine gli scopi di sua fondazione. 

Nata grazie alle “spontanee elargizioni della napoletana cittadinanza” fu riconosciuta ufficialmente da papa Paolo V, con Breve Apostolico nel 1606. La Pia Congregazione si adunava, agli inizi, nella chiesa di Sant’ Arcangelo a Segno, poi in Santa Maria della Rotonda e finalmente in Sant’Arcangelo a Nilo; in seguito, con l’incremento delle rendite, grazie alle copiose elargizioni dei napoletani nel 1616 decise di edificare una propria Chiesa su disegno del Cav. Cosimo Fanzago che fu chiamata delle “Anime del Purgatorio ad Arco”. Fondata nel 1605 da alcuni membri della più antica nobiltà partenopea con un duplice fine “la celebrazione delle messe giornaliere, opere di culto ed altre sacre funzioni in suffragio delle Anime del Purgatorio” ed attività di carità e beneficenza a favore anche degli estranei al Sodalizio”. Con la legge Crispi del 1862 le opere pie, tra cui del Purgatorio ad Arco, furono equiparate ad enti parastatali, e nel 1890 si dispose la loro trasformazione in istituzioni pubbliche di beneficenza.

L’Opera Pia Purgatorio ad Arco è ancora oggi attiva ed i membri del sodalizio prestano la loro opera nel campo della beneficenza, dell’assistenza e del culto. Nel Complesso ha sede l’Archivio Storico, gestito dall’Associazione Amici degli Archivi Onlus.


Centro di Ricerca Guido Dorso


Il Centro di Ricerca Guido Dorso, fondato nel 1978 per volontà della Famiglia Dorso, della Fondazione “G.G. Feltrinelli” di Milano, della Regione Campania, della Provincia e del Comune di Avellino, si avvale di un Comitato scientifico altamente qualificato. Inserito nella Sezione speciale dell’Albo regionale come “Istituzione di Alta Cultura”, è iscritto nel registro delle persone giuridiche della Regione Campania. Nel 2020 il Centro Dorso è stato riconosciuto dal Ministero della cultura tra gli Istituti nazionali di cultura. Svolge, senza fini di lucro, la propria attività, che ha lo scopo principale di promuovere la conoscenza e lo studio della storia, dell’economia e delle idee sociali del Mezzogiorno. Dal nucleo iniziale del Fondo Dorso si è pervenuti alla costituzione di una Biblioteca di circa 60.000 volumi.  Il Centro di Ricerca “Guido Dorso” è da anni impegnato nella valorizzazione del suo patrimonio documentario attraverso il recupero e il riordinamento del proprio patrimonio archivistico e una sempre più ampia apertura dei propri fondi al pubblico anche attraverso l’utilizzo di tecnologie multimediali. Accanto alle operazioni di riordino e inventariazione, il Centro Guido Dorso realizza iniziative tese a valorizzare, a far conoscere e a rendere fruibili i documenti di tali archivi. Tutto il patrimonio archivistico del Centro Dorso è stato riconosciuto “di interesse storico particolarmente importante” dal MIBACT, con Decreto n. 3/2015. Il Centro di Ricerca Guido Dorso ha lo scopo di: ordinare e conservare il materiale documentario del Fondo Guido Dorso, di raccogliere, ordinare e conservare il materiale documentario di tutte le componenti e le organizzazioni economiche, sociali e politiche del Mezzogiorno con particolare riguardo alla formazione del pensiero meridionalistico; promuovere la conoscenza e lo studio della storia, dell’economia e delle idee sociali del Mezzogiorno e delle componenti della sua formazione sociale e politica; mettere a disposizione tutti i materiali, ordinati e organizzati, ai ricercatori, agli studiosi, agli studenti, alle Università e a tutti gli organismi di studio e di ricerca operanti nel Mezzogiorno; promuovere e curare la pubblicazione di saggi, monografie, raccolte di testi, documenti, e bibliografie; coordinare e realizzare le ricerche anche a carattere nazionale, su temi della società meridionale; gestire e promuovere corsi di istruzione tecnico-professionale, qualificazione e perfezionamento, coordinamento delle attività culturali con gli Enti locali, regionali, statali, europei, pubblici e privati.


Comune di Altavilla Silentina, Archivio Storico Comunale


Il Comune di Altavilla Silentina ha una storia antica, e insiste su un territorio abitato fin dal neolitico, come testimoniano alcuni antichi insediamenti e reperti del VII secolo a.C. trovati in località San Lorenzo. Dal 1811 al 1860 ha fatto parte del circondario di Capaccio, appartenente al Distretto di Campagna del Regno delle Due Sicilie. Dal 1860 al 1927, durante il Regno d'Italia ha fatto parte del mandamento di Capaccio, appartenente al Circondario di Campagna. La documentazione è stata conservata per molto tempo presso la vecchia sede comunale, nel centro storico del paese, finché, nel 1943, eventi bellici determinarono la distruzione dell'archivio, con la perdita di molti documenti. Nel maggio 1997 il Comune ha provveduto al recupero e schedatura inventariale del posseduto, trasferendo la parte più antica della documentazione nel vecchio Municipio, appositamente ristrutturato, per consentirne la consultazione. L’Archivio è nella sede attuale, la Biblioteca Comunale “Arnaldo Di Matteo”, dal 1997-1998, quando sono iniziate le attività di riordino. La Biblioteca “Arnaldo Di Matteo” rappresenta un vero scrigno culturale, atta a tracciare l'identità del territorio comunale, conserva oltre 3200 libri di vari argomenti (Letteratura, Storia, Storia locale, Sociologia, Scienze e Gastronomia).


Comune di Aversa, Biblioteca “Gaetano Parente”


Il Comune di Aversa di origine antica assume importanza storico-politica intorno all’anno Mille con la venuta dei Normanni, ai quali fu concesso il territorio dal Duca Sergio IV Conte di Napoli, per l’aiuto prestatogli nel 1027. Cinta di mura divenne una contea indipendente, la prima contea normanna in Italia, riconosciuta dall’imperatore Corrado nel 1038. Nasceva così la Contea di Aversa, che estese il suo dominio su buona parte della Campania. Durante il sec. XIV spesso vi risiedette la corte angioina. Dal 1190 al 1806, Aversa visse, con alterne fortune, gli eventi legati al succedersi delle varie dinastie nel Regno di Napoli nelle cui vicende si articola anche la sua storia. La sede del Comune è stata danneggiata sia dal terremoto del 1805 che da quello del novembre 1980. Dal 2007 ha sede nel Palazzo Gaudioso, appartenuto all’omonima nobile famiglia. Oggi ospita la Biblioteca “Gaetano Parente”, fondata nel 1875, che conserva al suo interno anche gli Archivi del Comune di Aversa e della Real Casa dell’Annunziata di Aversa. La Biblioteca Comunale svolge a livello locale una importante attività di promozione culturale, favorendo incontri di lettura e studio.


Comune di Caiazzo, Archivio Storico


Caiazzo, a 200 metri sul livello del mare nella Media Valle del Volturno, si estende su un territorio in parte collinare coltivato a vite ed ulivi, e in parte pianeggiante votato all’agricoltura. Le origini della Città sono antichissime. Una leggenda narra che Caiatia, provenga dalla ninfa Calatio, figlia del Tifata, che con il dio Volturno “prendeva sollazzo”.  La ninfa, temendo di essere scoperta dal padre, fuggì ed arrivò sulle colline di Caiazzo dove fondò la città omonima. Percorrendo il centro storico si scoprono oggi le testimonianze del suo passato: dalla civiltà osco-sannita al dominio aragonese fino al Regno dei Borboni. Nella parte più antica della Città è possibile riconoscere le mura megalitiche, i vicoli medioevali, le chiese rinascimentali e barocche, i palazzi catalani del XV secolo con i bellissimi portali, ed il castello longobardo.

L’Archivio Storico Comunale di Caiazzo è situato nel Centro civico comunale di Palazzo Mazziotti, che ospita anche la Biblioteca civica, il Piccolo teatro Iovinelli e l'esposizione permanente del Museo della civiltà contadina. L’Archivio storico raccoglie dati relativi non solo agli eventi storici nazionali e al loro influsso sulla vita politica e sociale di Caiazzo ma anche alla vita quotidiana locale. Tra la documentazione si conserva un importante manoscritto opera del canonico Pasquale Iadone, che descrive la storia della Cittadina. Inoltre, si annoverano disegni, planimetrie, progetti, documenti relativi alle congregazioni, molto diffuse nel passato, alla caduta del Regno delle Due Sicilie, alla lotta al brigantaggio e al governo dei Savoia, ma anche atti e regolamenti del Pio Monte di Mirto e delle relative scuole incorporate nelle Opere Pie, e documenti relativi alla Mutua Banca Popolare di Caiazzo e alla Società Operaia. Vi sono poi atti che testimoniano la dura esperienza subita dal paese durante la Seconda Guerra Mondiale (tra cui la strage nazista di ventidue vittime innocenti in località Monte Carmignano) e documenti particolari come quello recante la firma autografa del Re Vittorio Emanuele II di Savoia. La vita quotidiana emerge dai dati raccolti riguardanti l’anagrafe e lo stato civile, dai registri degli emigranti della seconda metà del XIX secolo al XX secolo, dagli atti delle numerose Fiere che animavano il commercio a quel tempo, dalla meritoria attività delle Opere Pie e dalle lettere scritte alle autorità dal popolo in uno sgrammaticato, ma sorprendentemente chiaro italiano.


Comune di Casalnuovo di Napoli, Archivio comunale


Casalnuovo di Napoli, un comune di oltre 50mila abitanti in Provincia di Napoli, istituito con Regio Decreto 25 febbraio 1929, n. 316, per scorporo dal Comune di Afragola. Il centro abitato sorge sulle rovine di Archora, uno dei villaggi dai quali aveva tratto origine la città di Afragola. Nel 1484 Angiolo Como ebbe in concessione da Ferdinando d'Aragona il territorio delle rovine del villaggio, su cui sorse un nuovo abitato. Questo fu riconosciuto quale casale della diocesi di Napoli con il nome di Casalnuovo. L'Archivio del Comune di Casalnuovo di Napoli conserva una documentazione che rappresenta una grande testimonianza per la storia politica, economica e culturale, relativa anche all’antico Comune di Licignano. Vi si conservano i regolamenti, i contratti, gli atti riguardanti il personale, quelli prodotti per la gestione economica delle istituzioni comunali, e una ricca documentazione sull’esazione delle imposte e sulla disciplina del commercio. Si aggiungono documenti concernenti l’igiene pubblica e la gestione del territorio, atti dell’ufficio tecnico e permessi di costruzione. Di notevole interesse sono tutte le carte relative all’istruzione, quelle sulle attività produttive e commerciali e quelle sulla viabilità, così come le testimonianze su feste, spettacoli pubblici, culto e beneficenza.


Comune di Caserta, Archivio storico comunale Biblioteca Comunale Giuseppe Tescione


Caserta è un centro di origini antiche, risalenti ad epoca preromana. In età medievale il nucleo cittadino si situa nel centro attualmente denominato Casertavecchia, a 10 chilometri dal capoluogo. All’avvento normanno, nella seconda metà dell’XI secolo, il centro è elevato a sede comitale. Saranno questi gli anni di maggiore splendore della città campana. Dal XV secolo in poi, al passaggio al dominio aragonese, Casertavecchia inizia un lento declino che porterà, secoli dopo, a una maggiore preminenza dell’attuale cittadina casertana. In età moderna il territorio fu più volte al centro di interessi e iniziative dei sovrani del Mezzogiorno, la cui più famosa è ovviamente la costruzione della Reggia, progettata da Luigi Vanvitelli alla metà del XVIII secolo e voluta dal re Carlo di Borbone. Rilevante è anche l’edificazione in località San Leucio, sul finire del medesimo secolo, di atelier destinati alla fabbricazione della seta, di rilevanza internazionale. La documentazione conservata nell’Archivio comunale rispecchia, dunque, l’evoluzione storica e le congiunture che hanno interessato il centro casertano e il suo territorio.

Afferente al Comune di Caserta abbiamo Ufficio Biblioteca Comunale Ruggiero e La Biblioteca Comunale Giuseppe Tescione.

La prima è stata inaugurata ed aperta al pubblico nel 2002, ubicata nel Centro dei Servizi Sociali e Culturali Sant’Agostino, in largo San Sebastiano, possiede un ricco e prezioso patrimonio librario di circa 25.000 volumi, donato al Comune di Caserta dal Prof. Giuseppe Tescione (1914-2002. A curarne la volontà testamentaria ed il trasferimento è il figlio dott. Giovanni. Il nucleo originario dei testi antichi oggi sistemati nella sezione libri antichi e rari è legato ad Alessio Simmaco Mazzocchi, prozio della moglie di Giovanni Tescione, Maria Antonietta Merola.

La seconda è una biblioteca Comunale di Caserta sia luogo di conservazione sia di pubblica lettura. Dotata di circa 58.499 volumi, 243 riviste correnti in abbonamento e 1411 storiche, le sue collezioni comprendono: opere a stampa antiche e moderne; manoscritti; fotografie; documenti d'archivio; materiale multimediale. Il nucleo originario delle raccolte è costituito da fondi librari di biblioteche conventuali e da materiale di proprietà del liceo classico P. Giannone e del Circolo Nazionale.


Comune di Cava de’ Tirreni, Archivio Comunale e Biblioteca comunale Canonico Aniello Avallone


Cava de’ Tirreni città di oltre 50.000 abitanti distribuiti nel Borgo ed in più di venti villaggi, che le conferiscono la caratteristica di "città stellare". I suoi primi abitatori, delle "terre de la Cava", furono i Tirreni. In epoca romana fu luogo rinomato di villeggiatura prescelto dalla nobiltà di Roma. Abitata dai Longobardi, la cui civiltà è tuttora testimoniata da una serie di antiche Torri costruite per il Gioco dei Colombi e per molti toponimi. Nel 1011 vede la costruzione dell'Abbazia Benedettina della SS. Trinità. Tra il XIV e XV secolo si sviluppò il Borgo Scacciaventi, pregevole esempio di centro commerciale, caratterizzato da una via fiancheggiata da portici e da storici palazzi porticati. Il 7 agosto del 1394, il Papa Bonifacio IX, con una propria bolla, elevò "le terre de la Cava" alla dignità di città. Dal XVIII secolo e fino ai primi del XX secolo Cava de' Tirreni fu meta obbligata di un grande flusso di viaggiatori che diedero vita al Grand Tour. Dopo la grande guerra (1915-1918) il territorio di Cava de' Tirreni viene riconosciuto "Stazione di Soggiorno e Turismo".

L’Archivio comunale si è formato a partire dagli inizi del XVI secolo. Originariamente la documentazione comunale era conservata in un locale del convento di S. Francesco. Al nucleo principale della documentazione, in questi ultimi anni si è aggiunto l’archivio dell’Ex Eca (Ente comunale di assistenza) che aveva inglobato tutte i monti di pietà cittadini. Anche il fondo ospedaliero è stato dato in comodato d’uso all’archivio storico, altro tassello della storia cittadina, e in ultimo per la chiusura dell’Azienda di Soggiorno è pervenuto all’archivio il fondo storico dell’Azienda con il suo ricchissimo fondo fotografico, che è in fase di schedatura. Il materiale conservato si divide tra un Periodo Preunitario e un Periodo Postunitario, per un totale di 3193 unità archivistiche, tra le quali 1320 fascicoli, 1849 volumi e 24 pergamene. Grazie a una particolare attenzione della comunità cavese alla conservazione della documentazione cittadina, in esso si custodiscono documenti inerenti alla vita amministrativa del Comune per un arco di tempo che va dal 1504 al 1950, oltre ai suddetti 24 privilegi in pergamena, acquisiti dalla Giunta comunale nel 1881 e datati tra il 1322 e il 1693. Oggi tali atti sono riuniti in otto volumetti rilegati.

La Biblioteca Comunale Canonico Aniello Avallone di Cava de’ Tirreni negli anni Ottanta è stata trasferita negli attuali locali di viale Marconi. Era, infatti, dal 1964 che questo importante patrimonio bibliografico, che raccoglie documenti di tipologia varia che testimoniano la storia e la cultura della comunità locale, era rinchiuso in un deposito e se ne precludeva la fruibilità. È dall’immediato dopoguerra che la Biblioteca comprende i volumi recuperati dalla Biblioteca Comunale e dalla privata raccolta del Canonico Aniello Avallone, un fondo di persona che già nel 1885 vantava una propria organizzazione ed era ospitato in un’apposita sede. Pur rimanendo due enti distinti sotto il nome ‘Biblioteche Riunite Avallone e Comunale’, nel 1951 se ne iniziò il riordinamento mentre con il D.P.R. 266/1966 venne disciolto l’ente morale e le due biblioteche vennero fuse insieme prendendo l’attuale denominazione.


Comune di Cusano Mutri


Cusano Mutri, a 475 metri sul livello del mare, borgo medievale nella provincia di Benevento incastonato tra i monti ed immerso nella natura del Parco Regionale del Matese, al confine tra Campania e Molise. Oggi rientra nel club dei borghi più belli d’Italia, con il suggestivo centro storico e le sue bellezze paesaggistiche. Il borgo antico si sviluppò intorno al castello medioevale, i cui resti sono visibili in piazza Lago, distrutto poi da una rivolta popolare nel XVIII secolo. Poco distante, Palazzo Santagata risalente al XVIII secolo, convento degli Agostiniani. Di rilievo anche la Chiesa più antica di Cusano, la chiesa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo. L’Archivio invece è sito all’ultimo piano del palazzo municipale. In esso si conservano tutti gli atti prodotti dal comune e atti di corrispondenza con altri enti. La documentazione, in discreto stato di conservazione, si data a partire dal XIX secolo e attesta l’attività dell’ente secondo le categorie classiche delle amministrazioni comunali. L'archivio comunale non è stato ancora riordinato, pertanto, risulta difficile procedere ad una descrizione del complesso archivistico. La documentazione storica è confusa con quella di deposito. Attualmente in archivio non sono presenti strumenti di corredo.