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Siti reali borbonici

I siti reali borbonici in Campania sono testimonianze grandiose del periodo in cui la dinastia dei Borbone governava il Regno di Napoli e delle Due Sicilie. Questi luoghi, oggi Patrimonio dell'Umanità UNESCO, offrono uno spaccato della vita e dell'arte del XVIII e XIX secolo.

TAPPA 1

Palazzo Reale

TAPPA 2

Museo e Real Bosco di Capodimonte, Collezione d'Avalos

La Collezione D’Avalos nacque nel corso del Cinquecento con Alfonso II, marchese di Pescara, e perdurò fino ai primi anni del XIX secolo con l'ultimo mecenate di famiglia Alfonso V d'Avalos. Gran parte della raccolta fu smembrata nel corso degli anni, dove furono venduti alcuni dei pezzi più preziosi, fino a quando, nel 1862, ciò che ne restava non confluì interamente nella Pinacoteca di Napoli

La collezione, che comunque si componeva di opere eterogenee, includeva pitture di Tiziano, oggi sparse in diversi musei del mondo, dove sono ritratti alcuni esponenti della famiglia, opere fiamminghe dei tessitori Bernard van Orley, Jan e William Dermoyen, che eseguirono i preziosi arazzi della battaglia di Pavia, ed infine tele del Seicento napoletano, prettamente a tema mitologico, di Pacecco De Rosa, Andrea Vaccaro e Luca Giordano.  

Si tratta di una delle più importanti collezioni d'arte della Napoli del Seicento, assieme a quella Vandeneynden e Roomer. 

La collezione iniziò con il marchese Alfonso II intorno alla metà del Quattrocento, che con Costanza d'Avalos, duchessa di Francavilla, contessa di Acerra e governatrice di Ischia, avviarono le prime commesse private di opere pittoriche. Alfonso III d'Avalos, nipote di Alfonso II e Costanza, continuò nel XVI secolo il mecenatismo, riuscendo nel contempo a estendere lo spessore culturale della famiglia oltre i territori vicereali: celebre infatti era il suo legame con Ludovico Ariosto negli anni in cui il nobile spagnolo-napoletano divenne governatore del ducato di Milano.

Con quattro degli otto figli che ebbe Alfonso III (Francesco Ferdinando, Innico, Cesare e Carlo) la famiglia iniziò a dividersi in più rami, tra cui i principali (sotto il profilo del mecenatismo) furono quello napoletano di Montesarchio e quello abruzzese del Vasto. Venuti a mancare prematuramente i due maschi discendenti di Carlo, la moglie Sveva Gesualda cedette il titolo di principe di Montesarchio ad un figlio di Cesare, Giovanni d'Avalos.

La collezione si intensificò sotto il ramo d'Avalos di Montesarchio dapprima con Giovanni e successivamente, alla morte di questi avvenuta nel 1638, con il figlio Andrea, pluridecorato condottiero e politico impegnato nella difesa di Napoli sotto il dominio della corona spagnola. La collezione del ramo di Montesarchio era conservata nel palazzo di famiglia di Chiaia risultando particolarmente prestigiosa già all'epoca, tra le migliori del casato, tant'è che il Celano la descrisse ne le sue Notizie del 1692 come «casa nobilissima dei d'Avalos, ricca di famosi quadri».

Parallelamente al ramo napoletano di Montesarchio, sul finire del Seicento giocò un grosso ruolo di mecenate anche la figura di Cesare Michelangelo d'Avalos, marchese del Vasto e di Pescara, principe di Isernia e Francavilla, che nella propria residenza abruzzese allestì una biblioteca di ottocentotrenta volumi oltre ad una ricca collezione di opere d'arte. A causa dei debiti accumulati nella sua concitata vita, fu infatti esiliato, prima a Roma e poi a Vienna, Cesare Michelangelo morì nel 1729 con la messa in vendita della collezione.

Successivamente a questa spoliazione avviene il trasferimento definitivo delle opere superstiti dal palazzo di Vasto a quello di Napoli, ricongiungendo le collezioni d'Avalos in una sola. A partire dal 1751-1754 si costituì la pinacoteca d'Avalos del palazzo nobiliare di Napoli, con le tele "abruzzesi" invendute che si aggiunsero alla collezione napoletana, le cui stanze furono ripensate e risistemate per l'occasione dall'architetto Mario Gioffredo.

Con il nipote di Giambattista, Tommaso d'Avalos, invece, secondo alcune fonti sarebbe avvenuto il rientro nella raccolta familiare degli arazzi della battaglia di Pavia, che intanto furono venduti, per poi giungere nei possedimenti del patrizio Daniele Dolfin intorno al 1774. Dopo essere stati portati a Vienna, questi sarebbero poi tornati nuovamente in possesso della famiglia d'Avalos tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo, quando vennero riacquistati appunto da Tommaso.

Intorno all'Ottocento, gli arazzi risultano registrati nel piano nobile del palazzo d'Avalos di via dei Mille a Napoli. La collezione d'Avalos rimase nel palazzo di Chiaia a Napoli sotto la proprietà della famiglia fino al 1862, quando l'ultimo dei discendenti dei rami di Vasto, Pescara-Francavilla, Troia e Montesarchio, Alfonso V, nipote di Tommaso, la donò al neo-nato Stato italiano. Dopo diverse controversie legate ai lasciti testamentari della raccolta, in quanto gli eredi del casato ne rivendicarono successivamente la proprietà, la collezione divenne ufficialmente patrimonio dello Stato italiano solo nel 1862.

A partire dal 1957 gran parte del nucleo di opere facenti parte dell'inventario trovò collocazione nel Museo nazionale di Capodimonte. Circa 35 pezzi della collezione, in particolare quelle a carattere mitologico di Luca Giordano, furono collocati tra il 1926 e il 2012 negli edifici di rappresentanza pubblica della città (villa Rosebery, villa Floridiana ed altri) e dello Stato italiano (Camera dei deputati e Senato). 

TAPPA 3

Reggia di Portici

La tradizione narra che l’idea di costruire una residenza estiva reale a Portici nacque dalla regina Maria Amalia, che, qui approdata con il re per ripararsi da una burrasca, era stata tanto incantata dall’amenità del sito da proporre di passarvi lunghi periodi; i terreni del versante costiero dell’area vesuviana erano tra i più floridi e le descrizioni coeve evidenziavano l’armonia dei sensi che contraddistingueva il territorio: il profumo della vegetazione, la salubrità dell’aria, la bellezza dei luoghi. I lavori iniziarono nel 1738 (anno in cui ripresero le attività di scavo a Ercolano) sotto la direzione dell’ingegnere Giovanni Antonio Medrano – sostituito dal 1741 da Antonio Canevari – e furono completati da Luigi Vanvitelli e Ferdinando Fuga. A lavori ultimati, il Palazzo Reale si presentava come un grande complesso di tre piani, sviluppato attorno a un cortile rettangolare ad angoli smussati, con funzione di place royale, attraverso cui passava la Strada Regia delle Calabrie, e collocato al centro di una vasta area destinata a parco per gli svaghi di corte. Fu sistemata da Francesco Geri e andava dalle pendici del Vesuvio fino a mare: quello superiore aveva alla sommità un’area dedicata alla caccia (Fagianeria), quello inferiore – sistemato a giardino – giungeva alle Peschiere reali a Villa d’Elboeuf. L’allestimento e la decorazione degli interni furono affidati a diversi artisti e artigiani: lo scenografo del Teatro di San Carlo, Vincenzo Re, dipinse le illusorie prospettive architettoniche sulle pareti e sul soffitto dell’atrio porticato del palazzo a mezzogiorno e lungo lo scalone a due rampe (1750), così come nelle sale delle Guardie e del Trono; Crescenzo Gamba è l’autore degli affreschi nelle volte (nella prima, Allegoria della Verità; nella seconda, Aurora). Una diffusa rinomanza acquisirono anche la ‘sala cinese’ e il ‘salottino di porcellana’, dai ricchi apparati decorativi ispirati all’Oriente. I reperti portati alla luce nel corso degli scavi a Ercolano e Pompei (oggi custoditi presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli) furono sistemati nelle stanze della reggia, dando luogo all’Herculanense Museum, che animò l’interesse di tutta l’Europa, orientando l’arte e la moda dell’epoca, e diventò meta privilegiata del Grand Tour. Lo studio del patrimonio archeologico fu affidato ‘in esclusiva’ alla Reale Accademia Ercolanese, istituita nel 1755 sotto la guida del segretario di Stato, Bernardo Tanucci, che diresse il gruppo e ospitò le sue riunioni presso la segreteria di Casa Reale e nella sua villa a San Giorgio a Cremano. L’Accademia si dedicò alla pubblicazione de Le Antichità di Ercolano esposte, una grandiosa impresa editoriale che si concretizzò nella stampa di otto eleganti volumi corredati di un ricchissimo repertorio iconografico: nonostante la circolazione dei tomi fosse fortemente limitata, le incisioni divennero ben presto patrimonio dell’immaginario collettivo.

, La reggia di Portici fu fatta erigere per volontà di Carlo di Borbone; pare che il sovrano, in visita con la moglie Maria Amalia di Sassonia presso la villa del Duca d'Elboeuf, rimase profondamente colpito dalla bellezza del luogo tanto da farvi costruire una residenza ufficiale i cui lavori cominciarono nel 1738 su progetto commissionato ad Antonio Canevari.Il pittore Giuseppe Bonito decorò gli interni del palazzo e lo scultore Joseph Canart si occupò delle opere scultoree del parco regio; la dimora porticese stimolò in seguito la costruzione di numerose altre dimore nelle zone vicine (Ville Vesuviane del Miglio d'oro). Con la rivoluzione napoletana del 1799 la corte reale si trasferì a Palermo portando con sè tantissime opere di inestimabile valore e reperti archeologici del vesuviano; negli anni di reggenza di Giuseppe Bonaparte le restanti antichità rimaste a Portici furono trasferite nel Real Museo di Napoli (attuale Museo Archeologico Nazionale). Soltanto con Gioacchino Murat la reggia di Portici tornò a splendere: il re francese decise di arredarla ex novo con un mobilio e un gusto tipicamente francesi; dopo Ferdinando II di Borbone il sito di Portici fu sempre meno frequentato. La reggia presenta una facciata maestosa con un cortile simile a un vero e proprio piazzale, sul lato sinistro trovano posto la caserma delle guardie reali e la cappella palatina. Il grandissimo parco è costituito da grandi viali, giardini all'inglese, fontane e opere scultoree di grandissimo valore (qui per volontà di Ferdinando IV fu allestito uno zoo con animali esotici giunti dall'estero).Oggi la Reggia di Portici ospita la Facoltà di Agraria dell'Università degli Studi di Napoli "Federico II".
TAPPA 4

Villa Favorita

Villa Favorita o Reale Villa della Favorita di Ercolano è una della più eleganti ville reali vesuviane del XVIII secolo realizzata per volere di Ferdinando IV di Borbone dall'architetto Fuga. Ampliato il parco fino a consentire lo sbocco sul mare, il sovrano decise di far costruire nuovi e spaziosi ambienti (scuderie e depositi) e saloni per feste e intrattenimento. L'edificio affaccia su Corso Resina e presenta una facciata a due piani con lesene e portali in piperno, è presente una grande scalea semicircolare in pietra che mette in comunicazione la terrazza e il parco retrostante. L'apparato decorativo interno è  frutto dell'alternarsi di stili e gusti di diversi proprietari che si sono succeduti. Philip Hackert realizzò le vedute dei porti di Napoli, le sale al primo piano furono ridecorate in stile arabeggiante e al secondo piano in stile cinese; il pavimento centrale era decorato con un pavimento a mosaico in marmo proveniente dalla villa di Tiberio a Capri e oggi al Museo di Capodimonte.
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Villa d'Elboeuf

La Villa fu fatta erigere dal duca d'Elboeuf nel 1711 su progetto di Ferdinando Sanfelice. La residenza si sviluppava su due piani, aveva molti ambienti e un grande giardino che venne arricchito con numerose testimonianze dell'antichità provenienti dagli scavi archeologici di Ercolano. Nel 1742 la villa divenne possedimento dei Borbone e trasformata in una dépendance della Reggia di Portici con  il famoso bagno della regina, un emiciclo di due piani in stile neoclassico che affacciava sul mare. Il declino del complesso cominciò quando la linea ferroviaria Napoli-Portici ne distrusse l'unità architettonica. Ancora oggi in decadenza (incendi e crolli l'hanno in buona parte distrutta al suo interno e le scale d'accesso sono state depredate delle balaustre di marmo) la villa è oggetto di accese polemiche per una sua ipotetica riqualificazione.
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Palazzo D'Avalos, Procida

Edificio dominante della Terra Murata è il Palazzo d’Avalos, costruito nel ‘500 insieme alle mura dalla famiglia D'Avalos, governatori dell’isola fino al ‘700. Nel 1830 l’edificio fu trasformato in carcere e fu chiuso definitivamente solo nel 1988. L’ex Carcere è costituito dall’intervento urbano cinquecentesco realizzato nel finire del sec. XVI per volere del Cardinale Innico d’Avalos dagli architetti Cavagna e Tortelli e fu Palazzo Signorile e successivamente Palazzo Reale dei Borbone che, nel 1815 lo trasformarono in scuola militare e poi in carcere del Regno con successivi ampliamenti.

Il complesso Monumentale è costituito dal Palazzo D’avalos, il cortile, la Caserma delle guardie, l’Edificio delle Celle singole, Edificio dei veterani, la Medicheria, la Casa del Direttore, il tenimento agricolo Spianata. Un sistema unitario ed inscindibile dalla emergenza monumentale rappresentata dal Palazzo d’Avalos che, travalicando l’interesse artistico e storico particolarmente importante per i suoi caratteri peculiari, che ne sanciscono l’appartenenza alla storia dell’architettura rinascimentale, assume anche il valore di testimonianza della storia politica, militare e urbanistica dell’isola. 

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Palazzo reale di Ischia

Il palazzo fu eretto nel 1735 per volere di Onofrio Buonocore e solo dopo la rivoluzione napoletana del 1799 fu acquistato dai Borbone. Ferdinando IV utilizzò la dimora come residenza estiva per la caccia e la pesca e come luogo ameno per le cure del corpo viste le sorgenti termali di cui era ricca la zona. Ferdinando II ordinò di far ricoprire la distesa lavica lasciata dall'eruzione del cratere dell'Arso con una grande e rigogliosa pineta con esemplari  rari provenineti anche dall'Orto Botanico di Napoli. Con la fine della dinastia reale la tenuta attraversò un periodo di declino per poi essere trasformata in uno stabilimento termale riservato al personale militare.
TAPPA 8

Real Casino di caccia di Licola Borgo

Il Real Casino di caccia di Licola era uno dei luoghi preferiti di Ferdiando IV di Borbone che qui era solito praticare le sue attività di caccia e pesca. La zona era circondata da vastissimi giardini (visibili ancora un colombario con il suo torrione), fontane e mura con anelli per legarvi i cavalli.
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Real Tenuta di caccia e pesca di Torcino a Ciorlano

Nel 1532 il borgo di Ciorlano fu concesso ai Conti Gaetani di Laurenzana di Piedimonte. Nel 1738 il duca di Laurenzana donò al re Carlo III la tenuta di Torcino che costituiva la zona più bella della contrada. Torcina era una naturale riserva di caccia che Carlo III fece diventare la più grande del tempo dandole il nome di Real Caccia di Torcina. mentre man mano i Ciorlanesi si allontanarono dalle loro terre.Anni dopo Ferdinando IV di Borbone ritenne la reale riserva non abbastanza vasta e la aggregò alle limitrofe contrade demaniali di Ciorlano denominate Cupa Mazza, Castellone e Santa Lucia, assegnando al comune la prestazione annua di 50 ducati e lasciando la possibilità ai cittadini di far pascolare gli animali.
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Real Sito di Carditello

Il Real Sito di Carditello – noto anche come Real Tenuta, Real Casino o Reggia di Carditello – è una residenza borbonica a carattere produttivo situata a quattro chilometri da San Tammaro, in provincia di Caserta. Considerata l’amenità del luogo e la bellezza del paesaggio, nel 1744 fu Carlo di Borbone a chiederne prima l’affitto annuo e poi a ordinare l’esproprio della masseria e dei territori circostanti di Giovanni D’Aquino, principe di Caramanico.

Circondato da più di duemila ettari di rigogliosi boschi e campi, in parte acquitrinosi e coperti da cardi selvatici (da cui il nome dell’area), il sito, dopo il passaggio di proprietà alla corona borbonica, divenne noto anche come Reale Delizia di Carditello. Questo nome indicava la predilezione di Carlo, così come poi di suo figlio Ferdinando, a considerare l’area come luogo privilegiato di caccia e loisir per la famiglia reale e per i membri più stretti della corte borbonica.

Carditello rappresentava molto più che una proprietà regia dove dilettarsi nell’arte venatoria e in cui trascorrere lunghi e piacevoli soggiorni lontano dalla capitale borbonica: già Carlo, ordinando le prime opere di riorganizzazione delle strutture già presenti e della campagna circostante, prevede per il sito reale una vocazione produttiva, destinando l’area paludosa all’allevamento delle bufale e trasformando Carditello, di fatto, nella prima industria casearia moderna del Regno di Napoli, nota anche come Reale Industria della pagliata delle bufale. Nota è la particolare richiesta del sovrano di produrre non solo la mozzarella, la provola e gli altri tipici latticini locali, ma anche di “importare” da Parma i segreti della produzione del formaggio parmigiano, di cui Carlo era ghiotto: infatti, il re era figlio di Elisabetta Farnese, principessa di Parma e Piacenza, e proprio nel Ducato di Parma e Piacenza aveva trascorso parte della sua adolescenza.

Oltre all’industria agricola e casearia, Carditello rappresentava per Carlo il luogo in cui allevare gli esemplari della razza equina reale, i pregiati cavalli Persano, dall’omonimo sito reale presso cui erano selezionati. Sarà poi Ferdinando a continuare le aspirazioni produttive del padre, a costruire l’elegante edificio che ancora oggi possiamo ammirare e a trasformare Carditello in un laboratorio sperimentale d’impronta illuminista votato all’agricoltura e all’allevamento.


, Il real sito di Carditello è un complesso architettonico immerso in una vasta tenuta boschiva. La dimora offriva alla corte una piacevole permanenza per le battute di caccia. Per volere di Ferdinando IV (1751-1825) fu inoltre trasformata in una tenuta modello per la coltivazione e l’allevamento delle regie razze dei cavalli. I lavori videro la collaborazione dell'architetto Francesco Collecini, stretto collaboratore del Vanvitelli., La Reggia di Carditello, complesso architettonico di stile neoclassico immerso in una vasta tenuta boschiva per una superficie di 2.100 ettari, fu a lungo dedito alla caccia e all'allevamento e trasformato poi, per volere di Ferdinando IV, in una tenuta modello per la coltivazione di specialità agricole, grano e pregiatissime razze equine e bovine. La dimora era chiamata "Reale Delizia" in quanto oltre alla funzione di azienda agricola offriva alla corte una permanenza piacevolissima tra battute di caccia e vita salubre. Il grande e antico splendore di questa Reggia, che era allo stesso tempo residenza reale, tenuta di caccia e azienda altamente specializzata, è testimoniato non soltanto da quel che resta dell'architettura del palazzo e dei giardini ma anche dalle testimonianze della letteratura artistica (Goethe infatti diede un'attenta descrizione delle tenuta di Carditello). I lavori voluti da Ferdinando IV videro la collaborazione dell'architetto Francesco Collecini, collaboratore stretto del Vanvitelli, il quale previde per l'edificio uno sviluppo a forma di doppia T comprendente il palazzo reale con il Belvedere e ambienti più bassi destinati alla produzione agricola. Dietro il Palazzo trovavano posto ampi spazi per le corse dei cavalli e una sorta di tempietto di forma circolare da cui il re assisteva agli spettacoli ippici.
TAPPA 11

Real Tenuta di Maddaloni con i ponti della valle

Inaugurato nel 1762 per volere di Carlo di Borbone, l’acquedotto Carolino è una delle opere di maggiore interesse ingegneristico del XVIII secolo. Un tracciato che si snoda per circa 38 km per alimentare il complesso di San Leucio, la Reggia di Caserta e le fontane del Parco. Il monumento è per lo più interrato, ma si può ammirare nel punto dei Ponti della Valle, una struttura alta 95 metri, su tre livelli, che attraversa la Valle di Maddaloni., L’acquedotto, denominato Carolino in onore del re Carlo di Borbone e progettato da Luigi Vanvitelli, costituisce una grandiosa opera pubblica di ingegneria idraulica tra le più importanti realizzate dai Borbone. Al fine di approviggionare l'area intorno alla Reggia e di potenziare la città di Napoli fu realizzato l'acquedotto, opera che richiese sedici anni di lavoro e il supporto dei più stimati studiosi e matematici del Regno. Fu riconosciuta come una delle opere di maggiore interesse architettonico e ingegneristico del XVIII secolo. Oggi l'acquedotto, noto come "I ponti della Valle" è perfettamente conservato, attraversa la valle di Maddaloni e congiunge il monte Longano con il monte Garzano, è costituita da tre ordini di arcate poggianti su 44 piloni a pianta quadrata (modello degli acquedotti romani).
TAPPA 12

Reggia di Caserta

TAPPA 13

Real Sito di San Leucio

La Real Colonia serica di San Leucio nasce nel 1789 per volere di Ferdinando IV di Borbone. Vero e proprio centro manifatturiero serico a ciclo completo, fu un caso unico in Europa di una fabbrica all’interno di una dimora reale. Al suo interno vivevano artigiani di diversa provenienza e ben presto i pregiati tessuti qui prodotti divennero famosi presso le più prestigiose corti europee. È stato eletto Patrimonio dell’umanità dall’UNESCO nel 1997., La collina di San Leucio fu acquistata, nel 1750, da Carlo III di Borbone dai principi Acquaviva di Caserta con l'obiettivo di realizzarne una grande riserva di caccia e residenze secondarie per la famiglia reale. In seguito re Ferdinando IV vi istituì una fabbrica per la manifattura della Seta avviando una politica commerciale e industriale tra le più fortunate: San Leucio divenne un importantissimo centro manifatturiero, fu istituita la Colonia di San Leucio;la promulgazione di uno speciale Codice di Leggi. Alle maestranze locali si aggiunsero presto maestranze francesi, genovesi e messinesi molti dei quali lavoravano nelle seterie e abitavano a S. Leucio ove erano state predisposte dimore per i lavoratori e scuole di alta formazione.
TAPPA 14

Casina del Fusaro

La zona del Fusaro dal 1752 divenne un'area riservata alla caccia e alla pesca dei Borbone i quali decisero di affidare a Luigi Vanvitelli le prime opere architettoniche sul posto tra cui l'iniziale progetto della Casina "Vanvitelliana". La Casina fu realizzata però nel 1782 da Carlo Vanvitelli (figlio di Luigi) con un ardito progetto che re Ferdinando IV volle dedicare alla seconda moglie morganatica. La pianta, poligonale, è fissata nel vivo di una grossa base vulcanica circolare, stretta in blocchi cubici. La Casina è in stile neoclassico e fa ricorso a volumi e ampie vetrate, la pianta è costituita da tre corpi ortogonali che s'intersecano e da un lungo pontile che collega la Casina alla sponda del lago.
TAPPA 15

Reggia di Quisisana in Castellammare di Stabia

Il Palazzo reale di Quisisana ha una storia molto antica e controversa: risalente al 1200 circa è stato residenza di palazzo, collegio e albergo e, dopo un lungo periodo di abbandono, è stato restaurato solo nel 2009.Passò sotto la discendenza angioina poi aragonese fino a quando Carlo di Borbone e poi Ferdinando IV decisero di avviare lavori di restauro ed ampliamento del complesso: i corpi edilizi vennero uniti in una sola struttura a forma di L; fu realizzata una grande terrazza, circa cento stanze e una cappella. Fu sistemato il giardino con fontane e sedute in marmo, furono costruite una casa colonica, una chiesa, una masserie e le scuderie reali. La reggia di Quisisana divenne una tappa obbligata del Grand Tour.
Oggi in sede si svolgono incontri culturali e letterari e in estate, in particolare d'estate concerti di musica classica.
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Real Casino del Demanio di Calvi

La Tenuta di Calvi può considerarsi "borbonica" dagli anni Settanta del Settecento quando sia Carlo di Borbone che il figlio Ferdinando IV intrapresero una graduale opera d’usurpazione del Demanio di Calvi. Il Demanio di Calvi divenne prevalentemente un sito di caccia, destinato al solo divertimento dei sovrani che qui costruirono un Casino Reale con ambienti destinati ai contadini al pianoterreno e dimore per re e cortigiani ubicati al primo piano. Dopo la caduta del regno borbonico i due comuni di Calvi e Sparanise reclamarono il possesso del Demanio.
TAPPA 17

Ospedale di S. Maria della Pace

L'antico palazzo appartenuto a Sergianni Caracciolo, Gran Siniscalco del regno al tempo di Giovanna II, fu acquistato, nel 1587 dai frati ospedalieri dell'Ordine di San Giovanni di Dio, detti "Fatebenefratelli", i quali vi insediarono un ospedale che è stato attivo fino al 1974. Al primo Quattrocento risale il superbo portale di gusto durazzesco oltre il quale si accede ai cortili intorno ai quali si articolavano il convento e l'ospedale. Di grande suggestine è la sala del lazzarretto: una lunghissima aula decorata da affreschi che fungeva da corsia per i degenti, le pareti presentano un ballatoio a metà altezza che serviva ai medici per osservare i pazienti senza doversi avvicinare evitando così il contagio.

Info utili

Mezzo di trasporto consigliato Macchina Durata percorso 7 giorni  Accessibile a persone con disabilità
Categoria itinerario Tematico N° tappe 17  TAPPE

Per saperne di più

Quando Carlo di Borbone arrivò a Napoli, fu affascinato dalle bellezze naturali del Regno, ideali per la caccia, sua grande passione. Luoghi come Procida, Licola, Astroni, Agnano e Persano divennero suoi possedimenti tramite permute, acquisti ed espropri. Caserta, ad esempio, fu espropriata perché il suo proprietario era filo-austriaco, mentre Procida fu sottratta ai d’Avalos e Portici acquistata dal conte di Palena.

Michelangelo Schipa, in "Il Regno di Napoli al tempo di Carlo di Borbone", descrive come queste proprietà divennero "reali delizie", riservate al piacere della famiglia reale. Ogni sito aveva un intendente specifico, ben remunerato e dotato di carrozza e cocchiere. Questi luoghi restarono legati alla Real Casa e, dal 1789, furono gestiti da un'amministrazione autonoma separata dalle finanze statali, un fatto senza precedenti storici. Col tempo, altri territori furono acquisiti anche da Ferdinando, il figlio di Carlo, come la Grancia di Tressanti, i laghi di Agnano e Licola, e vari terreni nel Tavoliere delle Puglie. Fino al maggio 1821, questi beni furono amministrati dalla Direzione dei Beni Riservati, poi furono incamerati alla Real Casa. La documentazione amministrativa prodotta fino al 1860 è di grande importanza storica e tecnica.

I beni includevano il Palazzo Reale di Napoli, la Reggia di Capodimonte, la Reggia di Portici, il Palazzo d’Avalos di Procida, e molti altri. Questi siti rappresentano un patrimonio unico in Europa per architettura, dimensioni, stili e paesaggi, mostrando una fusione originale tra le culture mediterranea, francese, inglese e mitteleuropea.