null Vesuvio: luogo fisico e luogo culturale

Vesuvio: luogo fisico e luogo culturale

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Vesuvio: luogo fisico e luogo culturale

Nell'immaginario comune il Vesuvio è il simbolo stesso di Napoli e, se vogliamo, dell’intera Campania. Dall'alto dei suoi oltre 1200 metri, il vulcano non è soltanto un ambiente fisico ma anche un punto di riferimento culturale, un luogo di vita quanto di morte, che, con la sua forte simbologia, ha inciso sull'identità culturale di una città e di una regione.

1

Il Vesuvio fisico

Il vulcano fa parte di un più ampio complesso formato dal Vesuvio stesso e dal monte Somma.
Il complesso Somma-Vesuvio si è sviluppato nel corso di oltre 400.000 anni. Dal punto di vista vulcanologico, esso rientra nella categoria degli stratovulcani, in particolare tra i cosiddetti “vulcani a recinto”. In pratica, il vulcano più antico, il Somma, è stato in parte demolito dalle eruzioni e nella sua caldera si venuto formando il più giovane Gran Cono del Vesuvio.

2

L’Osservatorio Vesuviano e il Parco Vesuviano

I due enti sono un fiore all’occhiello della ricerca e della tutela del territorio nazionale.

L’osservatorio è il più antico del mondo ed è stato fondato nel 1841 dal re Ferdinando II di Borbone. Dal 2001 è parte dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. La sede storica sul Vesuvio ospita un museo vulcanologico. Il parco è stato istituito il 5 giugno 1995 per tutelare le ricchezze naturali, paesaggistiche e storiche dell’area. Il territorio vesuviano è, infatti, un eccellente esempio di biodiversità.

3

Le eruzioni tra il 79 d.C. e il 1631

Il Vesuvio rappresenta dunque sì un luogo di vita ma non dobbiamo mai dimenticare la natura altamente pericolosa del vulcano.  
Di questa dicotomia era già consapevole il geografo Strabone (morto presumibilmente intorno al 24 d.C.), che, infatti, descrivendo il Vesuvio, dipinge un panorama sterile, fatto di cenere e rocce «corrose dal fuoco». Tuttavia, quella stessa cenere generata dal fuoco aveva “concimato” i terreni circostanti, rendendoli estremamente fertili e contribuendo a creare campagne amene e ubertose (Geografia 5.4.8). 

4

Le eruzioni del Novecento

Tra il 1631 e il 1944 il Vesuvio ha alternato brevi momenti di inattività, chiusi da eruzioni violente, e cicli eruttivi. 
L'eruzione del 1906 ebbe un testimone d’eccezione: Giuseppe Mercalli, lo studioso cui si deve l’omonima scala di intensità sismica. Da alcuni segnali, egli si accorse di come si stesse preparando una forte attività esplosiva: l’eruzione di quell'anno è stata, difatti, la più violenta tra quelle del Novecento.

5

Il Vesuvio di Bruno e Leopardi

Vita e morte, orizzonte e confine da valicare sono i simboli che si assommano nell'immagine del Vesuvio. 
Per il filosofo Giordano Bruno, come racconta egli stesso nella sua opera De immenso et innumerabilibus (II, 8), il vulcano costituì inizialmente l’orizzonte mentale, oltre che geografico, al di là del quale il giovane nolano non riusciva ad andare. Montagna che incute paura, simbolo di tutto ciò che è strano e sconosciuto nell'universo, la sua fisionomia cambia quando Bruno giunge a Napoli.

6

Il Vesuvio letterario e il Vesuvio reale di Matilde Serao

Un Vesuvio tra la leggenda e la minaccia è quello che emerge dalla penna di una delle più grandi scrittrici del Novecento: Matilde Serao.
L’autrice fu testimone oculare della tremenda eruzione del 1906, trasmettendo le sue cronache al quotidiano Il giorno per poi raccogliere la sua intera testimonianza nel diario dell’eruzione “Sterminator Vesevo” (Napoli 1906). Serao descrive con penna efficace e realistica sia la grande dignità del popolo di Boscotrecase, guidato e consolato dal suo parroco, sia il terrore che annienta ogni raziocinio provocato dalla furia del vulcano.

7

Il “rischio Vesuvio” tra passato e futuro

Quello della minaccia del vulcano è infatti un tema affatto nuovo che incombe sui paesi del Golfo di Napoli.
Di “rischio Vesuvio” si parla da tempo: nel 1995 venne presentata la prima versione (poi aggiornata) del Piano Nazionale di Emergenza della Protezione civile che suddivideva l’area vesuviana in tre zone (rossa, gialla e blu) in base alla pericolosità. In particolare si è cercato di ovviare alla pressione demografica e frenare l’abusivismo edilizio che ha portato a costruire fino alle falde del vulcano.

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Vesuvio: luogo fisico e luogo culturale

Nell'immaginario comune il Vesuvio è il simbolo stesso di Napoli e, se vogliamo, dell’intera Campania. Dall'alto dei suoi oltre 1200 metri, il vulcano non è soltanto un ambiente fisico ma anche un punto di riferimento culturale, un luogo di vita quanto di morte, che, con la sua forte simbologia, ha inciso sull'identità culturale di una città e di una regione.

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Il Vesuvio fisico

Il vulcano fa parte di un più ampio complesso formato dal Vesuvio stesso e dal monte Somma.
Il complesso Somma-Vesuvio si è sviluppato nel corso di oltre 400.000 anni. Dal punto di vista vulcanologico, esso rientra nella categoria degli stratovulcani, in particolare tra i cosiddetti “vulcani a recinto”. In pratica, il vulcano più antico, il Somma, è stato in parte demolito dalle eruzioni e nella sua caldera si venuto formando il più giovane Gran Cono del Vesuvio.

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L’Osservatorio Vesuviano e il Parco Vesuviano

I due enti sono un fiore all’occhiello della ricerca e della tutela del territorio nazionale.

L’osservatorio è il più antico del mondo ed è stato fondato nel 1841 dal re Ferdinando II di Borbone. Dal 2001 è parte dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. La sede storica sul Vesuvio ospita un museo vulcanologico. Il parco è stato istituito il 5 giugno 1995 per tutelare le ricchezze naturali, paesaggistiche e storiche dell’area. Il territorio vesuviano è, infatti, un eccellente esempio di biodiversità.

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Le eruzioni tra il 79 d.C. e il 1631

Il Vesuvio rappresenta dunque sì un luogo di vita ma non dobbiamo mai dimenticare la natura altamente pericolosa del vulcano.  
Di questa dicotomia era già consapevole il geografo Strabone (morto presumibilmente intorno al 24 d.C.), che, infatti, descrivendo il Vesuvio, dipinge un panorama sterile, fatto di cenere e rocce «corrose dal fuoco». Tuttavia, quella stessa cenere generata dal fuoco aveva “concimato” i terreni circostanti, rendendoli estremamente fertili e contribuendo a creare campagne amene e ubertose (Geografia 5.4.8). 

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Le eruzioni del Novecento

Tra il 1631 e il 1944 il Vesuvio ha alternato brevi momenti di inattività, chiusi da eruzioni violente, e cicli eruttivi. 
L'eruzione del 1906 ebbe un testimone d’eccezione: Giuseppe Mercalli, lo studioso cui si deve l’omonima scala di intensità sismica. Da alcuni segnali, egli si accorse di come si stesse preparando una forte attività esplosiva: l’eruzione di quell'anno è stata, difatti, la più violenta tra quelle del Novecento.

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Il Vesuvio di Bruno e Leopardi

Vita e morte, orizzonte e confine da valicare sono i simboli che si assommano nell'immagine del Vesuvio. 
Per il filosofo Giordano Bruno, come racconta egli stesso nella sua opera De immenso et innumerabilibus (II, 8), il vulcano costituì inizialmente l’orizzonte mentale, oltre che geografico, al di là del quale il giovane nolano non riusciva ad andare. Montagna che incute paura, simbolo di tutto ciò che è strano e sconosciuto nell'universo, la sua fisionomia cambia quando Bruno giunge a Napoli.

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Il Vesuvio letterario e il Vesuvio reale di Matilde Serao

Un Vesuvio tra la leggenda e la minaccia è quello che emerge dalla penna di una delle più grandi scrittrici del Novecento: Matilde Serao.
L’autrice fu testimone oculare della tremenda eruzione del 1906, trasmettendo le sue cronache al quotidiano Il giorno per poi raccogliere la sua intera testimonianza nel diario dell’eruzione “Sterminator Vesevo” (Napoli 1906). Serao descrive con penna efficace e realistica sia la grande dignità del popolo di Boscotrecase, guidato e consolato dal suo parroco, sia il terrore che annienta ogni raziocinio provocato dalla furia del vulcano.

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Il “rischio Vesuvio” tra passato e futuro

Quello della minaccia del vulcano è infatti un tema affatto nuovo che incombe sui paesi del Golfo di Napoli.
Di “rischio Vesuvio” si parla da tempo: nel 1995 venne presentata la prima versione (poi aggiornata) del Piano Nazionale di Emergenza della Protezione civile che suddivideva l’area vesuviana in tre zone (rossa, gialla e blu) in base alla pericolosità. In particolare si è cercato di ovviare alla pressione demografica e frenare l’abusivismo edilizio che ha portato a costruire fino alle falde del vulcano.