Edoardo Bennato - Sona
Edoardo Bennato
(Napoli, 23 luglio 1946)
Ormai superata la settantina, Edoardo Bennato continua a rockare e rollare come se niente fosse: «Rock, archi, melodia, grinta, ironia, favole, attualità... Venghino, venghino signori, che c’è da divertirsi per quelli di tutti i sessi, di tutte le razze, dai 12 ai 99 anni, e chi non viene non sa che cosa si perde», invita dal palco con il solito tono beffardo il cantautore flegreo, sospeso come il suo canzoniere tra chitarre blues e violini, boogie e toni favolistici, canzone d'autore e sberfleffi, kazoo e immagini di un’America che a volte è sogno e altre volte incubo, proprio come la sua Napoli: non sarà un caso che Carosone lo elesse a suo erede.
Courtesy Federico Vacalebre
Da «Non farti cadere le braccia» ad oggi, in fondo, non è cambiato molto: nelle magliette e nei jeans che indossa, nel suono rock’n’roll, nel sarcasmo con cui affronta le cose del mestiere, nell’ironia amara di cui grondano le sue canzoni, nella voglia di evitare l'autocelebrazione. Dylanian-napoletano, ha aspettato decenni per scrivere (anche) nella sua lingua, inventandosi l’alter ego di Joe Sarnataro e affiancandosi ai Blue Stuff. Ma è stato tra i primi artisti italiani a riempire gli stadi, come in quella notte del giugno ‘78, al San Paolo.
Il biglietto costava 500 lire, oltre 30.000 persone sugli spalti a pochi metri da casa Bennato, supporter Patrizia Lopez e Giorgio Bennato, il fratello minore che aveva scelto il cognome d’arte di Zito, rubandolo a mamma Adele, che con papà Carlo si godevano in platea il trionfo del figlio, del burattino rock senza fili. Che prima di attaccare «Campi Flegrei» ricordò: «Io, veramente... abito in un cortile da queste parti e da piccolo ascoltavo la musica americana dai juke-box e dai dischi di Magda, che era la sorella di un mio amico».
Non sono solo canzonette, a volte sono storie di vita vissuta.