Che me manca

Chi tene ‘e llire non significa sia felice. Chi è guaglione e ricco non sempre sorride. Perché ‘o core nun se venne … se riala. Argento non fa rima con letizia. Tenerezza non fa rima con moneta. E Totò lo esplicita in una pagina piena di grazia.

Scrive quasi un cortometraggio e, proprio assecondando il suo racconto infuocato, immagino un suono underground e robotico, nel quale si innesta un sample estratto dal cd “100 anni di radio” successivamente trattato-filtrato nelle frequenze e reso più melodico da monsieur Tramma, e un videoclip ambientato tra i fantasmi irpini. Due corpi agiscono annichiliti, smarriti nel girone dei dimenticati. O degl’innamorati sconfitti. Vagano poggiandosi ai bastoni di legno, salendo in montagna, incuneandosi nei sotterranei. Tra le botti e le polpette. Le pietre appuntite e le mattonelle scheggiate. Condannati al Purgatorio notturno. Tale dimensione è espansa dal sintetizzatore Jen – quello amato da Lucio Battisti ma pure, più di recente, dai Coma Cose – e da un mix di distorsioni analogiche. In studio, durante questa session, parliamo degli U2 e del computer Commodore, dei rullanti morbidi à la Palkoscenico e degli insert graduali di flicorno o tromba. Lello mi spiega come è possibile ottimizzare il tempo fra lo spunto e la realizzazione pratica citando le fasi in cui, durante la pausa-pranzo in fabbrica con suo padre, aveva tempo ridotto per finire gli arrangiamenti musicali. Discutendo dei pad rievoco Glass e Koyaanisqatsi. Dudù, il barboncino di Lello, ci gironzola sempre addosso. Lui è il terzo elemento della band, sì.

A questa traccia in particolare lavoriamo parecchio a distanza. Io dalla scrivania in legno di casa mia e Lello dal suo studio sotterraneo. Faccio un provino casalingo per l’interpretazione della voce solista sul suo beat Moog. Filtrando una dimensione musicale ovattata e asciutta. Finalmente non manca niente.

Courtesy Gianni Valentino