Donnaregina Nuova

La chiesa di Santa Maria Donnaregina Nuova

Emma Maglio (Università di Napoli “Federico II”, Dipartimento di Architettura)

Il complesso di Santa Maria Donnaregina si trova nel margine nord-orientale della città antica ed è delimitato dalle odierne via Duomo, via Donnaregina, vico Donnaregina e via Settembrini. Un’insula estesa, abitata sin dall’età paleocristiana da una comunità religiosa femminile – francescana dal Duecento – e ancora oggi in parte occupata dalle due chiese del monastero: la trecentesca Santa Maria Donnaregina vecchia, che ospita la Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio dell’Università “Federico II”, e la seicentesca Santa Maria Donnaregina nuova, sede del Museo Diocesano, della quale ci occuperemo.
Risalgono alla prima metà del XVI secolo alcuni lavori di ampliamento del monastero, con la costruzione del refettorio e il rifacimento dell’appartamento della badessa; tuttavia, le istanze controriformistiche sancite dal Concilio di Trento (1545-63), poi codificate dalle Instructiones fabricae di S. Carlo Borromeo in materia di liturgia e architettura (1577), avrebbero imposto agli spazi sacri più decise trasformazioni. A Napoli si innescò una fase di sperimentazione architettonica e artistica che contribuì alla maturazione del gusto barocco grazie a un fecondo intreccio tra committenti e autori e alla compresenza di molteplici progettisti e botteghe: tra gli architetti più noti in questo periodo si ricordano Giovanni Dosio, Francesco Grimaldi, Giovan Giacomo di Conforto e frà Nuvolo. Donnaregina non fece eccezione e, se già alla fine del XVI secolo si raccoglievano fondi per costruire una nuova chiesa, agli inizi del XVII, anche in seguito all’aumento del numero delle monache – tutte di nobili origini – e dunque delle capacità economiche del monastero, si diede concreto inizio a un’impresa che si sarebbe legata a doppio filo con la trasformazione del tessuto urbano circostante. La chiesa di Donnaregina nuova si configurò infatti come un episodio architettonico e urbano significativo, e alcuni passaggi di tali trasformazioni sono noti grazie ai documenti d’archivio rinvenuti negli ultimi quarant’anni e al confronto con la cartografia storica.
Nella veduta Dupérac-Lafréry del 1566 (fig. 1) l’insula monastica appare compresa fra la strada maestra detta “Somma Piazza” o “Pozzo Bianco” a sud (via Donnaregina) e via Orticelli a nord (via Settembrini), stretta fra l’originario cardine a ovest (via Duomo) e il vicolo “di Corte Torre” a est (vicolo Donnaregina), in un’area densamente edificata: l’accesso alla chiesa trecentesca, sul lato nord a ridosso delle mura urbane, era preceduto da un cortile che ne nascondeva la vista, e verso sud un blocco di edifici separava il complesso dalla strada maestra e dall’arcivescovado. Di qui il progetto di realizzare una nuova chiesa a sud della prima, in asse rispetto ad essa, ma con orientamento opposto e facciata a sud. Per fare ciò, tra il 1617 e il 1620 alcuni edifici adiacenti furono acquistati e demoliti, mentre l’antica chiesa fu inglobata parzialmente nella nuova e convertita in spazio claustrale, perdendo la funzione ecclesiastica: parte dell’abside gotica fu anzi demolita e invasa dalla struttura del nuovo coro delle monache.
La storia di Donnaregina nuova si articola in due principali fasi costruttive: una seicentesca, che portò al compimento della chiesa in tutte le sue parti, e una settecentesca, che vide un generale rinnovamento degli apparati decorativi. La fabbrica fu iniziata intorno al 1617; secondo una tradizione riportata da numerosi studi anche recenti, il progetto sarebbe stato dell’architetto teatino Giovanni Guarini, ma le ricerche d’archivio hanno smentito tale attribuzione e identificato l’autore in Giovan Giacomo di Conforto (1569 circa-1630), un architetto molto attivo a Napoli nel primo scorcio del Seicento. Significativo fu infatti il suo contributo nei cantieri di Monte di Pietà e S. Paolo Maggiore, suoi furono i progetti per il campanile del Carmine, le chiese di S. Teresa agli Studi, della SS. Trinità delle Monache e dei SS. Apostoli; subentrò a Dosio nella Certosa di San Martino – dove introdusse un giovane Cosimo Fanzago – e diresse i lavori della chiesa de La Sapienza. Di Conforto ebbe un ruolo centrale nelle fabbriche religiose napoletane del primo Barocco, un anello di congiunzione tra l’architettura del Cinquecento e le opere di Fanzago. Risalgono al 1626 i primi pagamenti noti al di Conforto per Donnaregina nuova, l’ultimo invece al 1630 «per causa del suo servizio d’ingegniero nella fabbrica e stucco del Monistero di Donna Regina»; un altro nome ricorre poi nei documenti a partire dal 1626, quello di Giovanni Cola di Franco quale soprastante alla fabbrica, forse capocantiere. La chiesa doveva essere quasi ultimata prima del 1630, a meno delle decorazioni che furono completate entro la fine del secolo: l’edificio era stato benedetto nel 1626, quando era ancora privo di cupola ma aveva una copertura provvisoria, decorata con una tela dipinta da Aniello de Vico. Fu Giovanni Cola Circhio a costruire la cupola nel 1654, Agostino Beltrano la affrescò con il Paradiso l’anno seguente e la chiesa fu consacrata dal cardinale Innico Caracciolo nel 1669. La veduta di Baratta del 1629 fornisce la prima immagine nota della nuova chiesa, già dotata di cupola, mentre non vi è più alcun riferimento all’edificio di Donnaregina vecchia (fig. 2).
La scalinata di Donnaregina nuova è opera settecentesca dell’ingegnere Angelo Barone (1780) che sostituì una precedente scala risalente al 1642, e consiste in un’ampia struttura in piperno con gradini semicircolari e balaustre in marmo. La facciata fu costruita tra la fine del 1625 e la prima metà del 1626 in tufo e piperno, ed è suddivisa verticalmente in tre parti da lesene corinzie – singole alle estremità e doppie al centro – mentre in senso orizzontale vi sono due registri trabeati sovrastati da un timpano. Le basi delle paraste del primo registro si innestano su un basamento in piperno che corre lungo tutta la parete inferiore. Il portale in marmo di Carrara, opera di Bernardino Landini, ha l’architrave ornato da un cherubino ed è inquadrato da colonne corinzie con timpano curvilineo spezzato, al centro del quale si trova un’edicola che avrebbe dovuto accogliere una statua della Madonna con due puttini, mai realizzati. L’edicola ha struttura ad arco a tutto sesto con lesene ioniche ornate da volute e termina anch’essa con un timpano curvilineo spezzato. Ai lati del portale, all’interno di due nicchie semicircolari inquadrate da cornici sporgenti, sono le statue in stucco degli apostoli Andrea e Bartolomeo, di autore ignoto, estremamente importanti in quanto legate alla presenza delle reliquie dei due santi nell’edificio. Il registro superiore è occupato infine da finestre – ad arco ribassato al centro e a tutto sesto ai lati – e la parte centrale è sormontata da un timpano con apertura ad arco ribassato (fig. 3).

La chiesa si sviluppa su un impianto a navata unica ampia e spaziosa, pienamente rispondente alle Intructiones borromeane (fig. 4, fig. 5). Due cappelle minori sono ai lati dell’ingresso, nelle pareti che sostengono la volta del coro delle converse, mentre su ogni lato della navata si aprono tre profonde cappelle rettangolari coperte da volte a vela: quelle a sinistra sono dedicate all’Immacolata, alla Madonna del Rosario e alla Madonna del Carmine, quelle a destra invece a S. Antonio da Padova, alla Madonna Annunziata e a S. Francesco d’Assisi. Le cappelle sono tutte decorate con affreschi, dorature e marmi realizzati complessivamente tra la metà degli anni ’20 e la metà degli anni ’90 del Seicento da un folto gruppo di artisti e marmorai, fra cui Giovan Domenico Vinaccia, Gaetano Sacco, Dionisio Lazzari, Francesco Valentino e Simone Tacca. Le cappelle sono separate da grossi setti murari, dove coppie di paraste corinzie inquadrano nicchie poco scavate dove un tempo erano collocate statue lignee di Santi su basi in marmo. I capitelli delle lesene sono collegati da cherubini e festoni di frutta, mentre il fregio è ornato da girali dorati. L’impronta del di Conforto si osserva nell’articolazione degli elementi architettonici che stabiliscono una rigorosa corrispondenza fra l’alzato e la copertura della volta a botte. La volta, provvista di unghie sferiche in corrispondenza delle finestre, è decorata infatti da specchiature di varie forme: al loro interno cornici in stucco dorato, realizzate nel 1627 da un gruppo di artisti che lavorò anche alle pareti della navata, contengono affreschi firmati da Francesco de Benedictis nel 1654, i cui soggetti furono concordati con la badessa Eleonora Caracciolo. L’intero programma iconografico della chiesa, peraltro, vide le monache coinvolte in prima persona e si orientò alla glorificazione della Vergine, di S. Francesco, dei santi francescani e degli apostoli Andrea e Bartolomeo, questi ultimi due già rappresentati in facciata.
La navata è priva di transetto – probabilmente per ragioni di spazio e per garantire la presenza di ambienti di servizio come il comunichino delle monache e la sacrestia – e si conclude con il presbiterio, le cui pareti sono totalmente rivestite di marmi policromi: i più antichi furono realizzati entro la metà del Seicento da Giacomo Lazzari (parete centrale) e da Bernardino Landini (pareti laterali), e quest’ultimo realizzò anche i rivestimenti marmorei del comunichino. Il vano di fondo del presbiterio è suddiviso in tre settori verticali da lesene ioniche complete di trabeazione e cornicione: nei settori laterali i pannelli a tarsie marmoree con forme di fiori si trovano all’interno di cornici sporgenti, movimentate da una grande conchiglia alla base e da festoni in sommità; nel settore centrale, all’interno di una doppia cornice sovrastata da un fastigio in marmo bianco, è l’Assunzione di Maria, dipinto di Giovanni Filippo Criscuolo collocato originariamente sull’altare maggiore di Donnaregina vecchia (fig. 6). Il rivestimento della parete di fondo assunse l’aspetto attuale nel 1691-92, con l’innesto di marmi preziosi su quelli preesistenti. Più in generale, nel corso del Settecento l’interno della chiesa fu in buona parte alterato dai rivestimenti in marmo e nei primi anni del secolo il presbiterio ebbe la sua sistemazione definitiva. Francesco Solimena, attivo nel monastero quale sovrintendente di vari lavori, donò infatti nel 1701 alle monache un disegno per il nuovo altare maggiore, ricevendo in cambio “tanti argenti di non poca valuta”: i marmorai Giovanni Raguzzino e Giovanni di Filippo svilupparono quel disegno e lo definirono nei particolari, usando marmi pregiati come la breccia di Sicilia e il verde antico. Poco dopo, nel 1705, furono collocati nelle pareti laterali del presbiterio due quadri di Luca Giordano raffiguranti Le nozze di Cana e La moltiplicazione dei pani e dei pesci. Risale poi al 1727 la produzione di un piedistallo in marmo bianco per un pilastro della navata, realizzato “per mostra” (prova) da Ferdinando de Ferdinando su disegno di Solimena: lo stesso de Ferdinando realizzò in seguito altre basi, provvedendo così al rivestimento marmoreo di gran parte delle membrature della chiesa tra il 1748 e il 1764, usando, fra gli altri, marmi commessi, verde antico e alabastro di Corfù.

Il coro delle monache, infine, si trova al piano superiore dietro al presbiterio (fig. 7). Nella sua configurazione originaria era separato da quest’ultimo da una grata in legno, come mostra un dipinto di Domenico Battaglia della metà del XIX secolo, e occupava per circa due terzi l’abside di Donnaregina vecchia. Una complessa operazione di “arretramento” della parete di fondo del coro, compiuta nel corso dei restauri diretti da Gino Chierici per ripristinare l’abside gotica (1928-34), portò a ridurre la profondità del vano di circa sei metri ma permise di preservare il prezioso affresco Il miracolo delle rose di Solimena (1684). Gli altri affreschi coevi presenti sulle pareti laterali e sulla volta, raffiguranti Scene della vita di San Francesco e Santi, furono in parte staccati e spostati. Uno spostamento altrettanto rilevante riguardò il sepolcro della regina Maria d’Ungheria, situato in Donnaregina vecchia: la badessa Eleonora Gonzaga nel 1727 volle sistemarlo nel comunichino delle monache della chiesa nuova, e qui confluirono probabilmente anche altri monumenti funebri e lastre tombali provenienti dalla chiesa angioina. Nel 1681, intanto, si era iniziato a costruire anche un nuovo campanile, a sostituzione del vecchio – probabilmente di origine gotica, connesso alla vecchia chiesa – che versava ormai in grave dissesto: secondo i documenti, il nuovo campanile doveva collocarsi non lontano da Donnaregina nuova, presso l’angolo fra l’antico cardine e il vicoletto Donnaregina. Tuttavia, una ferma opposizione delle monache del vicino monastero di San Giuseppe dei Ruffi generò una lunga disputa e un processo: malgrado i tentativi di trovare una collocazione alternativa per la nuova opera, un decreto della Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari di Roma emesso entro il primo decennio del XVIII secolo impose l’immediata sospensione della costruzione e Donnaregina nuova dovette accontentarsi di un semplice muro campanario.
La costruzione della chiesa favorì nel corso del Seicento l’ampliamento del monastero: i lavori di più ampio respiro, diretti da Giovanni Cola Circhio, permisero di aprire una piazza davanti alla facciata e di isolare la clausura dagli edifici vicini. Tra il 1637 e il 1640 furono acquistati e demoliti due fondaci e varie case nell’area antistante la nuova chiesa – determinando fra l’altro la creazione dell’attuale vicoletto Donnaregina – e altre case confinanti col palazzo arcivescovile; ulteriori demolizioni furono avviate nel 1646 e la piazza, delimitata a nord dalla nuova chiesa, a est dal vico “di Corte Torre”, a sud dal palazzo arcivescovile e ad ovest dalle case esistenti, fu aperta nel 1647. Questo spazio assunse però la forma attuale nel 1650, con la demolizione di alcuni edifici tra il palazzo e la vicina Santa Maria Ancillarum nell’ambito dei lavori di ammodernamento del palazzo arcivescovile per volere del cardinale Ascanio Filomarino. In quegli stessi anni si lavorò alla realizzazione di un nuovo chiostro e di un grande giardino (1641), nell’ambito della espansione di Donnaregina verso ovest: ciò comportò l’inglobamento di un vicolo parallelo all’antico cardine, il cui tracciato si congiungeva con quello che, a sud, arrivava diagonalmente fino all’ingresso della cattedrale e, verso nord, procedeva rettilineo verso via Orticelli, arrestandosi in corrispondenza del chiostro. La pianta del Duca di Noja del 1775 offre una chiara rappresentazione dell’intera area a seguito di queste trasformazioni (fig. 8).

Un anno cruciale nella storia recente della chiesa e del complesso è il 1861, quando l’insula conventuale fu in parte interessata dai lavori di allargamento dell’antico cardine per creare l’attuale via Duomo: il progetto di Luigi Cangiano e Antonio Francesconi comportò la demolizione di numerosi edifici, fra cui parte del chiostro e il giardino di Donnaregina (1861-68). Nel 1861 fu decretata anche la soppressione degli ordini religiosi e le monache furono costrette a trasferirsi a Santa Chiara e Santa Maria Donnalbina, sicché la chiesa nuova passò al Fondo per il Culto, che ne cedette l’uso provvisorio prima all’Arciconfraternita di S. Maria della Visitazione e poi, nel 1871, al Comune di Napoli. L’edificio restò aperto fino al 1972, in seguito fu chiuso e visse una lunga fase di degrado e abbandono, aggravata dalle conseguenze del terremoto del 1980 e da episodi di furto a danno di elementi decorativi e d’arredo. In seguito a parziali interventi di recupero e poi a un completo restauro, nel 2007 la chiesa è stata definitivamente riaperta al pubblico come sede del Museo Diocesano.


Bibliografia:
-    G.A. Alvina, Catalogo di tutti gli edifizi sacri della città di Napoli e suoi sobborghi, entro il 1643, dall’edizione di S. D’Aloe, Catalogo di tutti gli edifizi sacri della città di Napoli e suoi sobborghi, in «Archivio storico per le province napoletane», VIII, 1883, pp. 111-152, 287-315, 499-546, 670-737 (www.memofonte.it, sezione Guide > Napoli, a cura di L. Giuliano, 2014), p. 543.
-    C. de Lellis, Aggiunta alla “Napoli” sacra dell’Engenio Caracciolo, entro il 1689 (Napoli, Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III, mss. X.B.20-24, www.memofonte.it, sezione Guide > Napoli, a cura di E. Scirocco, M. Tarallo e S. De Mieri, 2013), vol. II, cc. 83, 90.
-    C. Celano, Notizie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli, Napoli 1692 (www.memofonte.it, sezione Guide > Napoli, coordinamento di F. Loffredo, 2010), vol. I, pp. 228-232.
-    P. Sarnelli, La vera guida de’ forestieri curiosi di vedere e d’intendere le cose più notabili della real città di Napoli e del suo amenissimo distretto, [...] raccolte da’ migliori scrittori da monsignor l’abate Pompeo Sarnelli, che fu vescovo di Bisceglia, Napoli 1752 (www.memofonte.it, sezione Guide > Napoli, a cura di S. Concilio e L. Galasso, 2015), p. 93.
-    N. Carletti, Topografia universale della Città di Napoli in Campagna Felice, Napoli 1776, pp. 229-230.
-    G. Sigismondo, Descrizione della città di Napoli e suoi borghi, 3 voll., Napoli 1788-89 (www.memofonte.it, sezione Guide > Napoli, a cura di S. De Mieri, M. Toscano, A. Irollo e M.P. Lauro, 2012), vol. I, pp. 130-134.
-    R.M. Zito, Alcune notizie intorno al monastero di Santa Maria Donnaregina, Napoli 1862, p. 13.
-    G.A. Galante, Guida sacra della città di Napoli, Napoli 1873, pp. 68-72.
-    É. Bertaux, Santa Maria di Donna Regina e l’arte senese a Napoli nel secolo XIV, Napoli 1899, pp. 17-21.
-    G. Chierici, Il trasporto degli affreschi del Solimena in S. Maria Donnaregina, «Bollettino d'Arte», III, 12, 1933, pp. 560-565.
-    G. Chierici, Il restauro della Chiesa di S. Maria di Donnaregina a Napoli, Napoli 1934.
-    F. Strazzullo, Architetti e ingegneri napoletani dal ‘500 al ‘700, Napoli 1969, p. 275.
-    E. Carelli, S. Casiello, Santa Maria Donnaregina in Napoli, Napoli 1975.
-    A. Delfino, La chiesa di Donnaregina Nuova, «Ricerche sul Seicento Napoletano», 1983, pp. 81-121.
-    A. Delfino, Nuovi documenti sulla chiesa e sul monastero di Donnaregina nel Seicento, «Ricerche sul Seicento Napoletano», Napoli 1984, pp. 149-161.
-    N. Spinosa (a cura di), Gennaro Aspreno Galante, Guida sacra della città di Napoli, Napoli 1985, pp. 35-37, 45-46.
-    E. Nappi, Le chiese di Giovan Giacomo Conforto (dai documenti dell’Archivio Storico del Banco di Napoli), «Ricerche sul Seicento Napoletano», Napoli 1988, pp. 142-143.
-    A. Delfino, La chiesa nuova ed il monastero di Donnaregina nel ‘600, «Ricerche sul Seicento Napoletano», Napoli 1990, pp. 101-114.
-    F. Divenuto, Napoli sacra del XVI secolo: repertorio delle fabbriche religiose napoletane nella cronaca del gesuita Giovan Francesco Araldo, Napoli 1990, p. 57.
-    G. Cantone, Napoli barocca, Roma-Bari 1993, p. 40.
-    G. Fiengo, Tutela e restauro dei monumenti in Campania. 1860-1900, Napoli 1993, passim.
-    V. Regina, Le chiese di Napoli, Roma 1995, pp. 25-27.
-    F. Strazzullo, Edilizia e urbanistica a Napoli dal ‘500 al ‘700, 2° ed., Napoli 1995, pp. 211-213.
-    A. Delfino, Recenti ricerche d’archivio sulla chiesa napoletana di Donnaregina Nuova, «Ricerche sul Seicento Napoletano», Napoli 1996-97, pp. 63-77.
-    T. Russo (a cura di), Il restauro della Chiesa di Santa Maria di Donnaregina Nuova e l'allestimento del Museo Diocesano di Napoli, Torino 1997.
-    G.B. Chiarini (a cura di), Carlo Celano, Notizie del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli, con aggiunte di G.B. Chiarini, 5 voll., Napoli 2000, vol. II tomo II, pp. 646-653.
-    M.R. Pelizzari (a cura di), Giuseppe Maria Galanti, Breve descrizione della città di Napoli e del suo contorno, Cava de’ Tirreni 2000, pp. 177-178.
-    A. Venditti, La chiesa di Santa Maria Donnaregina, in A. Fratta (a cura di), Il patrimonio architettonico dell’Ateneo Fridericiano, 2 voll., Napoli 2004, vol. I, pp. 173-199, p. 186 sgg.
-    A. Blunt, Architettura barocca e rococò a Napoli, introduzione, traduzione e aggiornamento a cura di F. Lenzo, Milano 2006, pp. 280-282.
-    G.A. Galante, Le chiese di Napoli. Guida sacra della città, la storia, le opere d’arte e i monumenti, Mugnano di Napoli 2007, pp. 51-56.
-    A. Delfino, La chiesa nuova di Donnaregina nel Seicento. La cappella di San Francesco d’Assisi, in Ricerche sul ’600 napoletano, Napoli 2008, pp. 15-18.
-    P. Leone De Castris (a cura di), Il museo diocesano di Napoli: percorsi di fede e arte, Napoli 2008.
-    I. Ferraro, Napoli, Atlante della Città Storica. Centro Antico, Napoli 2017, pp. 451-470.
-    A. Pinto, Raccolta notizie per la storia, arte, architettura di Napoli e contorni, 2 voll., Napoli 2019, passim.

Foto di Mario Ferrara


Gallery