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Nel 1845, Carlo Patturelli, nell’ambito di scavi intrapresi nel proprio fondo agricolo, riportò casualmente alla luce i resti di un altare e in prossimità di esso fu rinvenuta uno scarico ricchissimo di statue in tufo e terracotta, vasi e materiali fittili di piccole e grandi dimensioni. Le numerose campagne di scavo avvicendatesi nel corso del XIX e XX secolo confermarono la presenza di un grande santuario edificato alle porte della città e vitale almeno fin dal passaggio tra VII e VI secolo a.C.
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Il celebre corpus delle Matres Matutae comprende oltre cento statue in tufo, per lo più di grandi dimensioni, raffiguranti donne assise in trono e recanti in grembo uno o più infanti. Le madri, riproduzioni della divinità cui era dedicato il santuario o, più probabilmente, ex-voto offerti in dono ad una dea con attributi maternali, sono tra le più rare testimonianze cultuali d’Occidente, oltre che la traccia più eloquente del rituale con cui gli antichi Campani onoravano il mistero della vita, considerando la maternità un dono divino.
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Tra i materiali rinvenuti durante gli scavi c’è un singolare nucleo di stele, dette Iovilas. Si tratta di iscrizioni in osco su lastre in tufo o terracotta, dal testo decifrato ma di complessa comprensione semantica. Il nome deriva da un termine citato nei testi, tradotto come res ad Iovem pertinenetes o cose di ambito giovio, sebbene i testi non nominino mai la divinità. Non si conosce la circostanza cerimoniale per cui questi oggetti venivano prodotti; a istituire l’atto era il membro di una famiglia autorevole, accompagnando l’offerta con sacrifici, forse durante la celebrazione di riti funerari in onore di defunti eccellenti, in momenti calendarizzati e ben descritti nei testi.
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La presenza di un maestoso edificio sacro nel santuario è stata confermata dal rinvenimento di innumerevoli quantità di terrecotte architettoniche, molte in perfetto stato di conservazione, che decoravano il tetto del tempio, ricoprendone la struttura in travi lignee. Antefisse, sime, lastre, tegole dalla policromia articolata e dai molteplici soggetti sono i prodotti di una nota bottega, le cui maestranze specializzate nella produzione di manufatti in serie furono certamente attive anche in altri cantieri della Campania.
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La storia del santuario comincia proprio con la scoperta di un altare in tufo grigio, descritto dai resoconti come una piattaforma con gradinata circondata da sfingi e sormontata da un baldacchino. Carlo Patturelli, proprietario del fondo e autore degli scavi, è accusato di aver distrutto l’edificio senza averne tratto documentazione; dopo molti anni la pianta compare. A partire da tali dati e dai blocchi superstiti del Museo Campano Herbert Koch presenta la sua ricostruzione dell’edificio, datato tra la fine del II secolo a.C. e gli inizi del successivo.
Le Matres
Le stele
Il tempio di Fondo Patturelli
L’altare di Fondo Patturelli
Progetto: ARCCA - ARchitettura della Conoscenza CAmpana - ECOSISTEMA DIGITALE PER LA CULTURA