Totò mi ha educato al pensiero, alla risata, alla comprensione, alla fratellanza, alla seduzione, al garbo, all’indipendenza, all’intuizione schizoide, al coraggio, alla solitudine. Ha dato un senso e un valore a miliardi di domeniche invisibili, di notti solitarie, di estati insensate, di pomeriggi asfissianti. È il mio modo di ringraziarlo. La mia, la nostra gratitudine. Poiché Lello condivide quanto me, forse più di me, l’amore e l’ammirazione per Antonio de Curtis. Ecco, è sacrosanto chiarire perché c’è Lello Tramma. È una persona franca. È un musicista e compositore. Siamo amici da quasi vent’anni, gli sono stato accanto per un suo precedente progetto discografico ma è la prima volta che suoniamo insieme. L’ho scelto pensando a molteplici motivazioni.
Ama Totò, rispetta le idee degli altri, si fida addirittura di chi non è musicista, come me. O meglio, di chi sente la musica dentro ma è analfabeta di pentagramma. Un po’ come Totò. E come Raffaele Viviani. E fin dal primo istante, lavorando a Malafemmena, gli chiedo di intercettare un canone drammatico. Sono questi i binari. In questo caso, lui crea una suite cupa, una sinusoide sanguigna. Qui e là infila distorsioni gentili, ruggiti. Arpeggia la chitarra classica e apre circuiti jazzati. Entrano galassie interstellari e una voce di femmina grintosa compie il miracolo: la sua voce da rimprovero appare come una lieta simbiosi. Una rissa festosa e erotica.
Ascoltando la traccia in anteprima, quando eravamo ancora in fase di ricerca, Paolo Nappi è del parere – lo condivido da subito, risolvendo un dilemma che mi porto addosso – che la batteria deve entrare in gioco più lentamente e meno dirompente. Quando registro la voce recitante indosso la t-shirt di Jean-Michel Basquiat comprata a New York. Lo spartito della nostra Malafemmena riassume la convivenza di pianoforte, chitarra classica, batteria, organo da chiesa, basso-wave sub bass, synth Jen, tastiera, Hammond. E della silhouette di Jennifer Lopez.
Courtesy Gianni Valentino