Neapolitan power

Neapolitan power vuol dire tutto e niente, eppure richiama il black power e l’orgoglio di un popolo che si sente culturalmente ghettizzato.

Tra i primi a fare gli americani, anzi i neri, di Napoli, sia pure a metà sono gli Showmen: Mario Musella e James Senese, che scuro di pelle lo è davvero, inventano negli anni '60 il soul all’italiana, il funky all’italiana, il rhythm and blues all’italiana. Pino Daniele e Enzo Avitabile ringrazieranno, Zucchero, forte delle dimensioni del suo successo, no, eppure senza quella voce roca e scartavetrante, senza «Un’ora sola ti vorrei», senza l’incontro tra Di Giacomo, Zawinul e «Papa’s got a brand new bag» la strada italiana alla black music non sarebbe stata avvistata da nessuno.

La meteora Showmen segna l’inizio di un fenomeno destinato a durare, a farsi movimento, a dettare legge artisticamente e commercialmente: il neapolitan power nasce quando Senese forma i Napoli Centrale e trova uno sbocco sudista all’ipotesi del jazz rock tricolore. La sua veracità è indiscussa, il suo potere si affermerà come tale quando le classifiche si troveranno, di volta in volta, dominate da Pino Daniele, Edoardo Bennato, Teresa De Sio, Alan Sorrenti, Toni Esposito, Tullio De Piscopo, gli Alunni del Sole...

Neapolitan power vuol dire tutto e niente, come il rock del mediterraneo di casconiana memoria, eppure richiama il black power e l’orgoglio di un popolo che si sente culturalmente ghettizzato. Daniele superstar inventa una nuova lingua, anzi un lingo, gioca con le melodie assimilate in piazza Santa Maria La Nova, i racconti di munacielli e belle ’mbriane sentiti dalle zie, la voglia di diventare Elvis Presley anzi Stevie Wonder, il vento di rivoluzione che scuote Napoli negli anni del primo sindaco comunista Maurizio Valenzi, l’impegno, il disimpegno poi detto riflusso.

Come Carosone, Daniele riflette sull’America che è in lui e nella sua musica, utilizzando la rabbia al posto dell’ironia. Con il suo supergruppo segna l’apice del neapolitan power nel concerto grosso del 19 settembre 1981 in piazza del Plebiscito, e al tempo stesso la fine, pagando pegno al sogno solista di una generazione di virtuosi e poeti dello strumento, ma non sempre con l’originalità ed il carisma del bandleader.

Courtesy Federico Vacalebre

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