Partner di Progetto

Partner di progetto


Archivio di Stato Caserta


L'Archivio di Stato di Caserta è un organo periferico del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, fondato in epoca preunitaria con la Legge del 12 novembre 1818. L’Archivio ebbe la sua prima sede a Capua nel prestigioso Palazzo Antignano, dei Duchi di San Cipriano; solo nel 1850 venne trasferito a Caserta.  I documenti conservati nell’Archivio di Stato di Caserta abbracciano un arco di tempo che va dalla seconda metà del Quattrocento fino agli anni ottanta del XX secolo. I più importanti sono quelli appartenenti al prezioso fondo notarile, che comprende circa 37.000 volumi. All’Archivio di Stato di Caserta è annessa una Biblioteca, a disposizione degli studiosi. L’Istituto è impegnato a svolgere un’assidua attività di valorizzazione del patrimonio archivistico, divulgandone la conoscenza mediante iniziative culturali dedicate. L’Istituto esercita la sorveglianza sugli archivi degli uffici periferici statali che hanno sede nella provincia di Caserta. Recentemente l'Archivio è stato trasferito nei locali della Reggia di Caserta.

L’Archivio di Stato di Caserta conserva, a partire dagli inizi dell’Ottocento nel precedente archivio provinciale, la documentazione prodotta nella provincia di Terra di Lavoro a partire dalla legge 132 del 1806, varata da Giuseppe Bonaparte l’8 agosto dello stesso anno, “Sulla divisione ed amministrazione delle Province del Regno”.  Sopprimendo il sistema feudale, diede nuova forma alle istituzioni locali a partire dal modello francese. La cospicua documentazione prodotta dall'Intendenza di Terra di Lavoro è priva di un vero e proprio ordinamento. A differenza degli uffici omologhi della maggior parte delle altre province del Regno delle Due Sicilie, questo fondo non è strutturato secondo la suddivisione in settori prevista dai regolamenti, ma secondo un'organizzazione per materie che probabilmente è stata data alle carte durante l'ultimo quarto dell'Ottocento. La serie fornisce preziose notizie, soprattutto a livello statistico, circa le colture e i raccolti, i prezzi dei generi alimentari, le industrie e manifatture, le fiere e i mercati. Sono inoltre presenti le statistiche demografiche, in quanto presumibilmente servivano per la stesura della programmazione economica. La serie è stata interamente fotografata.

L’Intendenza di Terra di Lavoro è l’ufficio provinciale che gestiva la vastissima regione della Terra di Lavoro che andava dalla Campania al basso Lazio, dal Contado di Molise all’estremità nord della Puglia. Durante i secoli la Terra di Lavoro subì importanti modificazioni. Da un punto di vista amministrativo, invece, l’ufficio dell’Intendenza fu riformato a seguito del decennio francese. La serie Affari Comunali raccoglie carteggi, atti di sub-asta per l'affitto dei cespiti comunali (forno, botteghe lorde, molitura, vendita della neve), ruoli della tassa sul vino, lavori alle strade interne e alle chiese, pagamenti alle truppe e questioni relative alle più disparate questioni. La documentazione, raccolta originariamente in 1741 fasci, è stata organizzata cronologicamente per comuni. I comuni di Santa Maria Capua Vetere e San Leucio, datati dal 1806 al 1865, sono stati sottoposti ad operazioni di digitalizzazione documentale che prevede oltre 65000 scatti e contemporaneamente ne è stata fatta l’acquisizione e verifica delle descrizioni archivistiche.


Archivio di Stato di Avellino


L'Archivio di Stato di Avellino trae origine dall'Archivio provinciale istituito nel 1820 in esecuzione della legge del 12 novembre 1818, n. 1379. L’Archivio aveva allora competenza su un territorio che comprendeva alcuni comuni attualmente ricadenti nelle province di Foggia e di Benevento, ad eccezione di un ristretto territorio intorno alla enclave pontificia. A seguito del r.d. 22 settembre 1932, n. 1391, divenne Archivio provinciale di Stato come tutti gli archivi provinciali del Mezzogiorno. Con la legge del 22 dicembre 1939, n. 2006, assunse la denominazione di Sezione di Archivio di Stato e con il D.P.R. del 30 settembre 1963, n. 1409, quella di Archivio di Stato. Dal 2007 ha sede presso il complesso monumentale dell'ex Carcere borbonico in via Verdi 17. L'Istituto ereditò il corpus della documentazione delle passate magistrature della Provincia di Principato Ultra, prima tra tutte la Regia Udienza Provinciale che aveva sede in Montefusco, il più importante nucleo attorno al quale si aggregarono i versamenti successivi. Conserva inoltre gli archivi prodotti dalle istituzioni amministrative e giudiziarie degli Stati preunitari e dello Stato italiano, archivi di enti religiosi soppressi, archivi notarili della Provincia di Avellino, archivi privati di persone, famiglie e imprese storicamente rilevanti sul territorio, per un totale di circa 11.000 metri lineari situati in moderni locali di deposito, in due piani interrati ricavati sotto il padiglione femminile dell’ex carcere borbonico. Il documento più antico, una pergamena del 1324, è la concessione dell’officium baliatus alla vedova di Ruggero I Sanseverino, signore di Bisaccia; i fondi più recenti contengono atti giudiziari, di Prefettura e di Stato civile comunale, ancora in fase di riordinamento ed inventariazione. 


Archivio di Stato di Benevento


L’Archivio di Stato di Benevento è un organo periferico del MIC ed è stato istituito con decreto del Ministero dell’Interno del 10 aprile 1954, in attuazione della legge del 1939 sul nuovo ordinamento degli Archivi di Stato. Compito fondamentale dell'Archivio di Stato è la conservazione della documentazione statale del territorio: gli archivi degli stati preunitari, degli uffici periferici dello Stato relativamente agli affari esauriti da oltre trent’anni; gli atti dei notai la cui attività è cessata da più di cento anni; quelli dei monasteri soppressi e tutti gli altri archivi e singoli documenti (anche privati) che siano stati donati o depositati nell’Archivio di Stato. Altro compito basilare è la sorveglianza sugli archivi degli organi periferici dello Stato, che si attua attraverso apposite commissioni, istituite presso ogni ufficio statale della provincia. L’attività delle commissioni di sorveglianza è finalizzata a garantire la corretta tenuta degli archivi correnti e di deposito, la conservazione della documentazione che ha un interesse storico-archivistico, l’elaborazione delle proposte di scarto e i versamenti all’Archivio di Stato. Pubblica cataloghi di mostre, ricerche, studi. 


Archivio di Stato di Napoli


L’Archivio di Stato di Napoli è un ufficio periferico del Ministero della Cultura. Provvede alla conservazione, alla tutela e alla promozione del patrimonio documentario e ne favorisce la fruizione da parte degli studiosi e dei cittadini. Fondato nel 1808, l’Archivio di Stato di Napoli dal 1845 ha sede nel complesso monumentale dei SS. Severino e Sossio, uno dei più importanti e antichi centri della spiritualità benedettina del Mezzogiorno, con una sede distaccata presso Palazzo Loffredo a Pizzofalcone. Con i suoi quattro piani e i suoi depositi di oltre settanta chilometri lineari di documenti, l’Archivio napoletano rappresenta un punto di riferimento imprescindibile per la ricerca nel settore della storia medievale, moderna e contemporanea d’Italia e d’Europa; nonché in maniera precipua, della storia del Meridione d’Italia. Si conservano quindi, tutti gli atti governativi, gli atti delle magistrature centrali del regno, gli archivi privati delle più importanti famiglie nobili del regno (ad es. Carafa di Roccella, Tocco di Montemiletto, Monforte di Fragnito, Serra di Gerace, Pignatelli di Aragona Cortes, Loffredo, Ruffo di Bagnara, ecc.). Di particolare importanza l'imponente archivio privato della Casa dei Borbone, l'archivio dei Farnese, l'enorme archivio generale di Casa reale, gli archivi delle Legazioni diplomatiche del regno di Napoli all'Estero, gli archivi della Questura e della Prefettura, gli archivi dei tribunali civili e penali, nonché l'archivio della Cassazione di Napoli, gli archivi notarili della Provincia di Napoli dei secoli XV-XIX. Per l'antichità (la carta lapidaria del secolo VIII d.C,), l'ampiezza e la qualità della documentazione, l'Archivio di Stato di Napoli è uno dei nove grandi archivi italiani ed uno tra i principali archivi di importanza internazionale. La struttura  contiene interessanti cicli pittorici di Belisario Corenzio e di Antonio Solaro detto lo Zingaro del XVI secolo.

Per l'Archivio di Stato di Napoli sono state selezionate per la descrizione e la digitalizzazione, la serie Inventari del fondo Archivio Maggiordomia Maggiore e Soprintendenza di Casa Reale, III Inventario e la serie Inventari del fondo Archivio Farnesiano. La scelta è stata motivata dall'esigenza di creare una connessione tra gli archivi e gli altri beni culturali presenti nella Regione Campania. Con lo scopo di salvaguardare, inoltre, i documenti più antichi e importanti custoditi dall'Archivio di Stato di Napoli e renderli fruibili in rete, è stato effettuato un lavoro di riversaggio in digitale delle bobine relative alle serie del fondo Consiglio Collaterale e a dei volumi di grosso formato del fondo Corporazioni Religiose Soppresse. Contestualmente saranno trasferiti nella piattaforma Ecosistema Cultura della Regione Campania, buona parte della documentazione già digitalizzata in particolare la documentazione iconografica e cartografica.
Grazie all'istallazione multimediale realizzata con la collaborazione, come voce narrante, dell'attore Alessandro Preziosi è stato possibile agevolare la lettura del documento più antico dell'Istituto, restituendolo al grande pubblico: si tratta della carta lapidaria, risalente all'VIII secolo e rappresentante la “charta venditionis” del casale Memorola a Cuma; la scrittura utilizzata è un latino corrotto e volgarizzato. 


Archivio di Stato di Salerno


L'Archivio di Stato di Salerno è un organo periferico del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, fondato in epoca preunitaria con la Legge del 12 novembre 1818.  Suo compito precipuo è la conservazione della documentazione statale del territorio: gli archivi degli stati preunitari, degli uffici periferici dello Stato relativamente agli affari esauriti da oltre trent’anni; gli atti dei notai la cui attività è cessata da più di cento anni; quelli dei monasteri soppressi e tutti gli altri archivi e singoli documenti (anche privati) che siano stati donati o depositati nell’Archivio di Stato. Altro compito basilare è la sorveglianza sugli archivi degli organi periferici dello Stato, che si attua attraverso apposite commissioni, istituite presso ogni ufficio statale della provincia. L’attività delle commissioni di sorveglianza è finalizzata a garantire la corretta tenuta degli archivi correnti e di deposito, la conservazione della documentazione che ha un interesse storico-archivistico, l’elaborazione delle proposte di scarto e i versamenti all’Archivio di Stato. Promuove l'attività di formazione al lavoro archivistico e bibliotecario attraverso tirocini concordati con l'Università.  Pubblica cataloghi di mostre, ricerche, studi. L’edificio che attualmente ospita l’Archivio è stato per secoli un palazzo giudiziario. Grazie ad alcuni lavori di restauro, conclusi nel 2009, è stata aperta al pubblico la cappella di San Ludovico, così denominata per un affresco raffigurante il Santo e datato al XIV secolo. Il patrimonio archivistico consiste in più di centomila unità archivistiche tra fasci, fascicoli e unità rilegate su supporto cartaceo e più di mille pergamene, oltre ad una biblioteca di circa ventinovemila volumi. 

La documentazione digitalizzata presso l’Archivio di Stato di Salerno è riferita a tre fondi: Scuola medica Salernitana, (42 volumi e 7 buste), 500 pergamene, e il Liber Iurium Civitatis Salerni.    

Inoltre, del Fondo Intendenza di Principato Citra sono stati digitalizzati i fondi Statistiche, Fiere e mercati, Arti e manifatture, Società economica, Scavi di antichità Regolamento polizia urbana e Annona. 


Biblioteca del Monumento Nazionale di Montevergine


La Biblioteca di Montevergine è una delle undici biblioteche pubbliche statali annesse ai Monumenti nazionali e dipende dal Ministero della Cultura. Rappresenta senz'altro un punto di riferimento per quanti intendano approfondire argomenti di interesse religioso. Istituita dai monaci di Montevergine per la loro attività di studio e ricerca ancora oggi essa resta fedele alla natura e agli scopi originari a disposizione di speciali del settore e di ogni tipologia di utenza appassionata al tema. La Biblioteca è ospitata all'interno del prestigioso Palazzo abbaziale di Loreto di Mercogliano, un piccolo gioiello dell'architettura barocca, ed anche per questo è meta continua di visitatori interessati non soltanto a consultare i suoi cataloghi. È dunque evidente che essa svolge una funzione di valorizzazione importante perché, oltre ad essere biblioteca, è luogo di interesse turistico. È ospitata all’interno del Palazzo abbaziale di Loreto. Le sue origini rimandano sono legate a San Guglielmo da Vercelli, il quale diede vita al nuovo monastero dotandolo sia di paramenti sacri sia di manoscritti greci e latini. La storia del Monastero e del suo archivio è fortemente legata a tutta la storia dell’Irpina e di altre regioni circostanti. Per questo motivo rappresenta uno spaccato attendibile ed inevitabile per qualsiasi studio sull’argomento che abbia come obiettivo una ricostruzione storica rigorosa e fedele della vita religiosa e civile di quelle zone dal Medioevo all’età contemporanea.  


Biblioteca Nazionale di Napoli “Vittorio Emanuele III”


La Biblioteca Nazionale "Vittorio Emanuele III" di Napoli è una biblioteca pubblica statale dipendente dal Ministero per i beni e le attività culturali - Direzione generale Biblioteche e Istituti Culturali. Dopo le nazionali centrali di Roma e Firenze, è la maggiore biblioteca italiana, con un patrimonio di circa 19.000 manoscritti, di 4.563 incunaboli, di circa 1.800.000 di volumi a stampa e oltre 8.300 testate di periodici. Contiene la biblioteca reale borbonica e le principali raccolte di origine privata acquistate dallo Stato o donate oppure concesse in deposito perpetuo. Tra le principali si ricordano: le raccolte Brancacciana, Zagari, Villarosa, Piccirilli, Palatina, San Martino, San Giacomo, Provinciale. Vi sono poi le sezioni che ospitano particolari raccolte quali: Manoscritti e Rari, Emeroteca, periodici, la sezione Napoletana (dedicata a tutto ciò che riguarda Napoli e il Regno di Napoli), Lucchesi Palli (di particolare interesse per il teatro e lo spettacolo), Fondo Aosta, Sezione Americana, Sezione Venezuelana, la Sezione dei Papiri Ercolanensi, con 1.792 papiri, in cui vengono studiati i papiri rinvenuti nella Villa dei Pisoni ad Ercolano. La biblioteca ha sede nel Palazzo Reale dal 1927. Quest’ala del palazzo era destinata in origine ad appartamento delle Feste e per tale funzione di rappresentanza fu sontuosamente decorata sotto la direzione dell’architetto Gaetano Genovese (1837-48). Tra le altre cose notevoli da segnalare vi sono i manoscritti di Giovan Battista Vico, la raccolta poetica di Giacomo Leopardi, di Raffaele e Vittorio Viviani. In anni recenti è stato acquisito l’Archivio del regista Patroni-Griffi. 


Biblioteca Universitaria di Napoli


L'istituzione di una biblioteca fornita di una "quantità bastante di libri di tutte le scienze", e dotata di apposita regolamentazione, risale a Pedro Fernandez de Castro, conte di Lemos, viceré di Napoli dal 1610 al 1616, sul modello dell'Università di Salamanca. ll Palazzo degli Studi, a lavori non ancora ultimati, venne inaugurato il 14 giugno 1615. Carlo di Borbone, una volta asceso al trono di Napoli nel 1734, ordinò la ripresa dei lavori del Palazzo degli Studi; le misure adottate negli anni seguenti mirarono a restituire al complesso universitario decoro e funzionalità fino al suo definitivo trasferimento, nel 1777, all'interno del soppresso Collegio Massimo dei Gesuiti al Salvatore. Con la soppressione degli ordini religiosi, decretata dal governo di Giuseppe Bonaparte nel 1806, la Regia Università degli Studi accolse grandi quantità di libri già appartenuti ai monasteri e destinati al Collegio Reale. All'indomani dell'Unità d’Italia, l'Universitaria entrò nel novero delle biblioteche governative di prima classe. Nel tempo, si arricchì delle raccolte di Filippo e Carlo Cassola (chimica), di Francesco Briganti (scienze naturali), di Paolo Panceri (zoologia e anatomia comparata), di Oronzo Gabriele Costa (paleontologia), di Celestino Cavedani (filologia e archeologia). Pure rilevanti sono: la collezione dantesca donata, nel 1872, da Alfonso della Valle di Casanova, ricca di antiche e pregevoli edizioni; la raccolta di Vittorio Imbriani, di prevalente interesse letterario e linguistico; la cospicua raccolta di opere e opuscoli a carattere giuridico e letterario offerta, negli ultimi dell’Ottocento, da Domenico Viti e Domenico De Pilla. Nei primi anni del Novecento vennero accolte e catalogate le donazioni Padelletti, Battaglini (matematica) e Aievoli (medicina) che rafforzarono la sua identità scientifica. Restaurata dopo il terremoto del 1930 la Biblioteca subì, nell'ultimo conflitto mondiale, seri danneggiamenti e la perdita di pregevoli cinquecentine, bodoniane e volumi del fondo Casanova ricoverate nel Convento dei Frati Minori di S. Francesco a Minturno. Dopo il terremoto del 1980 numerosi interventi di restauro e di consolidamento hanno consentito il potenziamento delle attrezzature e un notevole rinnovamento dei servizi e delle strutture che ne hanno modernizzato la fruizione. 


Direzione regionale Musei Campania


Istituite con il D.P.C.M. del 2 dicembre 2019, n. 169, art. 39, le Direzioni regionali Musei sono articolazioni periferiche della Direzione generale Musei ma uffici di livello dirigenziale non generale. La Direzione regionale ha l’obiettivo di assicurare sul territorio di competenza l’espletamento del servizio pubblico di fruizione e di valorizzazione degli istituti e dei luoghi della cultura in consegna allo Stato o allo Stato comunque affidati in gestione, anche ai fini della per la costruzione del sistema museale regionale. Lavora per valorizzare e rendere fruibile la ricchezza culturale dei musei statali e di altri soggetti, non statali e privati, della propria regione anche mediante specifici accordi di valorizzazione. Coordina risorse umane, tecnologiche e finanziarie al fine di offrire al pubblico attività culturali ed espositive, servizi di accoglienza ed educativi di qualità. Sostiene la nascita di reti locali che coinvolgono diversi attori per lo sviluppo di itinerari culturali e la crescita dei territori in cui opera. Inoltre: programma, indirizza, coordina e monitora tutte  le  attività di gestione, valorizzazione, comunicazione e promozione  del  sistema museale nazionale nel territorio regionale;  garantisce omogeneità di servizi e  di  standard   qualitativi nell'intero sistema museale regionale; sovraintende  alla  definizione,  del progetto culturale di  ciascun  museo  o  luogo  della cultura di appartenenza statale all’interno del sistema regionale, in modo  da  garantire  omogeneità  e  specificità  di   ogni   museo, favorendone  funzione  di  luoghi  vitali,   inclusivi,   capaci   di promuovere lo sviluppo della cultura; assicura elevati standard qualitativi nella gestione  e  nella comunicazione, nell'innovazione didattica e tecnologica, favorendo la partecipazione  attiva  degli  utenti  e   assicurando   la   massima accessibilità ed altre specifiche funzioni che ne attestano il livello di responsabilità dirigenziali, amministrative e tecnico-scientifiche del settore di riferimento. La Direzione regionale Musei Campania ha sede a Napoli presso Castel Sant’Elmo; ad essa afferiscono i seguenti musei:  

  • Certosa e Museo di San Martino, Napoli – 081.2294503 

  • Castel Sant’Elmo e Museo Novecento a Napoli – 081.2294456;  

  • Museo della Ceramica “Duca di Martina” in Villa Floridiana, Napoli – 081.5788418 

  • Museo “Diego Aragona Pignatelli Cortes” e Museo delle Carrozze, Napoli – 081.7612356 

  • Parco e Tomba di Virgilio, Napoli – 081.669390 

  • Museo storico archeologico e Area archeologica di San Paolo Belsito, Nola – 081.5127184 

  • Certosa di San Giacomo, Capri – 081.8376218 

  • Villa Jovis, Capri – 081.8376218 

  • Grotta Azzurra, Anacapri – 081.8376218 

  • Museo archeologico territoriale della Penisola sorrentina “Georges Vallet”, Piano di Sorrento – 081.8087078 

  • Anfiteatro campano, Santa Maria Capua Vetere – 0823.844206 

  • Museo archeologico dell’antica Capua e Mitreo, Santa Maria Capua Vetere – 0823.844206 

  • Museo archeologico di Teanum Sidicinum, Teano – 0823.657302 

  • Teatro romano di Teanum Sidicinum, Teano – 0823.657302 

  • Museo archeologico di Calatia, Maddaloni – 0823.200065 

  • Museo archeologico nazionale dell’antica Allifae, Alife – 0823.787005 

  • Museo archeologico dell’Agro Atellano, Succivo – 081.5012701 

  • Certosa di San Lorenzo, Padula – 0975.77745/552 

  • Museo archeologico di Eboli e della Media Valle del Sele, Eboli – 0828.332684 

  • Museo archeologico nazionale della Valle del Sarno, Sarno – 081.941451 

  • Museo archeologico nazionale di Pontecagnano – 089.84818 

  • Museo di San Francesco a Folloni, Montella – 0827.69221 

  • Museo del Palazzo della Dogana dei Grani, Atripalda – 0825.626586 

  • Museo archeologico nazionale del Sannio Caudino, Montesarchio – 0824.834570 

  • Area archeologica del Teatro romano di Benevento – 0824.47213 


Film Commission


La Film Commission Regione Campania è un ente costituito dalla Regione Campania nel 2004. Operativa dalla primavera del 2005, la Film Commission Regione Campania è stata trasformata in Fondazione a gennaio 2014. La sua mission è quella di promuovere la Campania come set ideale per la realizzazione di film, serie televisive, spot pubblicitari ed altri prodotti dell’audiovisivo, rafforzando la visibilità della straordinaria varietà di location esistenti sul territorio. La Regione Campania, inoltre, ha affidato alla Film Commission  l’attuazione del progetto “Nuove Strategie per il Cinema in Campania” finanziato con risorse POC 2014 - 2020". 


Fondazione Campania dei Festival


La Fondazione Campania dei Festival, presieduta dal 2018 da Alessandro Barbano e diretta dal 2017 da Ruggero Cappuccio, è un ente in-house providing della Regione Campania che da sedici anni, in maniera permanente, produce, promuove e amministra un articolato sistema multidisciplinare di progetti finalizzati alla diffusione della cultura.

Istituita nel 2007, la Fondazione Campania dei Festival è oggi impegnata nella valorizzazione dei beni culturali, nell’inclusione sociale, nella cooperazione internazionale e in attività di educazione rivolte alle nuove generazioni.

Attualmente la Fondazione realizza progetti di spettacolo dal vivo (Campania Teatro Festival) e teatro sociale (Quartieri di Vita. Life infected with Social Theatre), editoria (Campania Libri), formazione nelle scuole, valorizzazione del patrimonio linguistico e collabora con numerose istituzioni nazionali e internazionali.


Museo Archeologico Nazionale di Napoli


Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, dipendente dal Ministero della Cultura e dotato di autonomia speciale dal 2014, garantisce la tutela, la conservazione, la valorizzazione e la fruizione dei beni culturali che custodisce, diffondendone la conoscenza presso il pubblico e la comunità scientifica a livello nazionale e internazionale, mediante l’esposizione delle sue collezioni permanenti e l’organizzazione di mostre e progetti di ricerca. L’Istituto mira altresì a creare relazioni con i siti e gli enti del territorio in cui opera per promuovere la crescita culturale dei cittadini e lo sviluppo socio-economico del contesto. Il Museo Archeologico Nazionale di Napoli è tra i più antichi e importanti al mondo per ricchezza e unicità del patrimonio posseduto.  

La formazione delle sue collezioni è legata alla figura di Carlo di Borbone, re di Napoli dal 1734, che promosse l’esplorazione delle antiche città sepolte dall’eruzione del Vesuvio del 79 d.C. e realizzò in città un Museo Farnesiano, trasferendovi da Roma e Parma parte della collezione ereditata dalla madre Elisabetta Farnese. Si deve al figlio Ferdinando IV, succedutogli nel 1759, il progetto di riunire nell’attuale edificio, sorto alla fine del 1500 come cavallerizza e dal 1616 al 1777 sede dell’Università, la Collezione Farnese e la raccolta di reperti vesuviani già esposta nel Museo Ercolanese nella Reggia di Portici. Dal 1777 l’edificio fu interessato da una lunga fase di lavori di ampliamento affidati agli architetti F. Fuga e P. Schiantarelli, ma i primi allestimenti furono realizzati nel decennio della dominazione francese (1806-1815). Con il ritorno dei Borbone a Napoli nel 1816, il Palazzo assunse la denominazione di Real Museo Borbonico, concepito come museo universale. 

Il Museo, divenuto Nazionale nel 1860, andò arricchendosi con l’acquisizione di reperti provenienti 

dagli scavi nei siti della Campania e dell’Italia Meridionale e da collezioni private, divenendo esclusivamente Archeologico dopo il trasferimento della Pinacoteca a Capodimonte nel 1957. Attualmente il Museo espone circa 18000 opere afferenti alle collezioni Farnesiane (in prevalenza sculture e gemme) e vesuviane (come affreschi, mosaici, oggetti di vita quotidiana), cui si aggiungono quelle comprese nelle sezioni Egizia, Epigrafica, Campania Romana, Numismatica, Magna Grecia, Preistoria e Protostoria, Isola d’Ischia, Piana Campana. 



Archivio Amelio-Santamaria


L’Archivio Amelio-Santamaria, custodito e gestito da Anna Amelio, Paola Santamaria e Eduardo Santamaria, raccoglie la più completa documentazione sulla figura e sull’opera del gallerista napoletano Lucio Amelio (1931-1994), uno degli indiscussi protagonisti del rinnovamento della scena artistica contemporanea in Italia.

L’Archivio privato Amelio-Santamaria si pone come finalità la promozione della cultura e dell'arte ed è costantemente impegnato nell'organizzazione e nella conservazione delle tracce e della memoria del lavoro svolto da Lucio Amelio, e del suo rapporto con artisti, galleristi e istituzioni del territorio e internazionali, di cui ne promuove la conoscenza, attraverso la conservazione di una pluralità di documenti di altissimo valore artistico raccolti nel corso della sua attività dal 1965 al 1994. Collabora, inoltre, alla realizzazione di mostre, cataloghi e altre iniziative culturali; tali collaborazioni si svolgono con istituzioni (musei, fondazioni e gallerie) tra le più prestigiose della scena artistica nazionale ed internazionale.

L’Archivio costituisce un patrimonio importante per la ricostruzione storica non solo della figura di Lucio Amelio, ma documenta anche i tanti momenti che hanno caratterizzato trent’anni di vita culturale a Napoli e in Campania, vissuti da Amelio quale protagonista in prima linea di proposte volte a "sprovincializzare" l'ambiente culturale dove ha operato.


Archivio Lia Incutti Rumma


L’Archivio Lia Incutti Rumma di Napoli custodisce il Fondo Marcello Rumma, un archivio “di persona” che testimonia l’opera e la vita fulminea di Marcello Rumma (1942-1970), documentando i sei anni della sua attività pubblica dal 1965 al 1970. Marcello Rumma, giovane intellettuale e mecenate salernitano, negli anni Sessanta, insieme alla moglie Lia, poco meno che ventenni, si fa promotore tra il 1965 e il 1970 (anno della sua precoce scomparsa) di mostre di una nuova generazione di artisti emergenti e di molteplici iniziative imprenditoriali e culturali tra Salerno e Amalfi.

Il Fondo Marcello Rumma, così nominato dopo il suo ordinamento e conservato dalla moglie nell’Archivio Lia Incutti Rumma di Napoli, raccoglie varie tipologie di documenti, corrispondenza, inviti, fotografie, articoli di giornali, cataloghi, che testimoniano l’impegno di educatore di Marcello Rumma nel Collegio di famiglia Arturo Colautti di Salerno (Rumma affianca il padre e professore di matematica Antonio, nei primi anni Sessanta, nella gestione del collegio), ma anche il suo impegno come promotore di importanti rassegne espositive tra Salerno e Amalfi, di fondatore di una casa editrice e di mecenate e collezionista di opere d’arte contemporanea. Un materiale che parla sì dell’imprenditore e mecenate Marcello Rumma, ma che ci accompagna anche nel ricostruire fatti e vicende dell’arte, soprattutto italiana, a lui contemporanea.


Archivio Marina Vergiani


L’Archivio Marina Vergiani è un archivio di persona privato che comprende una raccolta di documenti testuali e audiovisivi ideati e diretti da Marina Vergiani, architetto e autrice di documentari video sulla città e sull’arte a Napoli, tra il 1984 e il 2013.

Marina Vergiani (1952-2015), è stata architetto, autrice di documentari video sulla città e sull’arte, per lunghi anni dirigente culturale del Comune di Napoli e instancabile promotrice della valorizzazione e conservazione di documenti storici del teatro, delle realtà sociali e lavorative, del territorio e delle sue trasformazioni. Nella sua carriera ha collaborato con università, teatri, assessorati, istituzioni, fondazioni e associazioni culturali, occupando posizioni di prestigio quali quella di docente di Tecniche di valorizzazione dei Beni Culturali all’Università Suor Orsola Benincasa e assumendo poi la direzione del PAN - Palazzo delle Arti di Napoli dal 2005 al 2011. All’attività istituzionale ha sempre affiancato quella di ricerca e di produzione, collaborando con registi e filmmaker quali Mario Martone e Mario Franco, scrivendo soggetti e sceneggiature.

L’Archivio di Marina Vergiani comprende alcune migliaia di documenti su supporti elettronici, digitali, cartacei già schedati e, in particolare: la raccolta di materiali audiovisivi ideati e diretti da Marina Vergiani tra il 1984 e il 2013; la raccolta dei materiali video prodotti da B. Sketch tra il 1987 ed il 1991; la raccolta di scritti, storyboard, disegni, fotografie, pubblicazioni, manifesti, locandine, ideati con e da Giuliano Longone, Michele Bellamy Postiglione e Leonardo Coen Cagli.


Biblioteca e Complesso Monumentale dei Girolamini


Il vasto Complesso Monumentale dei Girolamini ospita una Chiesa in stile barocco che, per la sua decorazione in oro, fu definita una “Domus Aurea” e due chiostri monumentali; una prestigiosa Quadreria dove sono esposte numerose opere di artisti di scuola napoletana e di tanti importanti pittori operanti in città; una ricca Biblioteca (la più antica di Napoli) dove vengono conservati importanti e rari manoscritti. Il complesso monumentale, dedicato alla Natività di Maria ed a tutti i Santi, vide la luce nel 1586 con l’insediamento a Napoli dei padri Filippini Oratoriani. Deve il suo nome ai religiosi seguaci di san Filippo Neri che ebbero come loro primo luogo di riunione la chiesa di San Girolamo della Carità a Roma. I padri per edificare la chiesa acquistarono il Palazzo Seripando di fronte al Duomo, e tutti i palazzi che delimitavano l’area, abbattendo anche antiche chiesette, crearono così lo slargo per la facciata della chiesa dei Girolamini, detta anche di San Filippo Neri. La facciata principale della Chiesa Dei Girolamini è su largo dei Girolamini, lungo via dei Tribunali. L’ingresso alla chiesa avviene però dalla laterale via Duomo tramite il chiostro della porteria al civico 142 dove in origine sorgeva il rinascimentale palazzo Seripando. Il complesso monumentale è stato dichiarato monumento nazionale nel 1866 e a partire dal 2010 tutto il convento è stato interamente musealizzato. Il cinquecentesco edificio religioso, con i suoi 68 metri di lunghezza e i 28 metri di larghezza, è uno i più vasti di Napoli. Al suo interno si scoprono capolavori del tardo-manierismo romano e napoletano, del naturalismo e del barocco trionfante. La Biblioteca che occupa quattro stupende sale settecentesche e due moderne, è la più antica tra quelle napoletane, a lungo frequentata da Giambattista Vico e Benedetto Croce. La Quadreria dei Girolamini è un piccolo museo. Qui si scoprono opere di pittori appartenenti alla scuola napoletana come Massimo Stanzione, Luca Giordano, Battistello Caracciolo, Francesco Solimena oltre a opere di Guidi Reni, Sammartino, Ribera e Francesco Gessi.


Complesso monumentale di San Severo al Pendino


La Chiesa di San Severo al Pendino è una chiesa monumentale di Napoli, attualmente sconsacrata ed utilizzata come spazio espositivo. La chiesa venne fondata nel 1448 con il nome originario di Santa Maria a Selice. Nel 1550 fu concessa ai Domenicani che nel 1587 acquistarono il vicino Palazzo Como per utilizzarlo come convento. Tra il 1599 e il 1620 la chiesa venne demolita e ricostruita su progetto di Giovan Giacomo Di Conforto, che diede all'edificio un aspetto tardo manierista. Nel 1818 la struttura venne utilizzata come prima sede dell'Archivio di Stato, poi, con il ritorno dei religiosi, il complesso venne rifatto nel 1845 da Filippo Botta. Con i lavori di via Duomo la chiesa venne privata della facciata barocca e delle prime due cappelle, diminuendo la lunghezza della navata e sostituendo la facciata con una più semplice in stile neorinascimentale. Durante la seconda guerra mondiale venne utilizzata come rifugio antiaereo, mentre venne danneggiata dal terremoto del 1980. Dopo cinquant'anni dalla fine della guerra la chiesa è stata restaurata, riconducendo la struttura alla sua architettura originaria.


Conservatorio San Pietro a Majella


Il Conservatorio di Musica San Pietro a Majella, dichiarato reale nel giugno 1807 con decreto di Giuseppe Napoleone, ha una storia ricca, nata dalla fusione di diverse istituzioni preesistenti: i Conservatori di Santa Maria di Loreto, Sant'Onofrio a Capuana e Santa Maria della Pietà dei Turchini, che operavano nell'ambito dell'assistenza e della formazione musicale a Napoli durante l'età moderna. Questi conservatori si inserivano in politiche più ampie di carità e beneficenza dell'epoca, offrendo assistenza all'infanzia indigente e abbandonata e sviluppando competenze musicali. Nel corso del tempo, la musica divenne sempre più centrale nelle attività degli istituti, tanto che si trasformarono in vere e proprie scuole musicali, aprendosi anche ad allievi esterni.

Con il passare degli anni, il controllo degli enti di assistenza da parte dello Stato portò a cambiamenti nelle strutture e nelle modalità di gestione dei conservatori. Il Conservatorio di Santa Maria di Loreto si unì a quello di Sant'Onofrio a Capuana nel 1797, mentre nel 1806-1807 si verificò la fusione con il Conservatorio della Pietà dei Turchini, dando vita al Reale Conservatorio di Musica di San Pietro a Majella. L'istituzione era diretta da una direzione tecnica ed economica, con regole rigide di gestione e un sostegno costante dei benefattori. La formazione musicale era al centro delle attività, seguendo i principi dei grandi maestri del passato come Durante, Finaroli e Zingarelli.

Dopo l'unificazione nazionale, si sviluppò la necessità di uniformare la normativa e l'organizzazione degli istituti musicali preunitari. Nel 1871, su iniziativa di Giuseppe Verdi, fu convocata una commissione a Firenze per stabilire un indirizzo comune per l'insegnamento musicale in Italia.

Il Conservatorio di Napoli, nel corso del tempo, ha dovuto bilanciare la conformità alla normativa nazionale con la difesa delle sue peculiarità come ente autonomo. Questa battaglia si concluse nel 1890, quando lo statuto confermò la sua autonomia morale e la sua missione educativa sia nella musica che negli studi letterari. La normalizzazione degli aspetti amministrativi e normativi avvenne con i provvedimenti legislativi del 1912 e del 1918 e la Riforma Gentile. Questi atti stabilirono le prime disposizioni comuni per gli istituti governativi e ridefinirono l'organizzazione didattica e amministrativa. Infine, con la legge n. 508 del 1999, si completò il processo di rinnovamento dell'apparato didattico del Conservatorio di Napoli, in linea con gli standard dell'Alta Formazione Artistica e Musicale.


Direzionale regionale Musei Campania, Archivio Castel Sant’Elmo/Fondi arte contemporanea


La Direzione regionale Musei Campania ha l’obiettivo di potenziare le attività di valorizzazione dei musei italiani ed è il punto di connessione tra centro e periferia: opera per favorire il dialogo tra enti statali e locali, tra realtà museali pubbliche e private, per la costruzione del sistema museale regionale. Lavora per valorizzare e rendere fruibile la ricchezza culturale dei musei statali della propria regione. Coordina risorse umane, tecnologiche e finanziarie al fine di offrire al pubblico attività culturali ed espositive, servizi di accoglienza ed educativi di qualità. Sostiene la nascita di reti locali che coinvolgono diversi attori per lo sviluppo di itinerari culturali e la crescita dei territori in cui opera. Le Direzioni regionali Musei, uffici di livello dirigenziale non generale, sono articolazioni periferiche della Direzione generale Musei.

Il patrimonio documentario di Castel Sant’Elmo è costituito da più fondi legati alla programmazione culturale e alla formazione delle collezioni d’arte e prodotti da differenti uffici, di quella che oggi è la Direzione regionale Musei Campania, dislocati in ambienti diversi del castello. Nello specifico, si tratta dei fondi del Museo Novecento a Napoli, dell’Ufficio stampa, della Fototeca e della Biblioteca di Storia dell’arte “Bruno Molajoli”, composti da corrispondenze, documentazione audio, video e fotografica, materiale di comunicazione, rassegne stampa, cataloghi.

L’Archivio Castel Sant’Elmo/Fondi arte contemporanea mette insieme, in ambiente digitale, le diverse raccolte documentali, per un insieme che comprende oltre 1.000 fotografie tra positivi a stampa, diapositive e fotografie digitali; più di 30 documenti audiovisivi; quasi 200 tra comunicati e rassegne stampa e circa 50 cataloghi, oltre a inviti, brochures, progetti di allestimento.


Duomo di Napoli


Il Duomo di Napoli, la Cattedrale dedicata a Santa Maria Assunta, è situato lungo l’ottocentesca via omonima. Un’arteria pensata in età borbonica ma realizzata solo con lo sventramento della città nei primi decenni dell’Unità d’Italia. L’edificazione della Cattedrale fu voluta da Carlo d’Angiò nel 1294, nel luogo dove sorgevano due antiche basiliche: Santa Restituta e Stefania. Per lasciar posto alla nuova costruzione, quest’ultima fu completamente demolita, mentre la basilica di Santa Restituta fu ridotta al ruolo di cappella laterale. Il Duomo ricostruito in stile gotico, ha un impianto a croce latina, a tre navate. Il soffitto della navata principale è a cassettoni, in legno intagliato e dorato, mentre le navate laterali hanno volta a crociera, con decorazioni barocche. Le decorazioni a stucchi che decorano tutta la chiesa sono della fine del Seicento. La facciata alta circa 50 metri, è dotata di tre portali, la porta di destra viene aperta soltanto per le festività che celebrano San Gennaro e in alcuni casi straordinari. Le navate laterali, con le loro cappelle e nicchie, testimoniano i vari passaggi nell’arte e nell’architettura napoletana nel corso dei secoli. Tra le tante cappelle, due si distinguono sopra le altre per dimensione e rilevanza artistica. La Cappella di Santa Restituta, sulla navata sinistra, che corrisponde all’antica basilica voluta dall’imperatore Costantino, si presenta con tre navate ed ospita oggi opere di Luca Giordano e sculture trecentesche. Da qui si accede anche alla zona archeologica che si trova sotto il Duomo, dove sono conservati importanti resti della città greco-romana e paleocristiana. A destra dell’abside c’è anche l’accesso al Battistero di San Giovanni in Fonte, considerato il più antico d’occidente. La Cappella del Tesoro di San Gennaro (la terza a destra) risale invece alla prima metà del XVII secolo. È in questa cappella, in stile barocco, che tutti gli anni si attende il miracolo della liquefazione del sangue del santo. Superato il cancello bronzeo di Cosimo Fanzago si entra in una cappella con pianta a croce greca con quattro bracci di dimensione ridotta e cupola a doppia calotta. Qui sono custoditi il busto d’argento e le ampolle col sangue di San Gennaro. Sotto l’altare maggiore si trova la Cappella del Succorpo, la cripta del Duomo, conosciuta anche come Cappella Carafa, in onore del cardinale Oliviero Carafa che la volle edificare per custodirvi le reliquie di San Gennaro insieme a quelle di altri 51 santi. Giovan Tommaso Malvito la concepì come se fosse una basilica. Ha una pianta a tre navate scandite da colonne antiche con capitelli ionici con delle nicchie laterali e una cappella terminale.


Fondazione Bideri


La Fondazione Bideri è una istituzione no profit costituita nel 1995 in memoria di Ferdinando e Rosa Bideri e riconosciuta a livello nazionale con decreto prefettizio il 20/02/2002. La Fondazione Bideri rivolge la sua attività alla promozione e valorizzazione della cultura napoletana: promozione intesa come recupero di una memoria storica che ha contribuito a definire i tratti fondanti della nostra identità, valorizzazione intesa come ricontestualizzazione in chiave contemporanea di contenuti artistici di grande valore. Depositaria di un notevole fondo di documenti storici, spartiti, testi autografi, quadri, strumenti musicali antichi, libri e materiale d’epoca, la Fondazione Bideri ha raccolto l’eredità morale di Ferdinando Bideri, autentico pioniere nel campo dell’editoria culturale che, alla fine del secolo XIX, fu tra i primi in Italia a dare un assetto industriale alla pubblicazione di libri e componimenti musicali. Oscar Wilde, Benedetto Croce, Matilde Serao, Edoardo Scarfoglio, D’Annunzio, Di Giacomo, Ferdinando Russo, Mario Costa, Francesco Paolo Michetti, Libero Bovio, Pietro Scoppetta sono solo alcuni dei nomi di letterati e artisti che collaborarono con Ferdinando Bideri e i suoi eredi pubblicando opere di grande spessore e lasciando documenti di notevole interesse che oggi sono al centro dell’attività della Fondazione Bideri. Attualmente la Fondazione Bideri è impegnata nella costituzione e nell’ampliamento di un imponente archivio digitale. Contemporaneamente la sua attività è finalizzata alla organizzazione di mostre, seminari e convegni. Le iniziative della Fondazione Bideri hanno lo scopo di valorizzare la canzone napoletana avendo come riferimento la storia della casa editrice Bideri. Le azioni hanno il loro punto di partenza in un processo di digitalizzazione che interessa l’intero fondo documentale. Facendo leva sulle opportunità offerte dalla smaterializzazione dei contenuti disponibili, sono sviluppate attività di tutela, sostegno e diffusione.


Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee – Museo Madre


Il museo Madre (acronimo per Museo d’arte contemporanea Donnaregina) nasce nel 2005, quando la Regione Campania acquista l’edificio di via Settembrini, contiguo alla Chiesa di Donnaregina Vecchia, per destinarlo a museo per l’arte contemporanea. La Regione Campania istituisce la Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee quale ente funzionale regionale nel 2004.

La Fondazione Donnaregina per le arti contemporanee è stata costituita il 22 novembre 2004 dalla Regione Campania al fine di “istituire, promuovere e gestire musei, centri d’arte e di cultura nel territorio della Regione Campania, acquisendo in via temporanea o permanente, a mezzo di contratti e/o accordi con Enti pubblici o privati, artisti e collezionisti, opere d’arte contemporanea da esporre permanentemente o temporaneamente nei propri musei o in mostre tematiche; svolgere attività culturali attraverso l’organizzazione di convegni, stage e seminari in tema di arte, letteratura, cinema, grafica, design, fotografia, architettura e di ogni altra forma di espressione artistica, moderna e contemporanea”. Dapprima strutturata in forma totalmente pubblica, nel 2011 la Regione Campania ha adottato una profonda riforma statutaria, che, in sintesi, ha modificato la figura del presidente, ruolo inizialmente riservato al Presidente della Giunta regionale o ad un componente della Giunta regionale, oggi ricoperto da persona che possieda “larga esperienza giuridica, economica e manageriale”; ha aperto alla possibilità di ingresso di altri soggetti nel consiglio di amministrazione; ha portato da tre a cinque i componenti del comitato scientifico; ha imposto la scelta del direttore mediante “pubblico concorso svolto secondo i principi nazionali e comunitari ad evidenza pubblica”; ha fissato in cinque anni la durata del suo incarico.


Fondazione Filiberto e Bianca Menna – Centro Studi d’Arte Contemporanea


La Fondazione Filiberto e Bianca Menna di Salerno è un centro Studi d’Arte Contemporanea che svolge un ruolo di primaria importanza nel campo della ricerca e della cultura che mirano a riconsiderare l’arte, irrinunciabilmente legata alla costruzione del nuovo, come motore di trasformazione della società. Nata nel 1989 per volontà della famiglia Menna, la Fondazione Filiberto Menna – Centro Studi d’Arte Contemporanea promuove iniziative e progetti volti a diffondere ed approfondire la conoscenza del presente dell’arte, rinnovando così la lezione teorica dello studioso salernitano, fra i protagonisti del dibattito critico del secondo Novecento.

Dal 2018 al nome di Filiberto, la Fondazione lega nella propria denominazione statutaria quello di Bianca (Pucciarelli in Menna) per meglio tutelare non solo il lavoro intellettuale della coppia, ma anche l’Archivio del Lavatoio Contumaciale e dell’Archivio Menna/Binga che conserva materiale cartaceo, video e fotografico, nonché un importante nucleo di opere realizzate da Tomaso Binga tra la fine degli anni Sessanta del secolo scorso e il primo ventennio del nuovo.

Distinguendo la propria azione da quella degli altri attori impegnati nel campo dell’arte, la Fondazione svolge la propria missione culturale con precise strategie operative che privilegiano il confronto critico e l’educazione, in una prospettiva orientata a quella costruzione del nuovo di cui lo stesso Menna è stato costante promotore nel corso della sua attività di ricerca.

Avvalendosi della collaborazione di giovani studiosi e grazie alla presenza di strutture e di strumenti adatti a realizzare iniziative legate all’attualità, la Fondazione, che ospita al suo interno un Archivio, una Biblioteca (aperta al pubblico nel 1994) e una Mediateca, si presenta come spazio dinamico e polifunzionale: un luogo di studio e un laboratorio creativo in grado di monitorare i territori dell’arte contemporanea e di dare un futuro alle idee dell’arte e della critica a lei dedicata.

La Fondazione organizza, all’interno dei suoi spazi, una serie di attività orientando il suo lavoro sui temi dell’arte, della critica d’arte e della teoria delle arti, formulando, inoltre, felici relazioni con il pensiero filosofico e con le esperienze musicali dell’attualità.

A questi nuclei centrali, che seguono gli interessi di Filiberto Menna, va aggiunto, inoltre, l’impegno che la Fondazione mostra, da anni, anche nei campi della formazione e della didattica per avvalorare un discorso legato non solo alle pratiche artistiche del presente dell’arte ma anche a nuove strategie educative e comunicative.


Fondazione ilCartastorie


La Fondazione ilCartastorie nasce nel 2016 come ente strumentale della Fondazione Banco di Napoli. La sua costituzione risponde operativamente agli scopi statutari di quest’ultima nel settore dell’arte e delle attività culturali. In particolare, la Fondazione ilCartastorie persegue le finalità di cura, conservazione, gestione, manutenzione, promozione e valorizzazione dell’Archivio Storico del Banco di Napoli, il più grande archivio di natura bancaria al mondo, nel quale sono raccolti preziosi documenti capaci di documentare 500 anni di storia napoletana, meridionale, italiana, europea e di paesi extra-europei. Nella mission ha spiccato rilievo la gestione del Museo che ne porta il nome con le operazioni culturali annesse (mostre, attività didattiche e laboratoriali, esposizioni, convegni, ecc.). La strategia del Museo, che può essere definita trans-mediale, è il luogo di raccordo da cui si raccontano e divulgano storie sul proprio patrimonio, secondo una logica di diversificazione dell’offerta e segmentazione dei destinatari, facendo leva su linguaggi e modalità di fruizione differenti. Il percorso multimediale che costituisce il cuore del sistema di offerta, è disponibile ai visitatori in maniera permanente dalla primavera 2016, ma vengono organizzate anche rappresentazioni teatrali, concerti, eventi a tema storico, laboratori di scrittura creativa, visite guidate, tradizionali o teatralizzate e residenze d’artista. Un modo per rispondere al meglio alla domanda locale di cultura e di sostenere al tempo stesso i flussi turistici, in quell’ottica di aggregatore sociale e promotore di sviluppo economico che da sempre contraddistingue l’operato della Fondazione Banco di Napoli.



Associazione Alessandro Scarlatti


L'Associazione Alessandro Scarlatti, fondata nel 1918, porta il nome del grande compositore barocco (Palermo, 1660-Napoli, 1725). Diventa Ente morale nel 1948, caratterizzandosi come una delle più antiche associazioni musicali del Sud d’Italia che da oltre 100 anni si occupa di diffondere l’arte e la cultura musicale nelle sue molteplici forme. Un’istituzione che si fa carico di portare avanti una lunga tradizione, prodotta dai suoi illustri fondatori - Emilia Gubitosi, Salvatore Di Giacomo, Franco Michele Napolitano, Giovanni Tebaldini - e che si è sviluppata, nel tempo, attraverso la creazione di iniziative che hanno fatto la storia della musica in Campania (dal coro diretto da Emilia Gubitosi, all’orchestra Scarlatti fondata nel 1949 e diretta da Franco Caracciolo, alle Settimane di Musica fondate da Salvatore Accardo e Gianni Eminente nel 1971).

Oggi l’Associazione risulta iscritta nell’Albo Regionale delle Istituzioni di Alta Cultura della Regione Campania. La sua programmazione culturale prevede diversi eventi e progetti distribuiti su undici mesi all’anno, tra cui, una stagione concertistica di rilievo nazionale, programmi di formazioni musicale per l’infanzia disagiata, laboratori per gli allievi dei Conservatori del Sud finalizzati a completarne la formazione per supportarne la competitività sul mercato del lavoro, valorizzazione degli Organi Storici delle Chiese della Campania, conferenze, pubblicazioni. Le molteplici attività intraprese dall’Associazione, pur essendo legate al mondo della musica, hanno significative ricadute sul territorio anche grazie alle molteplici relazioni strette con le più importanti istituzioni della regione - sovrintendenze ai beni culturali, università, conservatori - che consentono l’accesso a luoghi di inaspettata bellezza, spesso sconosciuti al grande pubblico.

Nella sua sede legale, sita in Piazza dei Martiri a Napoli, si conserva sia l'Archivio corrente che l'Archivio storico.


Associazione Amici Archivi onlus


L'Associazione Amici Archivi onlus è stata fondata nel 2000 da un gruppo di operatori dei beni culturali che riconoscono negli archivi un punto di riferimento fondamentale per tutti i settori della cultura napoletana e nazionale. L'Associazione è stata dichiarata organizzazione non lucrativa di utilità sociale con disposizione del Ministero delle finanze n. 20443 nel 2004. Sono organi dell’Associazione: l’Assemblea Generale dei Soci e il Consiglio Direttivo. L’Associazione, inoltre, si avvale, nel perseguimento degli scopi statutari, dei contributi del Comitato Tecnico Scientifico, organo consultivo che assiste la stessa nella selezione e valutazione delle iniziative da assumente, dei progetti da studiare e proporre, e delle collaborazioni da avviare. L’Associazione, infine, per diffondere e approfondire le diverse tematiche relative agli scopi statutari organizza convegni, giornate di studio, work shop, conferenze, dibattiti, gruppi e commissioni di studio, mostre, spettacoli, eventi e manifestazioni, attività editoriali e multimediali, di ricerca, consulenza, informazione e formazione e può istituire, inoltre, club tematici e sezioni territoriali locali in Italia e all’estero.

L’Associazione possiede un Archivio e una Biblioteca dove la consultazione e lo studio del materiale posseduto è a disposizione non solo dei propri soci, ma anche del pubblico in genere. I fondi archivistici e bibliografici sono stati depositati dai soci dell’Associazione e riguardano per la maggior parte nuclei di scritture di famiglia o di persone, o materiale acquisito sul mercato, conservato per i propri studi o per specifici settori d’interesse culturale o professionale.


Associazione Archivio Fotografico Parisio


L’Associazione Archivio Fotografico Parisio ha sede negli stessi locali che furono, fin dal 1924, l'atelier del fotografo Giulio Parisio (Napoli, 1891 - 1967). Istituita nel 1995, l’associazione è custode di un importante patrimonio fotografico - negativi e positivi -, che costituisce un archivio, fra i più compatti ed omogenei oggi disponibili nel Sud Italia, che documenta l'evoluzione della storia sociale, culturale e urbana della città di Napoli e della Campania. Una storia che si racconta attraverso le foto di Giulio Parisio ma anche dei fratelli Troncone, attivi a Napoli e in Campania dalla metà degli anni Venti del Novecento. Roberto Troncone (1875-1947) fondò, verso il 1912, la casa cinematografica Partenope film, di cui si conservano alcuni documenti e foto di scena, nella quale lavoravano i suoi due fratelli Vincenzo (1887-1973) e Guglielmo (1890-1970). Cessata l'esperienza del cinema questi ultimi aprirono uno studio fotografico, che è stato attivo fino al 1996 con Vittorio e il figlio di Guglielmo.  

Gli archivi Parisio e Troncone, che rappresentano i fondi più consistenti custoditi dall’Associazione, sono composti da oltre un milione di negativi originali, su diversi supporti e formati, oltre a un considerevole quantitativo di positivi originali. La tutela e conservazione sono il primo obiettivo che l’Associazione si è prefisso. I fondi Parisio e Troncone, come pure la sede, sono stati riconosciuti di interesse storico da parte dello Stato e posti sotto vincolo dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Al centro delle attività dell'Associazione, la divulgazione intellettuale attraverso dibattiti e incontri, ma soprattutto la promozione di Napoli per chi non la conosce, con mostre ed eventi volti a esaltarne la storia e raccontarne le facce più nascoste. L'Archivio è socio dell'Associazione Nazionale Archivisti Italiani e dell'International Committee for Documentation and Conservation of Buildings, Sites and Neighbourhood of the Modern Movement.


Associazione Opera Pia Purgatorio ad Arco di Napoli


L’associazione Opera Pia Purgatorio ad Arco – O.N.L.U.S. è l’Ente proprietario del Complesso Museale di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco. Già IPAB - Istituto di Pubblica Assistenza e Beneficenza - vanta 400 anni di vita ed è una delle poche opere pie ancora esistenti e attive nel portare a termine gli scopi di sua fondazione. 

Nata grazie alle “spontanee elargizioni della napoletana cittadinanza” fu riconosciuta ufficialmente da papa Paolo V, con Breve Apostolico nel 1606. La Pia Congregazione si adunava, agli inizi, nella chiesa di Sant’ Arcangelo a Segno, poi in Santa Maria della Rotonda e finalmente in Sant’Arcangelo a Nilo; in seguito, con l’incremento delle rendite, grazie alle copiose elargizioni dei napoletani nel 1616 decise di edificare una propria Chiesa su disegno del Cav. Cosimo Fanzago che fu chiamata delle “Anime del Purgatorio ad Arco”. Fondata nel 1605 da alcuni membri della più antica nobiltà partenopea con un duplice fine “la celebrazione delle messe giornaliere, opere di culto ed altre sacre funzioni in suffragio delle Anime del Purgatorio” ed attività di carità e beneficenza a favore anche degli estranei al Sodalizio”. Con la legge Crispi del 1862 le opere pie, tra cui del Purgatorio ad Arco, furono equiparate ad enti parastatali, e nel 1890 si dispose la loro trasformazione in istituzioni pubbliche di beneficenza.

L’Opera Pia Purgatorio ad Arco è ancora oggi attiva ed i membri del sodalizio prestano la loro opera nel campo della beneficenza, dell’assistenza e del culto. Nel Complesso ha sede l’Archivio Storico, gestito dall’Associazione Amici degli Archivi Onlus.


Centro di Ricerca Guido Dorso


Il Centro di Ricerca Guido Dorso, fondato nel 1978 per volontà della Famiglia Dorso, della Fondazione “G.G. Feltrinelli” di Milano, della Regione Campania, della Provincia e del Comune di Avellino, si avvale di un Comitato scientifico altamente qualificato. Inserito nella Sezione speciale dell’Albo regionale come “Istituzione di Alta Cultura”, è iscritto nel registro delle persone giuridiche della Regione Campania. Nel 2020 il Centro Dorso è stato riconosciuto dal Ministero della cultura tra gli Istituti nazionali di cultura. Svolge, senza fini di lucro, la propria attività, che ha lo scopo principale di promuovere la conoscenza e lo studio della storia, dell’economia e delle idee sociali del Mezzogiorno. Dal nucleo iniziale del Fondo Dorso si è pervenuti alla costituzione di una Biblioteca di circa 60.000 volumi.  Il Centro di Ricerca “Guido Dorso” è da anni impegnato nella valorizzazione del suo patrimonio documentario attraverso il recupero e il riordinamento del proprio patrimonio archivistico e una sempre più ampia apertura dei propri fondi al pubblico anche attraverso l’utilizzo di tecnologie multimediali. Accanto alle operazioni di riordino e inventariazione, il Centro Guido Dorso realizza iniziative tese a valorizzare, a far conoscere e a rendere fruibili i documenti di tali archivi. Tutto il patrimonio archivistico del Centro Dorso è stato riconosciuto “di interesse storico particolarmente importante” dal MIBACT, con Decreto n. 3/2015. Il Centro di Ricerca Guido Dorso ha lo scopo di: ordinare e conservare il materiale documentario del Fondo Guido Dorso, di raccogliere, ordinare e conservare il materiale documentario di tutte le componenti e le organizzazioni economiche, sociali e politiche del Mezzogiorno con particolare riguardo alla formazione del pensiero meridionalistico; promuovere la conoscenza e lo studio della storia, dell’economia e delle idee sociali del Mezzogiorno e delle componenti della sua formazione sociale e politica; mettere a disposizione tutti i materiali, ordinati e organizzati, ai ricercatori, agli studiosi, agli studenti, alle Università e a tutti gli organismi di studio e di ricerca operanti nel Mezzogiorno; promuovere e curare la pubblicazione di saggi, monografie, raccolte di testi, documenti, e bibliografie; coordinare e realizzare le ricerche anche a carattere nazionale, su temi della società meridionale; gestire e promuovere corsi di istruzione tecnico-professionale, qualificazione e perfezionamento, coordinamento delle attività culturali con gli Enti locali, regionali, statali, europei, pubblici e privati.


Comune di Altavilla Silentina, Archivio Storico Comunale


Il Comune di Altavilla Silentina ha una storia antica, e insiste su un territorio abitato fin dal neolitico, come testimoniano alcuni antichi insediamenti e reperti del VII secolo a.C. trovati in località San Lorenzo. Dal 1811 al 1860 ha fatto parte del circondario di Capaccio, appartenente al Distretto di Campagna del Regno delle Due Sicilie. Dal 1860 al 1927, durante il Regno d'Italia ha fatto parte del mandamento di Capaccio, appartenente al Circondario di Campagna. La documentazione è stata conservata per molto tempo presso la vecchia sede comunale, nel centro storico del paese, finché, nel 1943, eventi bellici determinarono la distruzione dell'archivio, con la perdita di molti documenti. Nel maggio 1997 il Comune ha provveduto al recupero e schedatura inventariale del posseduto, trasferendo la parte più antica della documentazione nel vecchio Municipio, appositamente ristrutturato, per consentirne la consultazione. L’Archivio è nella sede attuale, la Biblioteca Comunale “Arnaldo Di Matteo”, dal 1997-1998, quando sono iniziate le attività di riordino. La Biblioteca “Arnaldo Di Matteo” rappresenta un vero scrigno culturale, atta a tracciare l'identità del territorio comunale, conserva oltre 3200 libri di vari argomenti (Letteratura, Storia, Storia locale, Sociologia, Scienze e Gastronomia).


Comune di Aversa, Biblioteca “Gaetano Parente”


Il Comune di Aversa di origine antica assume importanza storico-politica intorno all’anno Mille con la venuta dei Normanni, ai quali fu concesso il territorio dal Duca Sergio IV Conte di Napoli, per l’aiuto prestatogli nel 1027. Cinta di mura divenne una contea indipendente, la prima contea normanna in Italia, riconosciuta dall’imperatore Corrado nel 1038. Nasceva così la Contea di Aversa, che estese il suo dominio su buona parte della Campania. Durante il sec. XIV spesso vi risiedette la corte angioina. Dal 1190 al 1806, Aversa visse, con alterne fortune, gli eventi legati al succedersi delle varie dinastie nel Regno di Napoli nelle cui vicende si articola anche la sua storia. La sede del Comune è stata danneggiata sia dal terremoto del 1805 che da quello del novembre 1980. Dal 2007 ha sede nel Palazzo Gaudioso, appartenuto all’omonima nobile famiglia. Oggi ospita la Biblioteca “Gaetano Parente”, fondata nel 1875, che conserva al suo interno anche gli Archivi del Comune di Aversa e della Real Casa dell’Annunziata di Aversa. La Biblioteca Comunale svolge a livello locale una importante attività di promozione culturale, favorendo incontri di lettura e studio.


Comune di Caiazzo, Archivio Storico


Caiazzo, a 200 metri sul livello del mare nella Media Valle del Volturno, si estende su un territorio in parte collinare coltivato a vite ed ulivi, e in parte pianeggiante votato all’agricoltura. Le origini della Città sono antichissime. Una leggenda narra che Caiatia, provenga dalla ninfa Calatio, figlia del Tifata, che con il dio Volturno “prendeva sollazzo”.  La ninfa, temendo di essere scoperta dal padre, fuggì ed arrivò sulle colline di Caiazzo dove fondò la città omonima. Percorrendo il centro storico si scoprono oggi le testimonianze del suo passato: dalla civiltà osco-sannita al dominio aragonese fino al Regno dei Borboni. Nella parte più antica della Città è possibile riconoscere le mura megalitiche, i vicoli medioevali, le chiese rinascimentali e barocche, i palazzi catalani del XV secolo con i bellissimi portali, ed il castello longobardo.

L’Archivio Storico Comunale di Caiazzo è situato nel Centro civico comunale di Palazzo Mazziotti, che ospita anche la Biblioteca civica, il Piccolo teatro Iovinelli e l'esposizione permanente del Museo della civiltà contadina. L’Archivio storico raccoglie dati relativi non solo agli eventi storici nazionali e al loro influsso sulla vita politica e sociale di Caiazzo ma anche alla vita quotidiana locale. Tra la documentazione si conserva un importante manoscritto opera del canonico Pasquale Iadone, che descrive la storia della Cittadina. Inoltre, si annoverano disegni, planimetrie, progetti, documenti relativi alle congregazioni, molto diffuse nel passato, alla caduta del Regno delle Due Sicilie, alla lotta al brigantaggio e al governo dei Savoia, ma anche atti e regolamenti del Pio Monte di Mirto e delle relative scuole incorporate nelle Opere Pie, e documenti relativi alla Mutua Banca Popolare di Caiazzo e alla Società Operaia. Vi sono poi atti che testimoniano la dura esperienza subita dal paese durante la Seconda Guerra Mondiale (tra cui la strage nazista di ventidue vittime innocenti in località Monte Carmignano) e documenti particolari come quello recante la firma autografa del Re Vittorio Emanuele II di Savoia. La vita quotidiana emerge dai dati raccolti riguardanti l’anagrafe e lo stato civile, dai registri degli emigranti della seconda metà del XIX secolo al XX secolo, dagli atti delle numerose Fiere che animavano il commercio a quel tempo, dalla meritoria attività delle Opere Pie e dalle lettere scritte alle autorità dal popolo in uno sgrammaticato, ma sorprendentemente chiaro italiano.


Comune di Casalnuovo di Napoli, Archivio comunale


Casalnuovo di Napoli, un comune di oltre 50mila abitanti in Provincia di Napoli, istituito con Regio Decreto 25 febbraio 1929, n. 316, per scorporo dal Comune di Afragola. Il centro abitato sorge sulle rovine di Archora, uno dei villaggi dai quali aveva tratto origine la città di Afragola. Nel 1484 Angiolo Como ebbe in concessione da Ferdinando d'Aragona il territorio delle rovine del villaggio, su cui sorse un nuovo abitato. Questo fu riconosciuto quale casale della diocesi di Napoli con il nome di Casalnuovo. L'Archivio del Comune di Casalnuovo di Napoli conserva una documentazione che rappresenta una grande testimonianza per la storia politica, economica e culturale, relativa anche all’antico Comune di Licignano. Vi si conservano i regolamenti, i contratti, gli atti riguardanti il personale, quelli prodotti per la gestione economica delle istituzioni comunali, e una ricca documentazione sull’esazione delle imposte e sulla disciplina del commercio. Si aggiungono documenti concernenti l’igiene pubblica e la gestione del territorio, atti dell’ufficio tecnico e permessi di costruzione. Di notevole interesse sono tutte le carte relative all’istruzione, quelle sulle attività produttive e commerciali e quelle sulla viabilità, così come le testimonianze su feste, spettacoli pubblici, culto e beneficenza.


Comune di Caserta, Archivio storico comunale Biblioteca Comunale Giuseppe Tescione


Caserta è un centro di origini antiche, risalenti ad epoca preromana. In età medievale il nucleo cittadino si situa nel centro attualmente denominato Casertavecchia, a 10 chilometri dal capoluogo. All’avvento normanno, nella seconda metà dell’XI secolo, il centro è elevato a sede comitale. Saranno questi gli anni di maggiore splendore della città campana. Dal XV secolo in poi, al passaggio al dominio aragonese, Casertavecchia inizia un lento declino che porterà, secoli dopo, a una maggiore preminenza dell’attuale cittadina casertana. In età moderna il territorio fu più volte al centro di interessi e iniziative dei sovrani del Mezzogiorno, la cui più famosa è ovviamente la costruzione della Reggia, progettata da Luigi Vanvitelli alla metà del XVIII secolo e voluta dal re Carlo di Borbone. Rilevante è anche l’edificazione in località San Leucio, sul finire del medesimo secolo, di atelier destinati alla fabbricazione della seta, di rilevanza internazionale. La documentazione conservata nell’Archivio comunale rispecchia, dunque, l’evoluzione storica e le congiunture che hanno interessato il centro casertano e il suo territorio.

Afferente al Comune di Caserta abbiamo Ufficio Biblioteca Comunale Ruggiero e La Biblioteca Comunale Giuseppe Tescione.

La prima è stata inaugurata ed aperta al pubblico nel 2002, ubicata nel Centro dei Servizi Sociali e Culturali Sant’Agostino, in largo San Sebastiano, possiede un ricco e prezioso patrimonio librario di circa 25.000 volumi, donato al Comune di Caserta dal Prof. Giuseppe Tescione (1914-2002. A curarne la volontà testamentaria ed il trasferimento è il figlio dott. Giovanni. Il nucleo originario dei testi antichi oggi sistemati nella sezione libri antichi e rari è legato ad Alessio Simmaco Mazzocchi, prozio della moglie di Giovanni Tescione, Maria Antonietta Merola.

La seconda è una biblioteca Comunale di Caserta sia luogo di conservazione sia di pubblica lettura. Dotata di circa 58.499 volumi, 243 riviste correnti in abbonamento e 1411 storiche, le sue collezioni comprendono: opere a stampa antiche e moderne; manoscritti; fotografie; documenti d'archivio; materiale multimediale. Il nucleo originario delle raccolte è costituito da fondi librari di biblioteche conventuali e da materiale di proprietà del liceo classico P. Giannone e del Circolo Nazionale.


Comune di Cava de’ Tirreni, Archivio Comunale e Biblioteca comunale Canonico Aniello Avallone


Cava de’ Tirreni città di oltre 50.000 abitanti distribuiti nel Borgo ed in più di venti villaggi, che le conferiscono la caratteristica di "città stellare". I suoi primi abitatori, delle "terre de la Cava", furono i Tirreni. In epoca romana fu luogo rinomato di villeggiatura prescelto dalla nobiltà di Roma. Abitata dai Longobardi, la cui civiltà è tuttora testimoniata da una serie di antiche Torri costruite per il Gioco dei Colombi e per molti toponimi. Nel 1011 vede la costruzione dell'Abbazia Benedettina della SS. Trinità. Tra il XIV e XV secolo si sviluppò il Borgo Scacciaventi, pregevole esempio di centro commerciale, caratterizzato da una via fiancheggiata da portici e da storici palazzi porticati. Il 7 agosto del 1394, il Papa Bonifacio IX, con una propria bolla, elevò "le terre de la Cava" alla dignità di città. Dal XVIII secolo e fino ai primi del XX secolo Cava de' Tirreni fu meta obbligata di un grande flusso di viaggiatori che diedero vita al Grand Tour. Dopo la grande guerra (1915-1918) il territorio di Cava de' Tirreni viene riconosciuto "Stazione di Soggiorno e Turismo".

L’Archivio comunale si è formato a partire dagli inizi del XVI secolo. Originariamente la documentazione comunale era conservata in un locale del convento di S. Francesco. Al nucleo principale della documentazione, in questi ultimi anni si è aggiunto l’archivio dell’Ex Eca (Ente comunale di assistenza) che aveva inglobato tutte i monti di pietà cittadini. Anche il fondo ospedaliero è stato dato in comodato d’uso all’archivio storico, altro tassello della storia cittadina, e in ultimo per la chiusura dell’Azienda di Soggiorno è pervenuto all’archivio il fondo storico dell’Azienda con il suo ricchissimo fondo fotografico, che è in fase di schedatura. Il materiale conservato si divide tra un Periodo Preunitario e un Periodo Postunitario, per un totale di 3193 unità archivistiche, tra le quali 1320 fascicoli, 1849 volumi e 24 pergamene. Grazie a una particolare attenzione della comunità cavese alla conservazione della documentazione cittadina, in esso si custodiscono documenti inerenti alla vita amministrativa del Comune per un arco di tempo che va dal 1504 al 1950, oltre ai suddetti 24 privilegi in pergamena, acquisiti dalla Giunta comunale nel 1881 e datati tra il 1322 e il 1693. Oggi tali atti sono riuniti in otto volumetti rilegati.

La Biblioteca Comunale Canonico Aniello Avallone di Cava de’ Tirreni negli anni Ottanta è stata trasferita negli attuali locali di viale Marconi. Era, infatti, dal 1964 che questo importante patrimonio bibliografico, che raccoglie documenti di tipologia varia che testimoniano la storia e la cultura della comunità locale, era rinchiuso in un deposito e se ne precludeva la fruibilità. È dall’immediato dopoguerra che la Biblioteca comprende i volumi recuperati dalla Biblioteca Comunale e dalla privata raccolta del Canonico Aniello Avallone, un fondo di persona che già nel 1885 vantava una propria organizzazione ed era ospitato in un’apposita sede. Pur rimanendo due enti distinti sotto il nome ‘Biblioteche Riunite Avallone e Comunale’, nel 1951 se ne iniziò il riordinamento mentre con il D.P.R. 266/1966 venne disciolto l’ente morale e le due biblioteche vennero fuse insieme prendendo l’attuale denominazione.


Comune di Cusano Mutri


Cusano Mutri, a 475 metri sul livello del mare, borgo medievale nella provincia di Benevento incastonato tra i monti ed immerso nella natura del Parco Regionale del Matese, al confine tra Campania e Molise. Oggi rientra nel club dei borghi più belli d’Italia, con il suggestivo centro storico e le sue bellezze paesaggistiche. Il borgo antico si sviluppò intorno al castello medioevale, i cui resti sono visibili in piazza Lago, distrutto poi da una rivolta popolare nel XVIII secolo. Poco distante, Palazzo Santagata risalente al XVIII secolo, convento degli Agostiniani. Di rilievo anche la Chiesa più antica di Cusano, la chiesa dei Santi Apostoli Pietro e Paolo. L’Archivio invece è sito all’ultimo piano del palazzo municipale. In esso si conservano tutti gli atti prodotti dal comune e atti di corrispondenza con altri enti. La documentazione, in discreto stato di conservazione, si data a partire dal XIX secolo e attesta l’attività dell’ente secondo le categorie classiche delle amministrazioni comunali. L'archivio comunale non è stato ancora riordinato, pertanto, risulta difficile procedere ad una descrizione del complesso archivistico. La documentazione storica è confusa con quella di deposito. Attualmente in archivio non sono presenti strumenti di corredo.