Biblioteca e quadreria dei Girolamini

Autori: Gemma Belli, Fabio Mangone

Il complesso dei Girolamini, dichiarato nel 1866 “monumento nazionale”, dal 2019 divenuto museo autonomo, si estende su un’insula doppia del centro antico, e comprende la chiesa dedicata alla Natività di Maria, la sagrestia, l’oratorio, due chiostri, la Quadreria e la Biblioteca.

La costruzione sorse in seguito all’arrivo a Napoli, nel 1586, dei padri oratoriani Antonio Talpa, Francesco Maria Tarugi e Giovenale Ancina, importanti seguaci di Filippo Neri, accogliendo l’invito dell’arcivescovo Annibale di Capua e gli incoraggiamenti dei padri teatini di Napoli. Particolarmente incisivo per la storia della fabbrica risultò il ruolo di Talpa dotato di solide cognizioni di architettura.

Dapprima ospitati presso l’Oratorio dei Bianchi agli Incurabili, intorno al 1587, grazie all’aiuto dell’arcivescovo e di alcune famiglie patrizie napoletane, i filippini acquistarono per la somma di 5.500 ducati il palazzo del principe Seripando, in quella che, a ragione, ritenevano la parte più nobile della città. All’interno della primitiva fabbrica acquisita, costruirono in prima battuta una piccola chiesa a tre navate ubicata di fronte al Duomo, mentre negli anni successivi, attraverso una ben congegnata strategia, occuparono, mediante acquisti, donazioni e azioni legali, altri spazi corrispondenti al perimetro della attuale insula monastica.
Dalla maggiore disponibilità di spazi e di fondi nasceva la volontà di un progetto architettonico più ambizioso. A lungo la storiografia aveva fatto anche il nome del fiorentino Dionisio Nencioni di Bartolomeo, per un eventuale primo progetto del 1590, ma i più recenti studi di Gianluca Forgione, fondati su nuova e maggiore documentazione, permettono di stabilire che fu Giovanni Antonio Dosio, pure fiorentino, a svolgere qui il ruolo di progettista, mentre Nencioni assunse l’incarico di soprintendente di fabbrica. Quando Dosio giunse a Napoli nel 1590, probabilmente su invito del viceré Juan de Zúñiga Avellaneda y Bazán, sesto conte di Miranda, molto vicino a questa congregazione, poteva già contare sulla stima di Talpa, con cui si era incontrato nel decennio precedente sul cantiere della Chiesa Nuova a Roma: nelle lettere inviate a Roma, su dettatura di Tarugi a Talpa, la presenza di Dosio viene ritenuta quasi un segno della Provvidenza. Addirittura, i padri vollero ospitare l’architetto nella loro casa, nel timore che altri ne potessero accaparrare i servigi.

D’altronde gli Oratoriani, non apprezzando l’ambiente dell’architettura napoletana, desideravano una chiesa marcatamente “fiorentina”, in omaggio anche ai natali di San Filippo Neri. Non per caso i primi modelli cui guardarono furono la chiesa di San Giovanni dei fiorentini a Roma, nonché le brunelleschiane Santo Spirito e San Lorenzo a Firenze, nella deliberata consapevolezza peraltro che queste ultime rimandavano all’impianto delle antiche basiliche cristiane, dense di significati religiosi tornati di attualità.

D’altra parte, a quest’ambito si riferivano non solo progettista, soprintendente, e alcuni artefici, come lo scultore e marmoraro Iacopo Lazzari, ma anche i materiali stessi: per concessione di Ferdinando I de’ Medici la pietra di granito per le colonne fu estratta gratuitamente dall’Isola del Giglio.

Dalle Memorie historiche di Giovanni Marciano si apprende che il 15 agosto del 1592 il Viceré e la Viceregina intervennero alla posa della prima pietra della chiesa, e che il giorno successivo ebbero modo di esaminare il relativo modello ligneo illustrato dal progettista Dosio. L’impianto scelto era a croce latina, con tre navate scandite da 12 colonne di granito, ciascuna dedicata ad un apostolo, e per il procedere del cantiere il ruolo del competente Nencioni fu rilevante. Nel febbraio 1619, la chiesa era costruita, a meno di cupola – più avanti eseguita con direzione di Dioniso Lazzari - e facciata, ma la consacrazione avviene soltanto nel 1658. Ancora dopo tale data Dioniso Lazzari lavorava all’interno della chiesa, per la ricca decorazione marmorea delle sei cappelle in cornu Evangelii, e all’esterno alla realizzazione della facciata. Tuttavia, la attuale, sulla piazza dei Girolamini, è l’esito di una ristrutturazione operata con la direzione di Ferdinando Fuga nella seconda metà del Settecento, conservando nella parte inferiore elementi significativi della configurazione seicentesca, documentata da un’incisione nella Guida di Pompeo Sarnelli.

Nell’ambito del cantiere settecentesco, vanno quanto meno segnalati gli interventi di Arcengelo Guglielmelli che progettò la bellissima sagrestia e la grande sala oggi intitolata a Giovan Battista Vico. L’intero complesso sarà poi ultimato nel 1780 con la facciata su via Duomo di Ferdinando Fuga. Lungo quest’ultima i due portali conducono, a sinistra alla chiesa e alla cappella dell’Assunta, con decorazioni dipinte da Giuseppe Funaro, e a destra al chiostro della “porteria”. Realizzato tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento, pure su progetto toscaneggiante di Dosio, questo presenta pianta quadrata, archi a tutto sesto su colonne in marmo bardiglio di epoca romana e ambulacri con volte a vela. Il chiostro è dominato dal settecentesco torrino dell’orologio con un altorilievo raffigurante la Madonna della Vallicella sorretta da angeli; la struttura, ben inserita nel contesto di gusto toscano, si rese necessaria, dopo il completamento della chiesa e della sagrestia, per armonizzare l’ambiente originario con le più recenti architetture retrostanti di altezza diversa. La stretta somiglianza delle colonne del chiostro con quella della Flagellazione dipinta da Caravaggio per la chiesa di San Domenico Maggiore ha fatto pensare che il chiostro sia stato il luogo scelto dal maestro lombardo per dipingere dal vero il quadro che oggi si trova al Museo di Capodimonte. Segue il chiostro maggiore, “degli aranci”, edificato entro la prima metà del XVII secolo a opera di Nencioni e Dionisio Lazzari, su pianta quadrangolare con archi monumentali (otto sul lato corto e nove su quello lungo) intervallati da lesene e capitelli, con motivo a ghirlanda e mascheroni, a incorniciare l’aranceto posto a una quota più bassa. Da uno degli angoli parte poi lo scalone per l’accesso alla Biblioteca e alla Quadreria.

In generale, il valore culturale e il pregio del complesso dei Girolamini non risiedono soltanto nelle pur pregevoli architetture che lo costituiscono, quanto nel ricco patrimonio artistico, librario e nel significativo nucleo archeologico che ne sono parte integrante, costituiti per irripetibili circostanze storiche che hanno comportato significativi lasciti, acquisti, donazioni, che hanno arricchito tanto la chiesa quanto il complesso conventuale. Di fatto, il sontuoso interno della chiesa, nel corso del tempo, si arricchì di importanti opere per un verso ascrivibili ad artisti forestieri, soprattutto di formazione romana ed emiliana, e per l’altro ad importanti napoletani e meridionali. La ricchezza riflette anche la varietà delle occasioni attraverso cui tale opere pervennero, non sempre per diretta committenza oratoriana. Alcuni capolavori del barocco romano sono ascrivibili al mecenatismo di Anna Colonna Barberino; di questi sussiste nella cappella omonima (la prima cappella in cornu Epistulæ rispetto all’ingresso della chiesa) il Sant’Alessio di Pietro da Cortona, saldato al pittore nel maggio del 1638, mentre gli Angeli reliquiari di Alessandro Algardi, donati nel maggio del 1639 furono trafugati a metà del secolo scorso. La presenza, invece, nella chiesa come nella “quadreria” del convento, di quadri di Guido Reni, tra cui San Francesco nella omonima cappella, è legata all’eredità (1722) del sarto d’origine pugliese Domenico Lercaro. Alla medesima eredità, e a una complessa vicenda di “sostituzione”, si lega anche San Girolamo e l’angelo del Giudizio, nella cappella di tale nome, che tuttavia giunse a Napoli soltanto tra il 1646 e il 1648.

Degni di nota anche gli affreschi sulla controfacciata, tra cui si segnala, il celebre La Cacciata dei mercanti dal Tempio (1684) di Luca Giordano, presente in chiesa anche con celebrate pale, nelle omonime cappelle, sul tema rispettivamente Incontro dei Santi Carlo e Filippo, posto nella terza cappella a cornu Evangelii, e Santa Maria Maddalena de’ Pazzi con il Crocifisso, situato invece nella quinta a cornu Epistulæ.

Tra i preziosi nuclei patrimoniali, al di là della chiesa, vanno segnalati la ricca quadreria, in origine collocata nella sagrestia, e la eccezionale biblioteca. Formatasi ad inizio Seicento la pinacoteca era originariamente collocata nella sagrestia, e organizzata per essere aperta al pubblico: per qualità e ampiezza della collezione, divenne tappa obbligata per quanti visitavano la città e le sue emergenze. Una prima, ampia descrizione è nella Guida del Celano che testimonia che a tale data gran parte della collezione era stata già raccolta.

Il punto di partenza della pinacoteca doveva essere costituito dal lascito dei dipinti del sartore Lercaro, che obbligava i padri a tenerli esposti “al loro choro della loro chiesa tutti unitamente o vero nella sacristia Maggiore e voglio che non si possano né vendere né alienare, né donare né permutare, né ancor prestare in modo alcuno”. L’inventario dei suoi beni, di recente ritrovato da Forgione, testimonia che i dipinti lasciati ai Girolamini furono ben cinquantasette, tali da costituire il nucleo più antico e prestigioso della quadreria oratoriana. Se a tale nucleo vanno ascritte oltre alle opere di Reni anche alcuni lavori di Fabrizio Santafede, Giovan Bernardino Azzolino e Jusepe de Ribera, bisogna ritenere che in primis tale raccolta rifletteva il gusto di un collezionista borghese piuttosto che di una committenza religiosa. In ogni caso la attuale raccolta si segnala per opere di grande interesse, in cui si distinguono ambiti e scuole: all’ambiente romano vanno ascritte la Crocifissione del Sermoneta, l’Adorazione dei Magi di Federico Zuccari, San Paolo rapito al terzo cielo e San Sebastiano del cavalier d’Arpino, Madonna col bambino del Pomarancio, Il Giudizio di Salomone e La tentazione di San Francesco di Francesco Allegrini; mentre all’ambito dell’Italia centrale, con presenze umbre, toscane e emiliane, diverse opere significative tra cui emergono la Sacra Famiglia del Sordo di Urbino, la Madonna con bambino di Francesco Vanni, la Madonna con bambino di Elisabetta Sirani, e soprattutto due autentici capolavori di Guido Reni, quali la Fuga in Egitto ed Incontro di Gesù e San Giovanni Battista. Non manca naturalmente un’ampia e pregevole antologia della pittura napoletana e meridionale di età moderna, nella quale si situano bozzetti di Francesco Solimena e di Lodovico Mazzanti, e opere significative tra cui: Adorazione dei Magi di Andrea da Salerno; Santa Caterina d’Alessandria e Maddalena di Agostino Tesauro; Natività di Giovan Filippo Criscuolo; Lavanda del Bambino e Cristo con i figli di Zebedeo di Fabrizio Santafede; Battesimo di Gesù, Cristo porta croce e Martirio di San Bartolomeo di Battistello Caracciolo; Cristo legato e Quattro apostoli di Jusepe Ribera; Sant’Onofrio di Matthias Stomer; Adorazione dei Pastori e Sacrificio di Isacco di Andrea Vaccaro; Cristo flagellato di Cesare Francanzano; Adorazione dei pastori e Sacrificio di Isacco di Andrea Vaccaro, Madonna col bambino di Sebastiano Conca. Oltre ai dipinti, la raccolta comprende scultura (tra cui una di Giuseppe Sammartino), e vari oggetti d’arte, tra cui un pregiato crocifisso medievale, e vari paramenti sacri sei-settecenteschi.

Non meno significativo risulta l’insieme della Biblioteca: oltre che per la bellezza degli ambienti, tra cui quattro sale settecentesche, è celebre per la rarità degli oltre 60.000 volumi custoditi. La sala grande, dedicata al filosofo napoletano Giambattista Vico, fu realizzata tra il 1727 e il 1736. Vi si accede dall’originaria porta lignea di Gennaro Pacifico, inquadrata da un portale in marmo eseguito da Francesco Pagano. All’interno, le pareti sono rivestite da una magnifica scaffalatura, composta da 46 scansie in noce beneventano su due livelli, di cui l’inferiore progettato da Arcangelo Guglielmelli e il superiore da Muzio Anaclerio. Al di sopra, una teoria di medaglioni, raffiguranti i più celebri padri filippini, precede il soffitto ligneo dove risalta una maestosa tela con il trionfo della fede sulla scienza, mentre nelle lunette laterali compaiono le figure allegoriche di arti e scienze, realizzate Francesco Malerba e Cristoforo Russo su disegno di Carlo Schisano.

La Biblioteca statale oratoriana annessa al Monumento nazionale dei Girolamini di Napoli era ed è una biblioteca specializzata in Teologia cristiana, Filosofia, Chiesa cristiana in Europa, Storia della Chiesa, Musica sacra e Storia generale dell'Europa. Una sua antica peculiarità risiedeva nella circostanza che, contrariamente agli usi generalizzati degli ordini monastici che non ammettevano il pubblico nelle loro biblioteche, l'Istituto fu aperto al pubblico dal 1586. La Biblioteca, tra le più ricche del Mezzogiorno, e la più antica tra quelle napoletane, nel Settecento fu frequentata da importanti intellettuali, fra cui Giambattista Vico. Proprio su suggerimento di questi, nel 1727 i padri oratoriani acquistarono dagli eredi la eccezionale Biblioteca dell’avvocato e collezionista Giuseppe Valletta che comprendeva una ricca raccolta di testi giuridici, filosofici, religiosi e letterali del Seicento e del Settecento napoletano. Con i volumi della Biblioteca vallettana, per la somma complessiva di 14.000 scudi i padri oratoriani acquisirono diciassette epigrafi provenienti dalla collezione del giurista, anche quarantacinque vasi antichi. Di questi ultimi ne sussistono soltanto 14.

In seguito, furono acquisite anche altre importanti biblioteche, tra cui quelle appartenute a Carlo Troya, a Agostino, Gervasio e Antonio Bellucci. Nel patrimonio di pregiati codici miniati risultano di notevole interesse tanto alcuni trecenteschi, come la Commedia di Dante, la Teseida di Boccaccio, le Tragedie di Seneca, quanto altri quattrocenteschi, come una Cosmographia di Tolomeo, un Officium Beatae Mariae, miniato da artista ferrarese, le Epistulae et Panegyricos di Plinio.

 

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