L’avvento sul trono di Carlo di
Borbone segna un momento significativo per la storia del seicentesco palazzo
vicereale, che divenne finalmente reale, pur rivelandosi impreparato ad
accogliere un sovrano. Già verso il 1730, dopo una serie di interventi che per
oltre un secolo avevano caratterizzato l’impianto originario, i viceré
austriaci, preoccupati di una nuova guerra, abbandonarono ogni iniziativa sul palazzo
per concentrare le risorse economiche sui preparativi militari. Nel 1734, il Palazzo Reale versava in uno stato di
abbandono, tanto che, per renderlo abitabile, fu necessario ricorrere
all’affitto di arredi e suppellettili presso l’aristocrazia locale. Carlo
attuò subito un rapido programma di ampliamento e rinnovamento degli spazi
interni, spinto sia dalla necessità di accogliere una corte degna di una
capitale e disporre di spazi da destinare alle attività amministrative,
politiche e di governo, sia dalla volontà di lasciare il segno della nuova
monarchia, con i migliori auspici per la corona borbonica.Gli interventi riguardarono la
realizzazione del “quarto” (appartamento)
per il maggiordomo maggiore (1734) e la costruzione della nuova ala
residenziale (1737), il cosiddetto Braccio
Nuovo – oggi sede della Biblioteca Nazionale –, nonché la decorazione
pittorica e la fornitura di arredi, molti dei quali provenienti dalla ricca raccolta Farnese, che qui giunse in
deposito dall’eredità dalla madre Elisabetta, la regina di Spagna. Nel 1745, su
progetto dell’ingegnere Biase De Lellis, fu prolungato il Belvedere, il terrazzo panoramico sito sul lato meridionale del palazzo
con il giardino pensile, che dà nome al lungo cortile e caratterizza il fronte
a mare. Pochi sono gli elementi di arredo di questo periodo ancora presenti,
tra cui segnaliamo una coppia di poltrone di Gennaro Arata e uno sgabello a
zampa di leone (sala XX), oltre a orologi e ceramiche di Capodimonte che
dovevano arricchire gli ambienti con soffitti rococò, rivestiti di foglie d’oro
e articolate decorazioni in stucco. Non
si riscontra altrettanto interesse per quel che restava del vecchio parco all’italiana,
poi in parte occupato dal Teatro di San Carlo e dal Braccio Nuovo. Nonostante
il prolungamento di oltre 70 metri del terrazzo del Belvedere e la sistemazioni di giardini pensili, i giardini del
palazzo più che quelli di una reggia appariranno a lungo aree verdi frammentarie
realizzate in epoche diverse, mentre Carlo indirizzerà le sue attenzioni alle
architetture di parchi e giardini verso i siti reali.Nei primi anni Cinquanta, date le
gravi condizioni statiche in cui versava il portico della facciata principale,
si resero necessari dei lavori di consolidamento. Nel 1753, su progetto di Luigi Vanvitelli, furono rafforzate le
fondazioni del portico e murate alternativamente otto delle sedici arcate. Con
la partenza di Carlo per la Spagna (1759), la corte borbonica si occupò
principalmente del completamento delle opere già avviate dal sovrano.
, Nel 1734, la riconquista del
Regno di Napoli da parte degli spagnoli e l’avvento sul trono di Carlo di Borbone
segnarono momenti significativi per la storia del seicentesco palazzo vicereale,
che divenne finalmente reale, ma si rivelò ancora impreparato ad accogliere un
sovrano. Già verso il 1730, dopo una serie di interventi che per oltre un
secolo avevano completato e ampliato l’impianto originario, i viceré austriaci,
preoccupati di un’invasione spagnola e di una nuova guerra, abbandonarono ogni
iniziativa riguardante il palazzo per concentrare le risorse economiche sui
preparativi militari. All’arrivo di Carlo, il
Palazzo Reale versava in uno stato di totale abbandono, tanto che,
per renderlo abitabile, fu necessario ricorrere all’affitto di arredi e
suppellettili presso l’aristocrazia locale. Grazie al programma di interventi
attuato dal sovrano, questa situazione durò soltanto pochi mesi. Fin
dai primi anni di regno, Carlo attuò un programma di ampliamento e di rinnovamento
degli spazi interni del palazzo, spinto sia dalla necessità di accogliere una
corte degna di una capitale e di disporre di spazi da destinare alle nuove
attività amministrative, politiche e di governo, sia dalla volontà di lasciare il
segno della nuova monarchia, con i migliori auspici per la corona borbonica. Gli interventi riguardarono la
realizzazione del “
quarto” (appartamento)
per il maggiordomo maggiore (1734) e la costruzione della nuova ala
residenziale (1737), detta “
Nuovo
Braccio” – oggi sede della Biblioteca Nazionale –, nonché la decorazione
pittorica e la cura per gli arredi, molti dei quali provenienti dalla ricca
raccolta Farnese, ereditata dalla madre
Elisabetta, che qui giunse e fu inizialmente in deposito, la regina di Spagna.
Nel 1745, su progetto dell’ingegnere Biase De Lellis, fu prolungato il
Belvedere, il terrazzo panoramico
situato sul lato meridionale del palazzo con il suo giardino pensile, che dà
nome al lungo cortile e che caratterizza il fronte a mare. Pochi sono gli
elementi di arredo di questo periodo ancora presenti a palazzo, tra cui
segnaliamo una coppia di poltrone di Gennaro Arata e uno sgabello a zampa di
leone nella sala XX, oltre a orologi e ceramiche di Capodimonte che dovevano
arricchire gli ambienti con soffitti rococò, rivestiti di foglie d’oro e
articolate decorazioni in stucco. Non
si riscontra altrettanto interesse per quel che restava del vecchio parco all’italiana,
poi in parte occupato dal Teatro di San Carlo e dal Braccio Nuovo. Nonostante
il prolungamento di oltre 70 metri del terrazzo del Belvedere e la sistemazioni di giardini pensili, i giardini del
palazzo più che quelli di una reggia appariranno a lungo aree verdi frammentarie
realizzate in epoche diverse, mentre Carlo indirizzerà le sue attenzioni alle
architetture di parchi e giardini verso i siti reali. Nei primi anni Cinquanta, date le
gravi condizioni statiche in cui versava il portico della facciata principale,
si resero necessari dei lavori di consolidamento. Nel 1753, su progetto di
Luigi Vanvitelli, furono rafforzate le
fondazioni del portico e murate alternativamente otto delle sedici arcate. Con
la partenza di Carlo per la Spagna (1759), la corte borbonica si occupò
principalmente del completamento delle opere già avviate dal sovrano.
, Edificato per ordine di Filippo III di Spagna nel 1600, il Palazzo Reale di Napoli fu inizialmente residenza storica dei vicerè spagnoli. Venne notevolmente ampliato e abbellito dai sovrani borbonici dopo il 1734. È ubicato in Piazza del Plebiscito a Napoli e ospita, oltre agli antichi Appartamenti Reali, il Teatro di San Carlo, il Giardino e, dagli inizi del Novecento, la Biblioteca Nazionale "Vittorio Emanuele III"., Chi, entrando nel
Palazzo Reale di Napoli, carico di secoli e di dinastie, decide di voler visitare gli appartamenti legati alla storia di
Gioacchino Murat e della sua famiglia, non lo faccia con il gusto di chi cerca il fasto pubblico, ma con quello, piuttosto, di chi ama la tranquillità delle dimore private.
E’ nelle stanze “domestiche” del re e della moglie Carolina (la sorella del grande Napoleone!), affacciate sull’
incantevole Belvedere a mare del Palazzo, che si svolgeva la vita di una famiglia borghese alla quale il valore e la sorte avevano regalato la incerta, pericolosa fortuna di diventare sovrani di Napoli.
Una piccola scala segreta conduceva dalla sua sala da pranzo al nostro appartamento.
Lui solo ne aveva la chiave e veniva a vederci in ogni momento in cui era libero dalle sue occupazioni”, racconta del padre la figlia Luisa nei suoi preziosi Souvenirs, regalandoci anche, di quei giorni lontani, l’immagine di una mamma che scherza con loro adagiata su un lettino di raso rosa.
Questa grazia borghese, di cui la descrizione del “nuovo gran bagno” con “un bidet di mogano, con vasca d’argento” fatto venire apposta da Parigi è un complemento tutt’altro che trascurabile, non impedisce, tuttavia, alla memoria di Murat all’interno del Palazzo Reale di conservare in pieno la forza di una breve, ma non effimera vita storica. Così deve dirsi della Sala del trono, dove “le due grandi sedie a braccio del Re e della Regina” stavano a ricordare il ruolo non secondario svolto da Carolina in quei pochi, turbinosi anni. Così nel Salone del Re, dove il ritratto di Napoleone dipinto da Gerard (ora a Capodimonte) ammoniva chi veniva ricevuto dal re di Napoli – e soprattutto il re di Napoli stesso - che la vera origine di quella sovranità non era nelle luminose stanze affacciate sul golfo, ma nelle assai più severe stanze abitate, a Parigi, dall’Imperatore.
(NMdA), Il nucleo più antico del Palazzo, in origine destinato a residenza dei
Vicerè spagnoli, corrisponde a quello che prospetta su Piazza del Plebiscito e si articola intorno al cortile d'onore.
La costruzione fu avviata nel 1600 dall'architetto
Domenico Fontana.
A partire dall'insediamento della dinastia borbonica (1734) il Palazzo, è stato più volte ampliato fino ad assumere l'articolata struttura odierna.
Il piano nobile costituisce il
Museo dell'Appartamento Storico di Palazzo Reale, al quale si accede dal maestoso scalone, che fu costruito da
Francesco Antonio Picchiatti (1651-66) e poi modificato e rivestito di preziosi marmi policromi da
Gaetano Genovese (1838-58).
L'Appartamento Storico è costituito da una solenne successione di saloni di rappresentanza, ciascuno dei quali era destinato ad una precisa funzione secondo il cerimoniale di corte.
All'interno delle sale si possono ammirare sontuosi arredi e raffinati oggetti d'arte applicata e dipinti di celebri pittori, come
Massimo Stanzione,
Luca Giordano,
Mattia Preti o
Bartolomeo Schedoni.
Fra gli ambienti più belli la
Sala degli Ambasciatori con la volta affrescata da
Belisario Corenzio (inizio XVII sec.) e la sala piccola la cui volta fu affrescata da
Battistello Caracciolo (1611 ca.) con
Storie di Consalvo de Cordoba; sono questi gli unici ambienti a conservare l'originaria decorazione seicentesca.
Di grande pregio è poi il cosiddetto
Studio di Murat, arredato con mobili francesi di stile impero opera dell'ebanista
Weisweiler (1810).
Gli antichi saloni ospitano numerosi pregevoli arazzi di manifattura napoletana (XVIII sec.); la
Cappella Palatina è
decorata da una tela di
Domenico Morelli (1869), mentre il prezioso
altare in marmi policromi (sec. XVII) proviene dalla
Chiesa di S. Teresa degli Scalzi.