Voglio bene e femmene

Corteggiare le signore. Esprimere in maniera spietata e radicale quanto fascino emanano. Bionde, rosse, brune, alte, basse, cicciotte, asciutte, silenziose, festose, tenebrose, fiere, meditative, atletiche, straniere, popolari, di quartiere, lontanissime, inarrivabili, diaboliche, ingenue, smaliziate, rissose, premurose, discrete, scorbutiche, napoletane, creole. Femmine che ridiscendono Posillipo o Mergellina. Perdute allegramente su una spiaggia, trafitte dalla paura notturna.

È una poesia nella quale galleggiamo con violoncello e pianoforte elettrico Yamaha, esplosioni distorte e magma funk, a bordo di una batteria solitaria. La nostra prima intenzione è realizzare proprio su questa traccia il terzo videoclip Totò Poetry Culture, dopo il mashup intitolato “Core analfabeta / Ammore perduto” e dopo “Che me manca”. La sceneggiatura è pronta. Ci riusciremo. Appena avremo il sì concreto di una dozzina di femmine coscienti.

C’è il suggerimento di Antonio Tramma, il fratello di Lello emigrato a Reggio Emilia, che invita a ritardare l’ingresso della mia voce recitante per non assassinare la frase di violoncello. C’è un basso-tuba esasperato. E i violoncelli ci sono perché siamo innamorasti dell’op 100 Trio di Franz Schubert. Che è già colonna sonora di “Barry Lindon” di Stanley Kubrick. Nel finale – sacrosanto – c’è un nostro sorriso innegabile a “Teardrop” dei Massive Attack. La verità è che queste pseudo-fonti sono tutte idee sonnambule. Involontarie, frutto magico delle session in sala. Come il ribollire dei suoni che, nel divenire onomatopeico, genera un vortice armonico che rassomiglia ai mormorii che emette Totò nella scena del pozzo dei rospi nel film “Totò, Peppino e i fuorilegge”.

Courtesy Gianni Valentino

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