Ave Ovo (2005) di Francesco Clemente, quasi da considerare come la porta di accesso alla collezione, è un affresco di proporzioni monumentali, articolato in due sale, rivestite da un pavimento in ceramica, che ripropone con la memoria luoghi e simboli antichi di Napoli. Le “capuzzelle” in ghisa e il gioco di specchi, con i loro molteplici rimandi storico-iconografici di Rebecca Horn (Spirits, 2005), lo spiazzamento percettivo di Anish Kapoor (Dark Brother, 2005), il corto circuito tra tradizione artistica, cultura pop e mezzi di comunicazione di massa di Jeff Koons (Untitled, 2005), l’evocazione del viaggio per mare di Jannis Kounellis (Senza titolo, 2005), i due wall drawing gemelli di Sol LeWitt (10,00 Lines, 2005; a cui si aggiungono, a seguire la mostra personale nel 2012, cinque Scribbles), i segni-gesto di fango di Richard Long (Line of Chance, 2005), gli archetipi tratti graffianti e la sintesi scultorea di Mimmo Paladino (Senza titolo, 2005), la riflessione sul rapporto tra spazio, opera e spettatore di Giulio Paolini (Dilemma, 2005) e quella sulla scultura posta in relazione alla dimensione ambientale di Richard Serra (Giuditta e Oloferne, 2005).
Tra gli artisti presenti: il lavoro a parete di Domenico Bianchi Senza titolo, (2005), la riflessione sulla narrazione plastica, scultoreo-spaziale di Luciano Fabro (Il cielo di San Gennaro, 2005), le “capuzzelle” in ghisa e il gioco di specchi, con i loro molteplici rimandi storico-iconografici di Rebecca Horn (Spirits, 2005), lo spiazzamento percettivo di Anish Kapoor (Dark Brother, 2005), il corto circuito tra tradizione artistica, cultura pop e mezzi di comunicazione di massa di Jeff Koons (Untitled, 2005), l’evocazione del viaggio per mare di Jannis Kounellis (Senza titolo, 2005), i due wall drawing gemelli di Sol LeWitt (10,00 Lines, 2005; a cui si aggiungono, a seguire la mostra personale nel 2012, cinque Scribbles), i segni-gesto di fango di Richard Long (Line of Chance, 2005), gli archetipi tratti graffianti e la sintesi scultorea di Mimmo Paladino (Senza titolo, 2005), la riflessione sul rapporto tra spazio, opera e spettatore di Giulio Paolini (Dilemma, 2005) e quella sulla scultura posta in relazione alla dimensione ambientale di Richard Serra (Giuditta e Oloferne, 2005). Le opere della collezione storica, dunque, sono testimonianza di una stagione dell’arte contemporanea a Napoli che vede nella relazione tra memoria culturale, dimensione pubblica e istituzioni un momento di significativo confronto, che in modo emblematico prende forma con Ave Ovo (2005) di Francesco Clemente – lavoro monumentale sviluppato in due ambienti, tra primo e secondo piano, in cui l’artista interviene con affreschi sulle pareti e un pavimento in ceramica che fungono da palinsesti iconografici della memoria artistica locale – e con Untitled (2006), ieratico cavallo in blocchi di tufo di Mimmo Paladino, installato sul tetto dell’edificio e rivolto, emblematicamente, verso la comunità cittadina. (Per approfondimenti: O. Scotto di Vettimo in Madre – Museo d’arte contemporanea Donnaregina. Guida breve, Arte’m, Napoli 2017, pp. 19-22).
Nel 2015 la Fondazione Donnaregina ha commissionato all’artista francese Daniel Buren l’opera Axer / Désaxer. Lavoro in situ, 2015, Madre, Napoli – #2, in occasione delle celebrazioni per i dieci anni di attività del Madre. Un’installazione che ha ridisegnato completamente l’area di ingresso del museo, con l’intento di rimarcare la relazione fra l’istituzione museale e la sua comunità. Nel 2018 è entrato a far parte della collezione site specific l’intervento di Paul Thorel, Passaggio della vittoria (2018), un grande mosaico in grès porcellanato e smaltato, posato sulle quattro pareti del passaggio che congiunge il Cortile centrale del museo al Cortile delle Sculture. L’opera è ispirata al mosaico bianco che ricopre la volta della Galleria della Vittoria, il condotto carraio lungo 609 metri terminato nel 1929 che collega la città di Napoli da est ad ovest e viceversa.
(testo di Alessandra Troncone)