null KOMOREBI

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21 OTTOBRE 2021

KOMOREBI

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LABORATORIO A CURA DELLA COMPAGNIA PUTÉCA CELIDÒNIA
DRAMMATURGIA EMANUELE D’ERRICO
REGIA MARIALUISA DILETTA BOSSO, EMANUELE D’ERRICO, DARIO REA
CON I BENEFICIARI E OPERATORI DEL PROGETTO SIPROIMI PRESSO IL COMITATO PER IL CENTRO SOCIALE-EX CANAPIFICIO
E CON GLI ATTORI DELLA COMPAGNIA TERESA RAIANO, UMBERTO SALVATO
COSTUMI GIUSEPPE AVALLONE
TRUCCO LAURA FIORETTI
DISEGNO LUCI GIUSEPPE DI LORENZO
MUSICHE TOMMY GRIECO
ORGANIZZAZIONE CLARA BOCCHINO, DARIO REA
RESPONSABILE FORMAZIONE RAIMONDA MARAVIGLIA
COLLABORATORE ALLA FORMAZIONE FRANCESCO ROCCASECCA
SI RINGRAZIA MUTAMENTI/TEATRO CIVICO 14

IN STREAMING ON DEMAND A PARTIRE DAL 21 OTTOBRE ALLE ORE 18 SULL’ECOSISTEMA DIGITALE PER LA CULTURA DELLA REGIONE CAMPANIA

In tutte le lingue sono presenti parole o espressioni che sono impossibili da tradurre o che nella traduzione perdono parte della loro potenza semantica quasi come se alla loro base ci fosse un nucleo inafferrabile, fumoso, impossibile da circoscrivere.
Questa impossibilità di traduzione si manifesta come una metaforica impossibilità di comunicazione, un punto ideale in cui culture diverse che si vorrebbero incontrare afferrandosi possono solo avvicinarsi. “Komorebi”, parola intraducibile giapponese, sta ad indicare l’effetto della luce del sole quando filtra attraverso le foglie degli alberi e “Komorebi” sembra disegnare bene questa sensazione di “intravedere sensi”.
Descrivere questi concetti intraducibili attraverso l’utilizzo di altre parole sembra essere un inappagante ripiego: come trasportarli nell’altro? Come riuscire ad imprimere la sensazione, l’atmosfera, l’umore che quella parola unica e intraducibile porta con sé? Come possono parole di altre lingue, culture, con storie e profumi e paure diverse riuscire a catturare inafferrabili sensi? Non possono. Il laboratorio, quindi, si pone come obiettivo quello di trasformare parole ed espressioni intraducibili appartenenti alle lingue/culture dei partecipanti in immagini, tramite l’utilizzo di corpi e voci. Ecco che il teatro interviene lì dove una parola non basta, attraverso la potenza della comunicazione visiva e sensoriale, fisica ed emotiva. E forse per un attimo riesce a farci sentire un’unica comunità senza bisogno di traduzioni.