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Il palazzo Ricca, sede della Fondazione e dell’Archivio Storico del Banco di Napoli, e la cappella-oratorio del Monte dei Poveri
di Francesca Capano
Foto di Mario Ferrara
Il palazzo Ricca, sede della Fondazione Banco di Napoli e dell’Archivio Storico del Banco, a cui furono aggiunti la cappella e l’oratorio del Monte dei Poveri nella seconda metà del Seicento, deriva il nome da Gaspare Ricca che nel Cinquecento trasformò la preesistenza nella residenza per la sua famiglia.
L’isolato su cui insiste il palazzo è l’ultima strigas orientale dell’impianto della citta greca, poi romana, sul versante sud della plateia, poi decumano mayor, insiste a ridosso del percorso delle antiche mura urbiche e presenta una larghezza doppia rispetto alla dimensione tipo di un isolato antico napoletano con una deformazione, più precisamente uno spanciamento, sul limite est, come dimostra anche l’analisi della cartografia storica; tale deformazione è da attribuirsi proprio alla posizione periferica [Pane 1970, 278-283].
Nel sedime dell’edificio sono stati ritrovati resti riconosciuti come appartenenti a una domus, scoperta fortuitamente all’inizio degli anni Settanta del secolo scorso [L’Archivio Storico del Banco di Napoli 1972, 16]. L’edificio risale al II secolo; la struttura romana è probabilmente da collegarsi al più grande complesso residenziale, emerso durante i lavori del Risanamento tra le attuali strade di San Nicola dei Caserti, di Pietro Colletta e della Giudecca Vecchia, ricadente quindi nella regio Furcillensis.
Non si hanno notizie della preesistenza medioevale ma è ipotizzabile che l’edificio godesse di una posizione invidiabile per la prossimità con Castel Capuano, fortilizio normanno, residenza e forte svevo, ristrutturato dai sovrani angioini prima e aragonesi poi.
Alla metà del XVI secolo, quando il castello era divenuto sede dei tribunali napoletani per volere di don Pedro de Toledo, il duca Gaspare Ricca acquistò una casa, ristrutturandola nella residenza aristocratica di famiglia. Del palazzo cinquecentesco, continuamente utilizzato e rimaneggiato da appartamenti nobiliari a sede del banco, rimangono la conformazione delle sale e la bella scala di sicura matrice risalente al XVI secolo [Ruotolob 1993, 42], costruita sul fronte orientale del cortile longitudinale sul quale affacciano i ballatoi coperti da volte a crociera. Lo stemma dei Ricca ancora oggi arricchisce l’affaccio della scala sulla corte, posto al centro del ballatoio del piano nobile.
La veduta del 1566 Quale e di quanta importanza e belleza sia la nobile cita di Napole in Italia... incisa da Étienne Du Perac ed edita da Antoine Lafréry mostra un muro continuo di cinta con un edificio a filo strada e una piccola chiesa con campanile, icona che rimanda alla chiesa di San Tommaso a Capuana. Il piccolo edificio religioso, fondato nel XII secolo [Ruotoloa 1993, 42], era adiacente al palazzo cinquecentesco.
Il palazzo – ma forse sarebbe più corretto definire la proprietà Ricca ‘casa palazziata’ – nel 1616 fu venduto al Monte dei Poveri del Santissimo Nome di Dio per ospitare la confraternita [Nappi 1979, 173].
L’istituzione nacque nel 1599 dalla fusione di due compagnie caritatevoli e religiose [Celano 1692, 68]. La più antica (1563) era la Compagnia di Santa Maria del Banco dei Poveri, la cui missione era prestare denaro ai carcerati [Celano, 1692, I, 66]. La prima ubicazione fu nella chiesa dei Santi Apostoli, poi spostata a San Giorgio Maggiore, nella cappella di San Severo Vecchio alla sinistra dell’ingresso porticato [Capasso 1889, 113], ristrutturata nel 1579 e intitolata alle Anime del Purgatorio [Celano, 1692, I, 114]. Le attività caritatevoli erano sempre in aumento, infatti, l’ente ottenne anche una sede nel palazzo dei Tribunali [Celano, 1692, I, 115].
La compagnia del Santissimo Nome di Dio si costituì nel 1583 per compiere opere caritatevoli; fu voluta da Orazio Teodoro su suggerimento del domenicano don Paolino da Lucca. La sede della compagnia infatti era nella chiesa dell’ordine di San Severo Maggiore [Tortora 1883, 59].
Il neonato monte, risultato della fusione delle due istituzioni, scelse come sede principale quella di San Giorgio Maggiore. Le attività caritatevoli erano costantemente in crescita; nel 1608 il monte ampliò il proprio campo divenendo anche banco [De Lellis 1654, 85,86].
Insoddisfacenti oramai le sedi, nel 1616 il monte-banco acquistò la casa di Gaspare Ricca. Furono pagati 10.000 ducati oltre i censi che gravavano sulla proprietà – la cifra totale è stata calcolata in 10.500 ducati – [Nappi 1979, 178]. Tali dati emergono dallo studio dei documenti conservati proprio presso l’Archivio Storico del Banco di Napoli, studiati nel 1979 da Eduardo Nappi; studio ancora indispensabile per analizzare la storia e la ricchezza artistica del palazzo, della piccola chiesa e dell’oratorio, al quale ci si riferisce per questo breve saggio, in particolare per le fonti archivistiche [Nappi 1979, 177-187].
Incaricato della ristrutturazione, necessaria dopo l’acquisto, fu Giovan Giacomo Conforto, o di Conforto, (1569 - 1631) [Strazzullo 1969, 95; Leone 1983] pagato «per buon conto e sue fatiche fatte nell’architettura e disegno del loro palazzo» [Nappi 1979, 174].
Questi primi lavori per adeguare la residenza aristocratica alle nuove necessità funzionali durarono un periodo breve; si suppone quindi che si trattò di lavori di poco conto [Pane 2001, 184].
Nel 1618 furono commissionate quattro statue – San Gennaro, San Severo, San Tommaso d’Aquino, e Sant’Antonio da Padova – a Gerolamo D’Auria per l’oratorio, posto ai piani superiori del palazzo; poi le effigi dei santi furono traslate nella chiesa, dove sono ancora oggi. Nello stesso anno furono poste in facciata sulla Strada de’ Tribunali, gli stemmi marmorei del monte, del re e del viceré [Pane 2001, 189].
Nel 1640 la chiesa di San Giorgio Maggiore e quindi anche la cappella del banco furono distrutti da un incendio. La costruzione, anche se più tarda, della chiesa e del nuovo oratorio sono probabilmente da collegare anche a questo evento, oltre alla scomodità dell’ubicazione della sala di raccoglimento, posizionata in origine all’interno e a un piano superiore del palazzo.
Nel 1669 iniziarono i lavori di costruzione della chiesetta e dell’oratorio posti a conclusione della corte sul lato meridionale [Pane 2001, 189]. La facciata avrebbe occupato il fronte principale dello spazio aperto rettangolare, anche se il disegno dell’impaginato è, come vedremo, del secolo successivo. Dai documenti dell’Archivio del Banco emergono chiaramente le motivazioni che avevano portato alla nuova costruzione, che doveva essere «più cospicuo e ragguardevole, e che stia a prospettiva della strada per haver tutte le prerogative c’hanno le chiese pubbliche, dove ogni giorno di possono celebrare li divini uffici, e far le solite funtioni nelli giorni più devoti [un edificio] con la terra santa per li fratelli che vi si vorranno seppellire» [Nappi 1979, 178].
La piccola chiesa è composta da una navata unica centrale di pianta quadrata, l’altare maggiore, sopraelevato di tre gradini, ha uno sviluppo longitudinale suddiviso in tre campate. La campata centrale accoglie l’altare principale, quelle laterali sono terminate dai passaggi per raggiungere l’oratorio. L’aula unica dell’oratorio è di forma rettangolare allungata, l’altezza è considerevole, sfruttata da un doppio ordine di aperture: lungo i muri perimetrali il primo e nelle lunette della volta il secondo. Al di sotto dell’invaso si trova la cripta di pianta praticamente uguale. I portali che collegano la chiesa e l’oratorio, tipicamente barocchi, accolgono al di sopra dei timpani spezzati due grandi targhe marmoree. Nelle iscrizioni si leggono i dati salienti dell’istituzione: la fondazione, lo statuto, la data della cerimonia della prima pietra posata dall’arcivescovo Innico Caracciolo, la consacrazione dell’altare maggiore a Santa Caterina [Pane 2001, 189-190].
Per il progetto dell’oratorio si fanno i nomi di un nobile congregato Giuseppe Caracciolo – sconosciuto alla letteratura artistica – per il progetto [Celano 1692, 68], di Antonio Caputo, a cui fu pagato il modello, e di Onofrio Tango in qualità di direttore dei lavori [Nappi 1979, 178].
Al 1672 risalgono i pagamenti degli artisti responsabili dell’apparato decorativo; la costruzione terminò nel 1673. Più dettagliatamente nel 1672 furono eseguiti i marmi per l’altare e per la gradinata da Giovanni Mozzetti. Nello stesso anno la costruzione doveva essere terminata poiché Luca Giordano (1634-1705) veniva saldato – 350 ducati – per l’affresco a incannucciata del soffitto, dedicato all’Immacolata; sempre a Giordano l’anno seguente venne commissionata la pala dell’altare maggiore [Nappi 1979, 178]. L’organo fu terminato qualche anno più tardi ad opera di Giovanni Gualberto Ferretti. All’organaio furono pagati 190 ducati nel 1685. La decorazione dell’organo invece fu affidata all’intagliatore Giuseppe di Gennaro. Nel 1726 fu necessario revisionare l’organo. Le tele con i soggetti dell’Assunzione e della Natività furono eseguite da Francesco Solimena (1657-1747) nel 1686 e poste ai lati dell’altare maggiore [Nappi 1979, 178-179].
Un nuovo altare posto all’ingresso fu eseguito dal marmoraro Giuseppe Pacci nel 1724 a sostituzione di quello più antico. Nel 1735 un altro artigiano, Francesco Ragozzino, eseguì le cornici marmoree laterali destinate ad accogliere i quadri di Solimena, ‘apprezzate’ da Domenico Antonio Vaccaro (1678-1745) [Nappi 1979, 181]. Vaccaro eseguì i progetti della pavimentazione e della balaustra [Nappi 1979, 182] che non riuscì a terminare per la sopravvenuta morte. Giovanni Del Gaizo (1715-1796) continuò il lavoro del maestro, tra le figure più rappresentative della prima metà del Settecento napoletano, terminando il pavimento e fornendo i disegni per il presbiterio, l’altare maggiore, il baldacchino, la portella d’ottone e fornendo «assistenza continua fatta per la perfezione di tutte le opere suddette» [Nappi 1979, 182].
Il prospetto della chiesa, che arricchisce con un disegno tardo barocco ma abbastanza severo tutta la corte di cui è l’elemento precipuo, fu eseguito da Gaetano Buonocore a partire dal 1749. Nel 1751 fu posto in opera, sempre con la direzione di Buonocore l’orologio maiolicato di Francesco Barletta – pagato 275 ducati – che termina la composizione del fronte [Nappi 1979, 182, 183]. È ascrivibile a Buonocore anche il disegno degli stucchi decorativi dell’oratorio rispondente al decorativo gusto rococò [Pane 2001, 201].
Nello stesso anno fu necessario restaurare il soffitto di Giordano; il compito ricadde su Antonio della Gamba. Per la sacrestia furono acquistati due crocifissi lignei dallo scultore Gennaro Franzese. Nel marzo del 1767 i documenti ma anche la letteratura storico-artistica riportano il nome di Gaetano Barba (1730-1806) come architetto del banco [Celano 1856, II, 369; Jacazzi 1995, 107-109] e quindi supervisore di tutte le opere, assistito dall’ingegnere Filippo Fasulo. Si decise su consiglio evidentemente di Barba di vendere l’altare originale e di sostituirlo con uno più moderno, secondo il disegno attribuibile a Barba, eseguito dai marmorari Giacomo Masotti e Gaetano Bello, che terminarono anche il pavimento (1768) [Nappi 1979, 182, 183]. I puttini dell’altare furono eseguiti da Paolo Persico.
Tornando agli uffici e agli archivi, che occupavano l’ex-palazzo Ricca, negli anni Trenta del XVIII secolo erano divenuti inadeguati a causa della costante crescita del carico di lavoro del banco. Si rese necessario un piano di adeguamento, a tale scopo furono interpellati noti professionisti e artisti: Gaetano Romano, Giuseppe Stendardo, Domenico Antonio Vaccaro e Giovan Battista Nauclerio (1666-1739). Tra le proposte si decise di mettere in pratica quella di Stendardo, al quale fu richiesto un progetto più contenuto, probabilmente per mantenere i costi bassi. Questi lavori, diretti da Alessandro Manni, durarono vari anni.
Tra il 1734 e il 1736 fu costruita la scala secondaria da Ferdinando Sanfelice (1675-1748) di grande valore artistico e architettonico. Al grande architetto, noto anche per le sue ardite scale, furono pagati 130 ducati e gli fu richiesto anche un modello [Nappi 1979, 181]. Attraversando la corte e passando nel cortile minore a ovest della chiesa e dell’oratorio, fu costruita la scala che doveva collegare varie preesistenze, risolvendo il problema delle quote differenti. Giulio Pane fornisce una chiara ed esauriente descrizione del progetto sanfeliciano «egli immagina perciò una scala a ingressi sfalsati, le cui rampe si appoggiano allo stesso muro di spina centrale, ma attingono separatamente i due corpi di fabbrica, sicché percorrendo una delle rampe non s’incontri mai l’altra, che le cammina a fianco, pur consentendo una certa reciproca introspezione tra i due percorsi. L’ingegnosa compenetrazione, ottenuta svolgendo le due coclee una nell’altra, si sviluppa attorno al muro di spina, per raggiungere l’ultimo pianerottolo dove esso è traforato da un’ampia finestratura mistilinea, che offre trasparenza alla luce ed all’aria, mentre tra le due rampe ciò è garantito da un grande occhio che si apre sul ballatoio intermedio, sicché gioco teatrale e convenienza funzionale e strutturale si fondono insieme in un vero e proprio labirinto verticale, assai suggestivo. Delineata con grande semplicità nella sua ornamentazione particolare – fasce di stucco segnano appena gli archi d’imposta delle volte a crociera rampanti – la scala si affaccia in un piccolo spazio verde, di fronte alla parete laterale della chiesa della Confraternita, offrendo l’immagine di una inattesa macchina da festa» [Pane 2001, 192-195].
Vaccaro lavorò fino al 1745, anno della sua morte, non solo nell’oratorio ma anche al palazzo, dove fu autore di interventi di piccola entità come dipinti alle pareti nelle sale e dorature di porte. Fu incaricato di progettare la «fabbrica che a suo tempo dovrà farsi nel nostro Monte sopra la parrocchia di S. Tommaso» [Nappi 1979, 181, 182]. I lavori furono continuati da Del Gaizo ingegnere del banco sicuramente almeno fino al 1749. Non si ha, infatti, alcuna evidenza che Vaccaro, incaricato di questo progetto di ingrandimento, vi abbia effettivamente lavorato, poiché come già detto, sarebbe morto di lì a poco, ancora impegnato nel cantiere del banco.
Alla fine degli anni Quaranta del Settecento furono eseguiti molti ammodernamenti che hanno contribuito a dare al palazzo l’aspetto odierno. In particolare le sale dell’udienza, oggi sale studio, furono decorate dal pittore Nicola Trabucco, che restaurò anche cinque antiche tele di Belisario Corenzio poi spostate al Monte di Pietà.
Nel 1769 si manifestarono nell’edificio evidenti lesioni, che indussero il banco a interpellare vari ingegneri-architetti: Giuseppe Astarita (1707-1775), Pascale Manzo, Carlo Zoccoli, Bartolomeo Vecchione. Dalle perizie emerse unanime la causa, un cedimento fondale da ascriversi alla vicinanza delle sostruzioni a un ramo dell’acquedotto del Carmignano, e la soluzione, la necessità di consolidare tutto il palazzo sul versante di via Tribunali [Nappi 1979, 185]. Barba come tecnico responsabile del banco eseguì il progetto [Nappi 1979, 185; Jacazzi 1995, 110]. Fu l’occasione per una ristrutturazione e in particolare per un nuovo disegno di facciata, caratterizzata da una impronta classicista, in grado di richiamare anche la solidità richiesta ad un edificio la cui funzione era anche quella di banco.
Terminate le lavorazioni più consistenti del nuovo fronte, Bello pose in opera le decorazioni marmoree nel 1771. Gli stucchi del balcone centrale furono eseguiti da Gerardo Solofrano, o Solifrano. A questi stessi anni risalgono altri dipinti della Sala delle Udienze e anche di altri ambienti di rappresentanza di cui fu incaricato Giuseppe Funaro, detto il mancino, responsabile delle quadrature architettoniche, e il decoratore Gennaro Aveta, che eseguì le pitture ad olio per alcuni finestroni. Il medaglione centrale del soffitto e le figure degli angoli della Sala delle Udienze furono eseguiti dal più noto Giacinto Diano (1731-1803) [Nappi 1979, 185-187]. Merita una nota la composizione di tutto il soffitto incentrata sul Trionfo di Maria di Diano, una complessa quadratura architettonica che utilizza sapientemente la prospettiva illusionistica. Una balconata dipinta si affaccia nella sala, ritmata da nicchie con statue monocrome e ricchi vasi di fiori. Al di sopra sono rappresentati un tamburo e una finta cupola e in posizione centrale il trionfo. Gli affreschi terminarono nel 1775.
Nel 1778 fu acquistato l’adiacente palazzo Cuomo, venduto dagli eredi di don Pietro Cuomo sempre per soddisfare le esigenze di crescita del banco. Il palazzo che si affacciava su via San Nicola dei Caserti presenta un fronte semplice, lineare e decoroso, caratterizzato dalle ritmate aperture rettangolari, semplicemente riquadrate a fascia, chiuse da pesanti inferriate, proprio per ricordare la conversione in banco.
Durante il Decennio francese nel 1808 il Banco dei Poveri fu soppresso. Ferdinando IV tornato sul trono napoletano come Ferdinando I stabilì (1819) che l’edificio fosse trasformato in Archivio Storico degli otto banchi pubblici napoletani, che confluirono nel Banco di Napoli [L’Archivio Storico del Banco di Napoli 1972, 13]. La chiesa e l’oratorio invece rimasero alla confraternita del Monte dei Poveri.
Bibliografia essenziale:
C. Celano, Notizie del bello e dell’antico e del curioso della citta di Napoli…, Napoli, Giacomo Raillard, I, 1692.
C. Celano, Notizie del bello e dell’antico e del curioso della citta di Napoli raccolte dal can. Carlo Celano con aggiunzioni per cura del cav. Giovanni Battista Chiarini, a cura di G.B. Chiarini, Napoli, Stamperia Floriana, 1856-1860.
E. Tortora, Raccolta di documenti storici e delle leggi e regole concernenti il Banco di Napoli, Napoli, Stab. Tip. F. Giannini, 1882.
B. Capasso, La Vicaria Vecchia, in «Archivio storico per le province napoletane», XIV, 1889.
F. Strazzullo, Architetti e ingegneri napoletani dal ‘500 al ‘700, Roma, Gabriele e Mariateresa Benincasa, 1969.
R. Pane, Analisi e proposte, in R. Pane et al., Il centro antico di Napoli: restauro urbanistico e piano di intervento, 3 voll., Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1970-1971.
L’Archivio Storico del Banco di Napoli: una fonte preziosa per la storia economica sociale e artistica del Mezzogiorno d’Italia, a cura dell’Archivio Storico del Banco di Napoli, Napoli, Banco di Napoli, 1972.
E. Nappi, Il palazzo e la cappella del Sacro Monte e Banco dei Poveri, in Le arti figurative a Napoli nel Settecento. Documenti e ricerche, a cura di N. Spinosa, Napoli, Società Editrice Napoletana, 1979, pp. 173-187.
R. Leone, Conforto, Giovan Giacomo, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1983, vol. 28 (oggi on line in open access https://www.treccani.it/ enciclopedia/giovan-giacomo-conforto_(Dizionario-Biografico)/, ottobre 2021).
Atlante di Napoli. La forma del centro storico in scala 1:2000 nell’ortofotopiano e nella carta numerica, a cura di Soprintendenza generale agli interventi post-sismici in Campania e Basilicata Compagnia generale ripreseaeree Tecnic Consulting Engineers, Venezia, marsilio, 1992.
R. Ruotoloa, 11. San Tommaso a Caouana, in «Napoli Sacra», n. 1, 1993, pp. 42.
R. Ruotolob, 12. Cappella del Monte dei Poveri, in «Napoli Sacra», n. 1, 1993, pp. 42, 43.
D. Jacazzi, Gaetano Barba: architetto neapolitano (1730-1806), Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1995.
G. Pane, Gli Archivi del Banco, la Chiesa e l’Oratorio del Monte dei Poveri, in Dieci anni dell’Istituto Banco di Napoli, Quarto, Sama, 2001, pp. 177-211.
I. Ferraro, Napoli: atlante della città storica. Centro antico, Napoli, Oikos edizioni, 2017.
Immagini
1. Particolare dell’isolato del Monte di Pietà nella veduta di Napoli di Alessandro Baratta (1627), nella mappa di Napoli di Giovanni Carafa duca di Noja (1775), nella planimetria del quartiere Vicaria di Luigi Marchese (1813), nella planimetria di Napoli di Federico Schiavoni (tav. 13, 1877).
2. Particolare dell’isolato di Palazzo Ricca nella veduta di Napoli di Étienne Dupérac e Antoine Lafréry (1566).
3. La scala cinquecentesca oggi.
4. Il rilievo della chiesa-oratorio del Monte dei Poveri [Ferraro 2017, 745].
5. Il prospetto della chiesa-oratorio del Monte dei Poveri oggi.
6. Il prospetto dell’ex-palazzo Ricca sede dell’Archivio e della Fondazione Banco di Napoli dal portico di passaggio tra la corte e il cortile secondario.
7. Il prospetto della scala di Ferdinando Sanfelice nel cortile secondario dell’Archivio e della Fondazione Banco di Napoli.
8. Il rilievo dei prospetti dell’Archivio e della Fondazione Banco di Napoli e della chiesa di San Tommaso a Capuana su via dei Tribunali oggi [Ferraro 2017, 740].
9. La consistenza del complesso edilizio del Monte dei Poveri alla fine del Settecento nell’isolato in cui insiste [Atlante di Napoli 1992].
10. Isolato dell’Archivio e della Fondazione Banco di Napoli e della chiesa-oratorio del Monte dei Poveri da Google.
Progetto: ARCCA - ARchitettura della Conoscenza CAmpana - ECOSISTEMA DIGITALE PER LA CULTURA