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Siti reali borbonici

I siti reali borbonici in Campania sono testimonianze grandiose del periodo in cui la dinastia dei Borbone governava il Regno di Napoli e delle Due Sicilie. Questi luoghi, oggi Patrimonio dell'Umanità UNESCO, offrono uno spaccato della vita e dell'arte del XVIII e XIX secolo.

STAGE 1

Palazzo Reale

L’avvento sul trono di Carlo di Borbone segna un momento significativo per la storia del seicentesco palazzo vicereale, che divenne finalmente reale, pur rivelandosi impreparato ad accogliere un sovrano. Già verso il 1730, dopo una serie di interventi che per oltre un secolo avevano caratterizzato l’impianto originario, i viceré austriaci, preoccupati di una nuova guerra, abbandonarono ogni iniziativa sul palazzo per concentrare le risorse economiche sui preparativi militari. Nel 1734, il Palazzo Reale versava in uno stato di abbandono, tanto che, per renderlo abitabile, fu necessario ricorrere all’affitto di arredi e suppellettili presso l’aristocrazia locale. Carlo attuò subito un rapido programma di ampliamento e rinnovamento degli spazi interni, spinto sia dalla necessità di accogliere una corte degna di una capitale e disporre di spazi da destinare alle attività amministrative, politiche e di governo, sia dalla volontà di lasciare il segno della nuova monarchia, con i migliori auspici per la corona borbonica.Gli interventi riguardarono la realizzazione del “quarto” (appartamento) per il maggiordomo maggiore (1734) e la costruzione della nuova ala residenziale (1737), il cosiddetto Braccio Nuovo – oggi sede della Biblioteca Nazionale –, nonché la decorazione pittorica e la fornitura di arredi, molti dei quali provenienti dalla ricca raccolta Farnese, che qui giunse in deposito dall’eredità dalla madre Elisabetta, la regina di Spagna. Nel 1745, su progetto dell’ingegnere Biase De Lellis, fu prolungato il Belvedere, il terrazzo panoramico sito sul lato meridionale del palazzo con il giardino pensile, che dà nome al lungo cortile e caratterizza il fronte a mare. Pochi sono gli elementi di arredo di questo periodo ancora presenti, tra cui segnaliamo una coppia di poltrone di Gennaro Arata e uno sgabello a zampa di leone (sala XX), oltre a orologi e ceramiche di Capodimonte che dovevano arricchire gli ambienti con soffitti rococò, rivestiti di foglie d’oro e articolate decorazioni in stucco. Non si riscontra altrettanto interesse per quel che restava del vecchio parco all’italiana, poi in parte occupato dal Teatro di San Carlo e dal Braccio Nuovo. Nonostante il prolungamento di oltre 70 metri del terrazzo del Belvedere e la sistemazioni di giardini pensili, i giardini del palazzo più che quelli di una reggia appariranno a lungo aree verdi frammentarie realizzate in epoche diverse, mentre Carlo indirizzerà le sue attenzioni alle architetture di parchi e giardini verso i siti reali.Nei primi anni Cinquanta, date le gravi condizioni statiche in cui versava il portico della facciata principale, si resero necessari dei lavori di consolidamento. Nel 1753, su progetto di Luigi Vanvitelli, furono rafforzate le fondazioni del portico e murate alternativamente otto delle sedici arcate. Con la partenza di Carlo per la Spagna (1759), la corte borbonica si occupò principalmente del completamento delle opere già avviate dal sovrano.

, Nel 1734, la riconquista del Regno di Napoli da parte degli spagnoli e l’avvento sul trono di Carlo di Borbone segnarono momenti significativi per la storia del seicentesco palazzo vicereale, che divenne finalmente reale, ma si rivelò ancora impreparato ad accogliere un sovrano. Già verso il 1730, dopo una serie di interventi che per oltre un secolo avevano completato e ampliato l’impianto originario, i viceré austriaci, preoccupati di un’invasione spagnola e di una nuova guerra, abbandonarono ogni iniziativa riguardante il palazzo per concentrare le risorse economiche sui preparativi militari. All’arrivo di Carlo, il Palazzo Reale versava in uno stato di totale abbandono, tanto che, per renderlo abitabile, fu necessario ricorrere all’affitto di arredi e suppellettili presso l’aristocrazia locale. Grazie al programma di interventi attuato dal sovrano, questa situazione durò soltanto pochi mesi. Fin dai primi anni di regno, Carlo attuò un programma di ampliamento e di rinnovamento degli spazi interni del palazzo, spinto sia dalla necessità di accogliere una corte degna di una capitale e di disporre di spazi da destinare alle nuove attività amministrative, politiche e di governo, sia dalla volontà di lasciare il segno della nuova monarchia, con i migliori auspici per la corona borbonica. Gli interventi riguardarono la realizzazione del “quarto” (appartamento) per il maggiordomo maggiore (1734) e la costruzione della nuova ala residenziale (1737), detta “Nuovo Braccio” – oggi sede della Biblioteca Nazionale –, nonché la decorazione pittorica e la cura per gli arredi, molti dei quali provenienti dalla ricca raccolta Farnese, ereditata dalla madre Elisabetta, che qui giunse e fu inizialmente in deposito, la regina di Spagna. Nel 1745, su progetto dell’ingegnere Biase De Lellis, fu prolungato il Belvedere, il terrazzo panoramico situato sul lato meridionale del palazzo con il suo giardino pensile, che dà nome al lungo cortile e che caratterizza il fronte a mare. Pochi sono gli elementi di arredo di questo periodo ancora presenti a palazzo, tra cui segnaliamo una coppia di poltrone di Gennaro Arata e uno sgabello a zampa di leone nella sala XX, oltre a orologi e ceramiche di Capodimonte che dovevano arricchire gli ambienti con soffitti rococò, rivestiti di foglie d’oro e articolate decorazioni in stucco. Non si riscontra altrettanto interesse per quel che restava del vecchio parco all’italiana, poi in parte occupato dal Teatro di San Carlo e dal Braccio Nuovo. Nonostante il prolungamento di oltre 70 metri del terrazzo del Belvedere e la sistemazioni di giardini pensili, i giardini del palazzo più che quelli di una reggia appariranno a lungo aree verdi frammentarie realizzate in epoche diverse, mentre Carlo indirizzerà le sue attenzioni alle architetture di parchi e giardini verso i siti reali. Nei primi anni Cinquanta, date le gravi condizioni statiche in cui versava il portico della facciata principale, si resero necessari dei lavori di consolidamento. Nel 1753, su progetto di Luigi Vanvitelli, furono rafforzate le fondazioni del portico e murate alternativamente otto delle sedici arcate. Con la partenza di Carlo per la Spagna (1759), la corte borbonica si occupò principalmente del completamento delle opere già avviate dal sovrano.

, Edificato per ordine di Filippo III di Spagna nel 1600, il Palazzo Reale di Napoli fu inizialmente residenza storica dei vicerè spagnoli. Venne notevolmente ampliato e abbellito dai sovrani borbonici dopo il 1734. È ubicato in Piazza del Plebiscito a Napoli e ospita, oltre agli antichi Appartamenti Reali, il Teatro di San Carlo, il Giardino e, dagli inizi del Novecento, la Biblioteca Nazionale "Vittorio Emanuele III"., Chi, entrando nel Palazzo Reale di Napoli, carico di secoli e di dinastie, decide di voler visitare gli appartamenti legati alla storia di Gioacchino Murat e della sua famiglia, non lo faccia con il gusto di chi cerca il fasto pubblico, ma con quello, piuttosto, di chi ama la tranquillità delle dimore private. E’ nelle stanze “domestiche” del re e della moglie Carolina (la sorella del grande Napoleone!), affacciate sull’incantevole Belvedere a mare del Palazzo, che si svolgeva la vita di una famiglia borghese alla quale il valore e la sorte avevano regalato la incerta, pericolosa fortuna di diventare sovrani di Napoli.
Una piccola scala segreta conduceva dalla sua sala da pranzo al nostro appartamento.
Lui solo ne aveva la chiave e veniva a vederci in ogni momento in cui era libero dalle sue occupazioni”, racconta del padre la figlia Luisa nei suoi preziosi Souvenirs, regalandoci anche, di quei giorni lontani, l’immagine di una mamma che scherza con loro adagiata su un lettino di raso rosa. Questa grazia borghese, di cui la descrizione del “nuovo gran bagno” con “un bidet di mogano, con vasca d’argento” fatto venire apposta da Parigi è un complemento tutt’altro che trascurabile, non impedisce, tuttavia, alla memoria di Murat all’interno del Palazzo Reale di conservare in pieno la forza di una breve, ma non effimera vita storica. Così deve dirsi della Sala del trono, dove “le due grandi sedie a braccio del Re e della Regina” stavano a ricordare il ruolo non secondario svolto da Carolina in quei pochi, turbinosi anni. Così nel Salone del Re, dove il ritratto di Napoleone dipinto da Gerard (ora a Capodimonte) ammoniva chi veniva ricevuto dal re di Napoli – e soprattutto il re di Napoli stesso - che la vera origine di quella sovranità non era nelle luminose stanze affacciate sul golfo, ma nelle assai più severe stanze abitate, a Parigi, dall’Imperatore.
(NMdA), Il nucleo più antico del Palazzo, in origine destinato a residenza dei Vicerè spagnoli, corrisponde a quello che prospetta su Piazza del Plebiscito e si articola intorno al cortile d'onore.
La costruzione fu avviata nel 1600 dall'architetto Domenico Fontana.
A partire dall'insediamento della dinastia borbonica (1734) il Palazzo, è stato più volte ampliato fino ad assumere l'articolata struttura odierna.
Il piano nobile costituisce il Museo dell'Appartamento Storico di Palazzo Reale, al quale si accede dal maestoso scalone, che fu costruito da Francesco Antonio Picchiatti (1651-66) e poi modificato e rivestito di preziosi marmi policromi da Gaetano Genovese (1838-58).
L'Appartamento Storico è costituito da una solenne successione di saloni di rappresentanza, ciascuno dei quali era destinato ad una precisa funzione secondo il cerimoniale di corte.
All'interno delle sale si possono ammirare sontuosi arredi e raffinati oggetti d'arte applicata e dipinti di celebri pittori, come Massimo Stanzione, Luca Giordano, Mattia Preti o Bartolomeo Schedoni.
Fra gli ambienti più belli la Sala degli Ambasciatori con la volta affrescata da Belisario Corenzio (inizio XVII sec.) e la sala piccola la cui volta fu affrescata da Battistello Caracciolo (1611 ca.) con Storie di Consalvo de Cordoba; sono questi gli unici ambienti a conservare l'originaria decorazione seicentesca.
Di grande pregio è poi il cosiddetto Studio di Murat, arredato con mobili francesi di stile impero opera dell'ebanista Weisweiler (1810).
Gli antichi saloni ospitano numerosi pregevoli arazzi di manifattura napoletana (XVIII sec.); la Cappella Palatina è decorata da una tela di Domenico Morelli (1869), mentre il prezioso altare in marmi policromi (sec. XVII) proviene dalla Chiesa di S. Teresa degli Scalzi.
STAGE 2

Museo e Real Bosco di Capodimonte, Collezione d'Avalos

La Collezione D’Avalos nacque nel corso del Cinquecento con Alfonso II, marchese di Pescara, e perdurò fino ai primi anni del XIX secolo con l'ultimo mecenate di famiglia Alfonso V d'Avalos. Gran parte della raccolta fu smembrata nel corso degli anni, dove furono venduti alcuni dei pezzi più preziosi, fino a quando, nel 1862, ciò che ne restava non confluì interamente nella Pinacoteca di Napoli

La collezione, che comunque si componeva di opere eterogenee, includeva pitture di Tiziano, oggi sparse in diversi musei del mondo, dove sono ritratti alcuni esponenti della famiglia, opere fiamminghe dei tessitori Bernard van Orley, Jan e William Dermoyen, che eseguirono i preziosi arazzi della battaglia di Pavia, ed infine tele del Seicento napoletano, prettamente a tema mitologico, di Pacecco De Rosa, Andrea Vaccaro e Luca Giordano.  

Si tratta di una delle più importanti collezioni d'arte della Napoli del Seicento, assieme a quella Vandeneynden e Roomer. 

La collezione iniziò con il marchese Alfonso II intorno alla metà del Quattrocento, che con Costanza d'Avalos, duchessa di Francavilla, contessa di Acerra e governatrice di Ischia, avviarono le prime commesse private di opere pittoriche. Alfonso III d'Avalos, nipote di Alfonso II e Costanza, continuò nel XVI secolo il mecenatismo, riuscendo nel contempo a estendere lo spessore culturale della famiglia oltre i territori vicereali: celebre infatti era il suo legame con Ludovico Ariosto negli anni in cui il nobile spagnolo-napoletano divenne governatore del ducato di Milano.

Con quattro degli otto figli che ebbe Alfonso III (Francesco Ferdinando, Innico, Cesare e Carlo) la famiglia iniziò a dividersi in più rami, tra cui i principali (sotto il profilo del mecenatismo) furono quello napoletano di Montesarchio e quello abruzzese del Vasto. Venuti a mancare prematuramente i due maschi discendenti di Carlo, la moglie Sveva Gesualda cedette il titolo di principe di Montesarchio ad un figlio di Cesare, Giovanni d'Avalos.

La collezione si intensificò sotto il ramo d'Avalos di Montesarchio dapprima con Giovanni e successivamente, alla morte di questi avvenuta nel 1638, con il figlio Andrea, pluridecorato condottiero e politico impegnato nella difesa di Napoli sotto il dominio della corona spagnola. La collezione del ramo di Montesarchio era conservata nel palazzo di famiglia di Chiaia risultando particolarmente prestigiosa già all'epoca, tra le migliori del casato, tant'è che il Celano la descrisse ne le sue Notizie del 1692 come «casa nobilissima dei d'Avalos, ricca di famosi quadri».

Parallelamente al ramo napoletano di Montesarchio, sul finire del Seicento giocò un grosso ruolo di mecenate anche la figura di Cesare Michelangelo d'Avalos, marchese del Vasto e di Pescara, principe di Isernia e Francavilla, che nella propria residenza abruzzese allestì una biblioteca di ottocentotrenta volumi oltre ad una ricca collezione di opere d'arte. A causa dei debiti accumulati nella sua concitata vita, fu infatti esiliato, prima a Roma e poi a Vienna, Cesare Michelangelo morì nel 1729 con la messa in vendita della collezione.

Successivamente a questa spoliazione avviene il trasferimento definitivo delle opere superstiti dal palazzo di Vasto a quello di Napoli, ricongiungendo le collezioni d'Avalos in una sola. A partire dal 1751-1754 si costituì la pinacoteca d'Avalos del palazzo nobiliare di Napoli, con le tele "abruzzesi" invendute che si aggiunsero alla collezione napoletana, le cui stanze furono ripensate e risistemate per l'occasione dall'architetto Mario Gioffredo.

Con il nipote di Giambattista, Tommaso d'Avalos, invece, secondo alcune fonti sarebbe avvenuto il rientro nella raccolta familiare degli arazzi della battaglia di Pavia, che intanto furono venduti, per poi giungere nei possedimenti del patrizio Daniele Dolfin intorno al 1774. Dopo essere stati portati a Vienna, questi sarebbero poi tornati nuovamente in possesso della famiglia d'Avalos tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo, quando vennero riacquistati appunto da Tommaso.

Intorno all'Ottocento, gli arazzi risultano registrati nel piano nobile del palazzo d'Avalos di via dei Mille a Napoli. La collezione d'Avalos rimase nel palazzo di Chiaia a Napoli sotto la proprietà della famiglia fino al 1862, quando l'ultimo dei discendenti dei rami di Vasto, Pescara-Francavilla, Troia e Montesarchio, Alfonso V, nipote di Tommaso, la donò al neo-nato Stato italiano. Dopo diverse controversie legate ai lasciti testamentari della raccolta, in quanto gli eredi del casato ne rivendicarono successivamente la proprietà, la collezione divenne ufficialmente patrimonio dello Stato italiano solo nel 1862.

A partire dal 1957 gran parte del nucleo di opere facenti parte dell'inventario trovò collocazione nel Museo nazionale di Capodimonte. Circa 35 pezzi della collezione, in particolare quelle a carattere mitologico di Luca Giordano, furono collocati tra il 1926 e il 2012 negli edifici di rappresentanza pubblica della città (villa Rosebery, villa Floridiana ed altri) e dello Stato italiano (Camera dei deputati e Senato). 

STAGE 3

Reggia di Portici

La tradizione narra che l’idea di costruire una residenza estiva reale a Portici nacque dalla regina Maria Amalia, che, qui approdata con il re per ripararsi da una burrasca, era stata tanto incantata dall’amenità del sito da proporre di passarvi lunghi periodi; i terreni del versante costiero dell’area vesuviana erano tra i più floridi e le descrizioni coeve evidenziavano l’armonia dei sensi che contraddistingueva il territorio: il profumo della vegetazione, la salubrità dell’aria, la bellezza dei luoghi. I lavori iniziarono nel 1738 (anno in cui ripresero le attività di scavo a Ercolano) sotto la direzione dell’ingegnere Giovanni Antonio Medrano – sostituito dal 1741 da Antonio Canevari – e furono completati da Luigi Vanvitelli e Ferdinando Fuga. A lavori ultimati, il Palazzo Reale si presentava come un grande complesso di tre piani, sviluppato attorno a un cortile rettangolare ad angoli smussati, con funzione di place royale, attraverso cui passava la Strada Regia delle Calabrie, e collocato al centro di una vasta area destinata a parco per gli svaghi di corte. Fu sistemata da Francesco Geri e andava dalle pendici del Vesuvio fino a mare: quello superiore aveva alla sommità un’area dedicata alla caccia (Fagianeria), quello inferiore – sistemato a giardino – giungeva alle Peschiere reali a Villa d’Elboeuf. L’allestimento e la decorazione degli interni furono affidati a diversi artisti e artigiani: lo scenografo del Teatro di San Carlo, Vincenzo Re, dipinse le illusorie prospettive architettoniche sulle pareti e sul soffitto dell’atrio porticato del palazzo a mezzogiorno e lungo lo scalone a due rampe (1750), così come nelle sale delle Guardie e del Trono; Crescenzo Gamba è l’autore degli affreschi nelle volte (nella prima, Allegoria della Verità; nella seconda, Aurora). Una diffusa rinomanza acquisirono anche la ‘sala cinese’ e il ‘salottino di porcellana’, dai ricchi apparati decorativi ispirati all’Oriente. I reperti portati alla luce nel corso degli scavi a Ercolano e Pompei (oggi custoditi presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli) furono sistemati nelle stanze della reggia, dando luogo all’Herculanense Museum, che animò l’interesse di tutta l’Europa, orientando l’arte e la moda dell’epoca, e diventò meta privilegiata del Grand Tour. Lo studio del patrimonio archeologico fu affidato ‘in esclusiva’ alla Reale Accademia Ercolanese, istituita nel 1755 sotto la guida del segretario di Stato, Bernardo Tanucci, che diresse il gruppo e ospitò le sue riunioni presso la segreteria di Casa Reale e nella sua villa a San Giorgio a Cremano. L’Accademia si dedicò alla pubblicazione de Le Antichità di Ercolano esposte, una grandiosa impresa editoriale che si concretizzò nella stampa di otto eleganti volumi corredati di un ricchissimo repertorio iconografico: nonostante la circolazione dei tomi fosse fortemente limitata, le incisioni divennero ben presto patrimonio dell’immaginario collettivo.

, La reggia di Portici fu fatta erigere per volontà di Carlo di Borbone; pare che il sovrano, in visita con la moglie Maria Amalia di Sassonia presso la villa del Duca d'Elboeuf, rimase profondamente colpito dalla bellezza del luogo tanto da farvi costruire una residenza ufficiale i cui lavori cominciarono nel 1738 su progetto commissionato ad Antonio Canevari.Il pittore Giuseppe Bonito decorò gli interni del palazzo e lo scultore Joseph Canart si occupò delle opere scultoree del parco regio; la dimora porticese stimolò in seguito la costruzione di numerose altre dimore nelle zone vicine (Ville Vesuviane del Miglio d'oro). Con la rivoluzione napoletana del 1799 la corte reale si trasferì a Palermo portando con sè tantissime opere di inestimabile valore e reperti archeologici del vesuviano; negli anni di reggenza di Giuseppe Bonaparte le restanti antichità rimaste a Portici furono trasferite nel Real Museo di Napoli (attuale Museo Archeologico Nazionale). Soltanto con Gioacchino Murat la reggia di Portici tornò a splendere: il re francese decise di arredarla ex novo con un mobilio e un gusto tipicamente francesi; dopo Ferdinando II di Borbone il sito di Portici fu sempre meno frequentato. La reggia presenta una facciata maestosa con un cortile simile a un vero e proprio piazzale, sul lato sinistro trovano posto la caserma delle guardie reali e la cappella palatina. Il grandissimo parco è costituito da grandi viali, giardini all'inglese, fontane e opere scultoree di grandissimo valore (qui per volontà di Ferdinando IV fu allestito uno zoo con animali esotici giunti dall'estero).Oggi la Reggia di Portici ospita la Facoltà di Agraria dell'Università degli Studi di Napoli "Federico II".
STAGE 4

Villa Favorita

Villa Favorita o Reale Villa della Favorita di Ercolano è una della più eleganti ville reali vesuviane del XVIII secolo realizzata per volere di Ferdinando IV di Borbone dall'architetto Fuga. Ampliato il parco fino a consentire lo sbocco sul mare, il sovrano decise di far costruire nuovi e spaziosi ambienti (scuderie e depositi) e saloni per feste e intrattenimento. L'edificio affaccia su Corso Resina e presenta una facciata a due piani con lesene e portali in piperno, è presente una grande scalea semicircolare in pietra che mette in comunicazione la terrazza e il parco retrostante. L'apparato decorativo interno è  frutto dell'alternarsi di stili e gusti di diversi proprietari che si sono succeduti. Philip Hackert realizzò le vedute dei porti di Napoli, le sale al primo piano furono ridecorate in stile arabeggiante e al secondo piano in stile cinese; il pavimento centrale era decorato con un pavimento a mosaico in marmo proveniente dalla villa di Tiberio a Capri e oggi al Museo di Capodimonte.
STAGE 5

Villa d'Elboeuf

La Villa fu fatta erigere dal duca d'Elboeuf nel 1711 su progetto di Ferdinando Sanfelice. La residenza si sviluppava su due piani, aveva molti ambienti e un grande giardino che venne arricchito con numerose testimonianze dell'antichità provenienti dagli scavi archeologici di Ercolano. Nel 1742 la villa divenne possedimento dei Borbone e trasformata in una dépendance della Reggia di Portici con  il famoso bagno della regina, un emiciclo di due piani in stile neoclassico che affacciava sul mare. Il declino del complesso cominciò quando la linea ferroviaria Napoli-Portici ne distrusse l'unità architettonica. Ancora oggi in decadenza (incendi e crolli l'hanno in buona parte distrutta al suo interno e le scale d'accesso sono state depredate delle balaustre di marmo) la villa è oggetto di accese polemiche per una sua ipotetica riqualificazione.
STAGE 6

Palazzo D'Avalos, Procida

Edificio dominante della Terra Murata è il Palazzo d’Avalos, costruito nel ‘500 insieme alle mura dalla famiglia D'Avalos, governatori dell’isola fino al ‘700. Nel 1830 l’edificio fu trasformato in carcere e fu chiuso definitivamente solo nel 1988. L’ex Carcere è costituito dall’intervento urbano cinquecentesco realizzato nel finire del sec. XVI per volere del Cardinale Innico d’Avalos dagli architetti Cavagna e Tortelli e fu Palazzo Signorile e successivamente Palazzo Reale dei Borbone che, nel 1815 lo trasformarono in scuola militare e poi in carcere del Regno con successivi ampliamenti.

Il complesso Monumentale è costituito dal Palazzo D’avalos, il cortile, la Caserma delle guardie, l’Edificio delle Celle singole, Edificio dei veterani, la Medicheria, la Casa del Direttore, il tenimento agricolo Spianata. Un sistema unitario ed inscindibile dalla emergenza monumentale rappresentata dal Palazzo d’Avalos che, travalicando l’interesse artistico e storico particolarmente importante per i suoi caratteri peculiari, che ne sanciscono l’appartenenza alla storia dell’architettura rinascimentale, assume anche il valore di testimonianza della storia politica, militare e urbanistica dell’isola. 

STAGE 7

Palazzo reale di Ischia

Il palazzo fu eretto nel 1735 per volere di Onofrio Buonocore e solo dopo la rivoluzione napoletana del 1799 fu acquistato dai Borbone. Ferdinando IV utilizzò la dimora come residenza estiva per la caccia e la pesca e come luogo ameno per le cure del corpo viste le sorgenti termali di cui era ricca la zona. Ferdinando II ordinò di far ricoprire la distesa lavica lasciata dall'eruzione del cratere dell'Arso con una grande e rigogliosa pineta con esemplari  rari provenineti anche dall'Orto Botanico di Napoli. Con la fine della dinastia reale la tenuta attraversò un periodo di declino per poi essere trasformata in uno stabilimento termale riservato al personale militare.
STAGE 8

Real Casino di caccia di Licola Borgo

Il Real Casino di caccia di Licola era uno dei luoghi preferiti di Ferdiando IV di Borbone che qui era solito praticare le sue attività di caccia e pesca. La zona era circondata da vastissimi giardini (visibili ancora un colombario con il suo torrione), fontane e mura con anelli per legarvi i cavalli.
STAGE 9

Real Tenuta di caccia e pesca di Torcino a Ciorlano

Nel 1532 il borgo di Ciorlano fu concesso ai Conti Gaetani di Laurenzana di Piedimonte. Nel 1738 il duca di Laurenzana donò al re Carlo III la tenuta di Torcino che costituiva la zona più bella della contrada. Torcina era una naturale riserva di caccia che Carlo III fece diventare la più grande del tempo dandole il nome di Real Caccia di Torcina. mentre man mano i Ciorlanesi si allontanarono dalle loro terre.Anni dopo Ferdinando IV di Borbone ritenne la reale riserva non abbastanza vasta e la aggregò alle limitrofe contrade demaniali di Ciorlano denominate Cupa Mazza, Castellone e Santa Lucia, assegnando al comune la prestazione annua di 50 ducati e lasciando la possibilità ai cittadini di far pascolare gli animali.
STAGE 10

Real Sito di Carditello

Il Real Sito di Carditello – noto anche come Real Tenuta, Real Casino o Reggia di Carditello – è una residenza borbonica a carattere produttivo situata a quattro chilometri da San Tammaro, in provincia di Caserta. Considerata l’amenità del luogo e la bellezza del paesaggio, nel 1744 fu Carlo di Borbone a chiederne prima l’affitto annuo e poi a ordinare l’esproprio della masseria e dei territori circostanti di Giovanni D’Aquino, principe di Caramanico.

Circondato da più di duemila ettari di rigogliosi boschi e campi, in parte acquitrinosi e coperti da cardi selvatici (da cui il nome dell’area), il sito, dopo il passaggio di proprietà alla corona borbonica, divenne noto anche come Reale Delizia di Carditello. Questo nome indicava la predilezione di Carlo, così come poi di suo figlio Ferdinando, a considerare l’area come luogo privilegiato di caccia e loisir per la famiglia reale e per i membri più stretti della corte borbonica.

Carditello rappresentava molto più che una proprietà regia dove dilettarsi nell’arte venatoria e in cui trascorrere lunghi e piacevoli soggiorni lontano dalla capitale borbonica: già Carlo, ordinando le prime opere di riorganizzazione delle strutture già presenti e della campagna circostante, prevede per il sito reale una vocazione produttiva, destinando l’area paludosa all’allevamento delle bufale e trasformando Carditello, di fatto, nella prima industria casearia moderna del Regno di Napoli, nota anche come Reale Industria della pagliata delle bufale. Nota è la particolare richiesta del sovrano di produrre non solo la mozzarella, la provola e gli altri tipici latticini locali, ma anche di “importare” da Parma i segreti della produzione del formaggio parmigiano, di cui Carlo era ghiotto: infatti, il re era figlio di Elisabetta Farnese, principessa di Parma e Piacenza, e proprio nel Ducato di Parma e Piacenza aveva trascorso parte della sua adolescenza.

Oltre all’industria agricola e casearia, Carditello rappresentava per Carlo il luogo in cui allevare gli esemplari della razza equina reale, i pregiati cavalli Persano, dall’omonimo sito reale presso cui erano selezionati. Sarà poi Ferdinando a continuare le aspirazioni produttive del padre, a costruire l’elegante edificio che ancora oggi possiamo ammirare e a trasformare Carditello in un laboratorio sperimentale d’impronta illuminista votato all’agricoltura e all’allevamento.


, Il real sito di Carditello è un complesso architettonico immerso in una vasta tenuta boschiva. La dimora offriva alla corte una piacevole permanenza per le battute di caccia. Per volere di Ferdinando IV (1751-1825) fu inoltre trasformata in una tenuta modello per la coltivazione e l’allevamento delle regie razze dei cavalli. I lavori videro la collaborazione dell'architetto Francesco Collecini, stretto collaboratore del Vanvitelli., La Reggia di Carditello, complesso architettonico di stile neoclassico immerso in una vasta tenuta boschiva per una superficie di 2.100 ettari, fu a lungo dedito alla caccia e all'allevamento e trasformato poi, per volere di Ferdinando IV, in una tenuta modello per la coltivazione di specialità agricole, grano e pregiatissime razze equine e bovine. La dimora era chiamata "Reale Delizia" in quanto oltre alla funzione di azienda agricola offriva alla corte una permanenza piacevolissima tra battute di caccia e vita salubre. Il grande e antico splendore di questa Reggia, che era allo stesso tempo residenza reale, tenuta di caccia e azienda altamente specializzata, è testimoniato non soltanto da quel che resta dell'architettura del palazzo e dei giardini ma anche dalle testimonianze della letteratura artistica (Goethe infatti diede un'attenta descrizione delle tenuta di Carditello). I lavori voluti da Ferdinando IV videro la collaborazione dell'architetto Francesco Collecini, collaboratore stretto del Vanvitelli, il quale previde per l'edificio uno sviluppo a forma di doppia T comprendente il palazzo reale con il Belvedere e ambienti più bassi destinati alla produzione agricola. Dietro il Palazzo trovavano posto ampi spazi per le corse dei cavalli e una sorta di tempietto di forma circolare da cui il re assisteva agli spettacoli ippici.
STAGE 11

Real Tenuta di Maddaloni con i ponti della valle

Inaugurato nel 1762 per volere di Carlo di Borbone, l’acquedotto Carolino è una delle opere di maggiore interesse ingegneristico del XVIII secolo. Un tracciato che si snoda per circa 38 km per alimentare il complesso di San Leucio, la Reggia di Caserta e le fontane del Parco. Il monumento è per lo più interrato, ma si può ammirare nel punto dei Ponti della Valle, una struttura alta 95 metri, su tre livelli, che attraversa la Valle di Maddaloni., L’acquedotto, denominato Carolino in onore del re Carlo di Borbone e progettato da Luigi Vanvitelli, costituisce una grandiosa opera pubblica di ingegneria idraulica tra le più importanti realizzate dai Borbone. Al fine di approviggionare l'area intorno alla Reggia e di potenziare la città di Napoli fu realizzato l'acquedotto, opera che richiese sedici anni di lavoro e il supporto dei più stimati studiosi e matematici del Regno. Fu riconosciuta come una delle opere di maggiore interesse architettonico e ingegneristico del XVIII secolo. Oggi l'acquedotto, noto come "I ponti della Valle" è perfettamente conservato, attraversa la valle di Maddaloni e congiunge il monte Longano con il monte Garzano, è costituita da tre ordini di arcate poggianti su 44 piloni a pianta quadrata (modello degli acquedotti romani).
STAGE 12

Reggia di Caserta

Il Palazzo Reale di Caserta è la principale opera commissionata da Carlo di Borbone nel Regno di Napoli e fu fondamentale per affermare con magniloquenza l’immagine e il ruolo del nuovo sovrano agli occhi dell’Europa. Sulla scia della Versailles di Luigi XIV e di quelle delle altre grandi corone, anche il re di Napoli si dotava della sua magnifica reggia agli occhi dell’Europa.

Per il progetto, Carlo pensò inizialmente all’architetto napoletano Mario Gioffredo, poi a due rinomati architetti romani, Nicola Salvi, già impegnato nel compimento della Fontana di Trevi, e Luigi Vanvitelli che, libero da altri incarichi, accettò subito l’offerta. Il 20 gennaio 1752, giorno del compleanno del re, fu posata la prima pietra del complesso, sulla quale Vanvitelli ne collocò un’altra con un distico in latino che recitava: Rimanga questo palazzo, questa soglia e la progenie dei Borbone, finché questa pietra per propria forza ritorni in cielo.

Il palazzo, il cui accesso è consentito attraverso tre portoni, presenta una pianta rettangolare, articolata attorno a quattro grandi cortili, i cui lati sono esposti ai quattro punti cardinali. La facciata principale, quella che guarda verso Napoli, è caratterizzata da un avancorpo centrale, sormontato da un timpano con orologio, dove quattro delle dodici colonne che decorano l’intera superficie, racchiudono un loggiato con una grande nicchia. La facciata sul parco è simile a quella principale, ma più ricca per la lunga teoria di paraste giganti che corre sul monumentale basamento; entrambe le facciate trasmettono un effetto grandioso, oltre che per la loro imponenza, anche e soprattutto per l’armonia delle parti, per la presenza dell’ordine composito alleggerito da giochi policromi ottenuti con l’uso combinato del travertino e dei mattoni. Un ampio loggiato attraversa il piano terra della reggia collegando i portali di ingresso al vestibolo centrale, dal quale è possibile scorgere il parco e la cascata sullo sfondo.

Quando nel 1759 Carlo passò al trono di Spagna, i lavori furono interrotti per essere ripresi nel 1765; alla morte di Luigi Vanvitelli (1773), il figlio Carlo si occupò del completamento delle decorazioni interne e del parco, quando il palazzo era giunto ai cornicioni e alle balaustre terminali. Nel 1774, seppure con delle modifiche rispetto al progetto originario, l’impianto esterno era concluso. Con la fine della dinastia borbonica la reggia perse la sua aura regale, ma, nonostante questo, resta a oggi tra le migliori testimonianze di un’epoca significativa per la storia del Regno di Napoli., Nel 1750 Carlo di Borbone (1716-1788) decise di erigere la reggia quale centro ideale del nuovo regno di Napoli, ormai autonomo e svincolato dall'egida spagnola. Il progetto per l'imponente costruzione, destinata a rivaleggiare con le altre residenze reali europee, fu affidato, dopo alterne vicende, all'architetto Luigi Vanvitelli (1700-1773). La Reggia di Caserta ha una pianta rettangolare articolata su corpi di fabbrica affacciati su quattro grandi cortili interni e si estende su una superficie di circa 47.000 metri quadrati per un'altezza di 5 piani pari a 36 metri lineari. Lo scalone d'onore, invenzione dell'arte scenografica settecentesca, collega il vestibolo inferiore e quello superiore, dal quale si accede agli appartamenti reali.
STAGE 13

Real Sito di San Leucio

La Real Colonia serica di San Leucio nasce nel 1789 per volere di Ferdinando IV di Borbone. Vero e proprio centro manifatturiero serico a ciclo completo, fu un caso unico in Europa di una fabbrica all’interno di una dimora reale. Al suo interno vivevano artigiani di diversa provenienza e ben presto i pregiati tessuti qui prodotti divennero famosi presso le più prestigiose corti europee. È stato eletto Patrimonio dell’umanità dall’UNESCO nel 1997., La collina di San Leucio fu acquistata, nel 1750, da Carlo III di Borbone dai principi Acquaviva di Caserta con l'obiettivo di realizzarne una grande riserva di caccia e residenze secondarie per la famiglia reale. In seguito re Ferdinando IV vi istituì una fabbrica per la manifattura della Seta avviando una politica commerciale e industriale tra le più fortunate: San Leucio divenne un importantissimo centro manifatturiero, fu istituita la Colonia di San Leucio;la promulgazione di uno speciale Codice di Leggi. Alle maestranze locali si aggiunsero presto maestranze francesi, genovesi e messinesi molti dei quali lavoravano nelle seterie e abitavano a S. Leucio ove erano state predisposte dimore per i lavoratori e scuole di alta formazione.
STAGE 14

Casina del Fusaro

La zona del Fusaro dal 1752 divenne un'area riservata alla caccia e alla pesca dei Borbone i quali decisero di affidare a Luigi Vanvitelli le prime opere architettoniche sul posto tra cui l'iniziale progetto della Casina "Vanvitelliana". La Casina fu realizzata però nel 1782 da Carlo Vanvitelli (figlio di Luigi) con un ardito progetto che re Ferdinando IV volle dedicare alla seconda moglie morganatica. La pianta, poligonale, è fissata nel vivo di una grossa base vulcanica circolare, stretta in blocchi cubici. La Casina è in stile neoclassico e fa ricorso a volumi e ampie vetrate, la pianta è costituita da tre corpi ortogonali che s'intersecano e da un lungo pontile che collega la Casina alla sponda del lago.
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Reggia di Quisisana in Castellammare di Stabia

Il Palazzo reale di Quisisana ha una storia molto antica e controversa: risalente al 1200 circa è stato residenza di palazzo, collegio e albergo e, dopo un lungo periodo di abbandono, è stato restaurato solo nel 2009.Passò sotto la discendenza angioina poi aragonese fino a quando Carlo di Borbone e poi Ferdinando IV decisero di avviare lavori di restauro ed ampliamento del complesso: i corpi edilizi vennero uniti in una sola struttura a forma di L; fu realizzata una grande terrazza, circa cento stanze e una cappella. Fu sistemato il giardino con fontane e sedute in marmo, furono costruite una casa colonica, una chiesa, una masserie e le scuderie reali. La reggia di Quisisana divenne una tappa obbligata del Grand Tour.
Oggi in sede si svolgono incontri culturali e letterari e in estate, in particolare d'estate concerti di musica classica.
STAGE 16

Real Casino del Demanio di Calvi

La Tenuta di Calvi può considerarsi "borbonica" dagli anni Settanta del Settecento quando sia Carlo di Borbone che il figlio Ferdinando IV intrapresero una graduale opera d’usurpazione del Demanio di Calvi. Il Demanio di Calvi divenne prevalentemente un sito di caccia, destinato al solo divertimento dei sovrani che qui costruirono un Casino Reale con ambienti destinati ai contadini al pianoterreno e dimore per re e cortigiani ubicati al primo piano. Dopo la caduta del regno borbonico i due comuni di Calvi e Sparanise reclamarono il possesso del Demanio.
STAGE 17

Ospedale di S. Maria della Pace

L'antico palazzo appartenuto a Sergianni Caracciolo, Gran Siniscalco del regno al tempo di Giovanna II, fu acquistato, nel 1587 dai frati ospedalieri dell'Ordine di San Giovanni di Dio, detti "Fatebenefratelli", i quali vi insediarono un ospedale che è stato attivo fino al 1974. Al primo Quattrocento risale il superbo portale di gusto durazzesco oltre il quale si accede ai cortili intorno ai quali si articolavano il convento e l'ospedale. Di grande suggestine è la sala del lazzarretto: una lunghissima aula decorata da affreschi che fungeva da corsia per i degenti, le pareti presentano un ballatoio a metà altezza che serviva ai medici per osservare i pazienti senza doversi avvicinare evitando così il contagio.

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Category Thematic Number of stages 17  STAGES

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Quando Carlo di Borbone arrivò a Napoli, fu affascinato dalle bellezze naturali del Regno, ideali per la caccia, sua grande passione. Luoghi come Procida, Licola, Astroni, Agnano e Persano divennero suoi possedimenti tramite permute, acquisti ed espropri. Caserta, ad esempio, fu espropriata perché il suo proprietario era filo-austriaco, mentre Procida fu sottratta ai d’Avalos e Portici acquistata dal conte di Palena.

Michelangelo Schipa, in "Il Regno di Napoli al tempo di Carlo di Borbone", descrive come queste proprietà divennero "reali delizie", riservate al piacere della famiglia reale. Ogni sito aveva un intendente specifico, ben remunerato e dotato di carrozza e cocchiere. Questi luoghi restarono legati alla Real Casa e, dal 1789, furono gestiti da un'amministrazione autonoma separata dalle finanze statali, un fatto senza precedenti storici. Col tempo, altri territori furono acquisiti anche da Ferdinando, il figlio di Carlo, come la Grancia di Tressanti, i laghi di Agnano e Licola, e vari terreni nel Tavoliere delle Puglie. Fino al maggio 1821, questi beni furono amministrati dalla Direzione dei Beni Riservati, poi furono incamerati alla Real Casa. La documentazione amministrativa prodotta fino al 1860 è di grande importanza storica e tecnica.

I beni includevano il Palazzo Reale di Napoli, la Reggia di Capodimonte, la Reggia di Portici, il Palazzo d’Avalos di Procida, e molti altri. Questi siti rappresentano un patrimonio unico in Europa per architettura, dimensioni, stili e paesaggi, mostrando una fusione originale tra le culture mediterranea, francese, inglese e mitteleuropea.