La via del Duomo

La via del Duomo: origine e varianti di un progetto ottocentesco nel nucleo antico della città

 

Pasquale Rossi, Università degli Studi Suor Orsola Benincasa di Napoli

Premessa e contesto storico

L’apertura di Via Duomo, prevista sin dal 1839, è stata realizzata tra il 1853 il 1880, secondo un modello di “sventramento urbano”, tipico dell’età borghese, rappresentando il primo esempio di radicale intervento di trasformazione della città.

La strada, che rientra nella delimitazione dell’area del centro storico di Napoli, considerato dall’UNESCO come “Patrimonio dell’Umanità” (1995), rappresenta di fatto l’unica alterazione nel nucleo antico (Neapolis, V secolo a.C.), il cui impianto originario risulta contrassegnato da tre decumani (via Anticaglia-via Sapienza/ via Tribunali/ via San Biagio dei Librai fino a Forcella, nota come “Spaccanapoli”) che si intersecano con una serie di vie ortogonali (cardines), definendo le originarie insule dell’insediamento di fondazione della città. Infatti la “novella strada” ottocentesca viene tracciata in continuità lungo un asse trasversale che era costituito dalla sequenza di varie strade strette che lambivano importanti complessi ecclesiastici: la strada San Severo al Pendino, il vico San Giorgio Maggiore, la strada de’ Mannesi, la strada dell’Arcivescovado, il vico San Giuseppe dei Ruffi.

E proprio per questa particolare caratteristica si tratta di uno straordinario luogo di stratificazione urbana e architettonica, al pari di altri luoghi partenopei -contrassegnato da permanenze funzionali secolari, da continuità-discontinuità di rilievo che, per un centro storico ancora vissuto da una straordinaria dimensione popolare, ricco di fermento e contaminazione sociale-, presenta segni di unicità sia per la dimensione architettonica che per il vissuto sociale. Caratteri e aspetti che sono sottolineati anche nella motivazione del riconoscimento di ‘Patrimonio dell’Umanità’ definita dall’UNESCO (“World Heritage List of the United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization”[1]).

Nell’assetto contemporaneo, in seguito a iniziative e progetti intrapresi partire dagli inizi del XXI secolo, la via Duomo presenta una variegata serie di complessi museali di antica e nuova istituzione, collocati lungo il percorso e in aree contigue alla rettilinea strada ottocentesca.

Lungo il tratto stradale, concepito in età borbonica ma completato soltanto dopo l’Unità d’Italia, si ritrovano in sequenza, da sud a nord: il Museo Filangieri (Palazzo Como) e la chiesa di San Severo a Pendino (sede comunale di esposizioni permanenti); il complesso archeologico di Carminiello ai Mannesi, Il Pio Monte della Misericordia con la pinacoteca e la chiesa con lo straordinario dipinto delle “Sette Opere” del Caravaggio (la prima opera napoletana realizzata dal pittore nella Napoli del viceregno spagnolo); il Museo del Tesoro di San Gennaro; l’area archeologica del Duomo; il complesso dei Girolamini con la biblioteca oratoriana; il Museo Diocesano nella chiesa di Donnaregina nuova; Il Madre (Museo D’ARtE contemporanea) al limite con la struttura di fondazione angioina della chiesa di Donnaregina vecchia (sede universitaria).

Una concentrazione eccezionale di siti storici e di collezioni d’arte e archeologia, contigue e limitrofe all’asse stradale ottocentesco, che è valsa a definire il luogo come “via dei Musei”.

Un percorso che troverà altro fondamentale terminale nel progetto, in corso d’opera, della Stazione Duomo della nuova linea metropolitana cittadina; nel sito, durante i lavori della fermata ferroviaria, sono stati portati alla luce dei rinvenimenti archeologici di straordinario interesse come la presenza di un tempio, risalente all’età greca, poi trasformato in epoca romana, con il prezioso ritrovamento di una lapide marmorea, che testimonia lo svolgimento di giochi isolimpici, e di altri oggetti che dovrebbero far parte di un nuovo allestimento (Stazione Neapolis) negli ambienti di ingresso della stazione, al centro della piazza Nicola Amore, come risulta dalle indicazioni progettuali degli architetti Massimiliano e Doriana Fuksas.

L’allargamento stradale e la creazione della via del Duomo è stato concepito sin dalle origini con la costruzione di nuovi edifici residenziali a cortina continua sul versante orientale (dal lato della Cattedrale), eseguito secondo indicazioni che avevano ispirato il tema della “costruzione della città” a partire dalla metà dell’Ottocento, in tutte le grandi città europee.

La nuova strada rettilinea del Duomo risulta in modo evidente ispirata ai modelli di trasformazione intrapresi per volere di Napoleone III a Parigi par l’embellissment de la ville, diretti dal barone George Eugéne Haussmann, prefetto della Senna;. un intervento cosiddetto “igienico-sanitario” conseguente a un’epidemia di colera che viene intrapreso proprio, a partire dal 1853, stesso anno degli inizi dei lavori di via Duomo, grazie a un’incisiva legge di esproprio per “pubblica utilità” e a una struttura tecnico-amministrativa (“Consiglio Edilizio di Città”) che consentirà la realizzazione del piano urbano nell’arco dei decenni successivi. La trasmissione scientifica delle acquisizioni tecnologiche e dei modelli di intervento urbano trovano, in questo contesto storico, ampia diffusione sulla pubblicistica di settore, nei bollettini e periodici degli ordini professionali e negli atti di convegni, in seguito anche all’affermazione delle Esposizioni Internazionali che, da Londra (1851) in poi, rappresenteranno uno dei più straordinari veicoli di diffusione del progresso, in linea con le aspirazioni della classe borghese e con le dinamiche speculative gradite alla classe imprenditoriale per una possibile e auspicabile crescita edilizia.

Se questo rappresenta in termini sintetici il contesto culturale europeo entro il quale collocare l’apertura della “strada che doveva portare in modo comodo alla Cattedrale della città napoletana” bisogna però anche osservare che il progetto, sin dalle prime battute, viene presentato in modo parziale e talvolta contradditorio. Ma certamente il progetto della nuova strada del Duomo, avviato durante il regno di Ferdinando II di Borbone (1830-1859) e completato soltanto dopo l’Unità d’Italia, rappresenta per il contesto storico l’anticipazione del tema dello sventramento delle grandi città europee attraverso la creazione di assi viari rettilinei che rappresenterà la norma e il modello di intervento avviato nella seconda metà dell’Ottocento e che a Napoli sarà determinato in modo radicale dopo l’epidemia di colera del 1884 proprio con l’istituzione di una legge speciale nazionale di Risanamento (1885).

I progetti e le varianti per la via del Duomo (1839-1884)

Una prima ipotesi per la via del Duomo viene presentata nel 1839 da Federico Bausan e Luigi Giordano; il progetto prevedeva l’apertura di una strada che “dalla Marinella” sino alla chiesa di San Carlo all’Arena, per ordine di “Sua Maestà”, doveva collegare l’antico lungomare con la via Foria.

Si trattava di un percorso caratterizzato da un porticato continuo con ampie piazze, di diversa forma e dimensione, poste in corrispondenza degli incroci con i decumani dell’antico nucleo di fondazione della città di Napoli. Era la prima proposta di una strada fondamentale per il collegamento con il Duomo e l’insula dell’Arcidiocesi napoletana, le cui indicazioni risulteranno confermate, nel marzo del 1841, anche dal Consiglio Edilizio della Città: «(…) Questa novella comunicazione condurrebbe per la più bella parte della città alla prima Chiesa di essa, senza obbligare il Sovrano, come ora avviene, ed al suo corteggio, a passare strade tortuose ed anguste, simili più assai a senterucoli che a vie di una nobilissima capitale»[2].

Una proposta che, in linea con le esigenze economiche e fondiarie di epoca borghese e con la definizione del piano urbano e programmatico denominato “Appuntazioni per lo Abbellimento di Napoli” (1839), voluto da Ferdinando II di Borbone, comportava di fatto la possibile demolizione di edifici monumentali e la definitiva trasformazione di un secolare tracciato della città.

Nello stesso anno, una data simbolica per il rinnovato impulso ai lavori di trasformazione urbana che sino ad allora -per una serie di complicazioni e di cavilli burocratici, difficoltà finanziarie e indecisioni progettuali- erano stati incubati in una programmazione che aveva portato alla definizione della macchina amministrativa/burocratica con l’istituzione del Consiglio Edilizio (1839) e la definizione di una capillare sovrintendenza tecnica nei dodici quartieri della città. Una struttura che consentirà lo svolgimento dei lavori programmati e/o in corso anche dopo l’Unità d’Italia grazie alla presenza e alla continuità operativa di tanti tecnici (Errico Alvino, Luigi Catalani, Luigi Cangiano, Antonio e Pasquale Francesconi, Gaetano Genovese, Luigi Giura, Gaetano Romano, Francesco Saponieri e tanti altri) che rappresentano una generazione di artisti eclettici che si muove tra “progetti classicisti e trasformazione della città”, tra dibattito sullo stile e innovazione tecnologica/costruttiva, in linea con le istanze culturali e la produzione artistica di stampo eclettico emergente, in versione definitiva nell’ultimo quarto dell’Ottocento, in Italia e in Europa.[3]

Nei primi mesi del 1853 Antonio Francesconi e Luigi Cangiano presenteranno un progetto per la ‘Strada dell’Arcivescovado’. E gli architetti municipali risultavano già impegnati, proprio nello stesso anno, anche per il progetto di apertura della ‘Strada delle Colline’, l’attuale corso Vittorio Emanuele; una via tangenziale che seguiva l’orografia dei luoghi e doveva collegare il quartiere occidentale (aristocratico e borghese) con quello orientale (operaio e industriale) secondo le ipotesi di embellissement definite dal piano ferdinandeo.

L’evidenza tecnica e le affinità con il contesto francese si deducono anche dalla denominazione del piano urbanistico. Del resto, a conferma dell’esplicito legame operativo, ma anche di una verifica di aggiornamento e confronto dei tecnici napoletani sulle grandi opere in corso, è opportuno ricordare come lo stesso Antonio Francesconi richieda, al Municipio di Napoli e al Ministero dell’Interno, un permesso per una missione di tre mesi da svolgere tra Genova e Parigi, allo scopo di «osservare tutte le nuove grandi opere di quella Città».[4]

I ritardi per l’avvio del progetto della strada di collegamento con la Cattedrale sono amplificati dalla presentazione contestuale di un’altra ipotesi di Federico Bausan e Luigi Giordano, stavolta con una variante di collegamento dal lato di via Foria, ma sempre con la costante presenza di ampie piazze e di porticati continui, estesi per tutto il lungo percorso stradale.

Nella previsione progettuale si insiste sul tema del porticato, per un modello costruttivo che nella cultura architettonica europea assume ampia diffusione, sia pure in differenti contesti ambientali talvolta anche poco adatti alle esigenze climatiche del sito. Ma si tratta di un prototipo che si adatta alle occorrenze funzionali e rappresentative della nuova architettura borghese. Un modello che si ispira, in modo evidente, alla realizzazione della monumentale rue de Rivoli, progettata da Charles Percier e P.F. Léonard Fontaine tra la fine del Settecento e gli inizi del secolo successivo, con il lungo edificio porticato che si estende tra il Louvre e i giardini delle Tuileries. In tal senso si segnala che anche a Corfù, in Grecia, viene realizzato il Liston (1814), un edificio porticato di testata con il prospetto principale prospiciente alla Esplanade, il vuoto spazio antistante alla preesistente fortificazione di età moderna, e che rappresenta un “pezzo di Parigi” in un’isola del Mediterraneo.

Il tema del porticato, sperimentato per l’architettura residenziale aristocratica, con specifiche funzioni commerciali e/o di rappresentanza, diventa quindi un campione edilizio che avrà ampia diffusione nel XIX secolo, e che risulta riferibile pure ai progetti delle places royales di età assolutistica. Riferimenti e contaminazioni per architetture che nel corso dei secoli trovano costanti progettuali in tutta la cultura architettonica europea di età illuministica e successivamente anche in età borghese, grazie anche all’impulso e all’ampia diffusione della pubblicistica di settore (bollettini e riviste specialistiche di ingegneria e architettura).

E davanti al Duomo di Napoli, nel progetto di Antonio Francesconi e Luigi Cangiano del 1853, il porticato è ancora un leitmotiv della nuova composizione urbana.

Una piazza quadrata con edifici dal gusto neorinascimentale, il cui centro della composizione è rappresentato dalla facciata della cattedrale che doveva prospettare – dal lato del convento dei Gerolomini, con la demolizione del chiostro cinquecentesco – con l’“Arco di Trionfo di Castel Nuovo” per una proposta antistorica concepita in virtù di una presunta “bellezza e armonia”, come gli stessi tecnici descrivono: «(…) la bella architettura e scultura dell’Arco di Trionfo (…) è coeva ed armonizza con quella della porta maggiore di entrata dell’Arcivescovado.».[5]

Nel 1853 saranno avviati, in modo definitivo, i cantieri e gli appalti per la costruzione di via Duomo e dell’attuale corso Vittorio Emanuele che avranno completamento soltanto dopo il 1870. L’avvio di queste realizzazioni stradali risulterà di fatto anche una sorta di “laboratorio” per la sperimentazione di sistemazioni scultoree e quinte celebrative, e talvolta anche l’occasione per proposte che, improntate all’imprescindibile “euritmia” e alla rigorosa simmetria, da osservarsi secondo i canoni artistici/tecnici del tempo, appaiono in alcuni casi piuttosto antistoriche.

È il caso del tentativo di spostamento dell’Arco di Trionfo rinascimentale di Castel Nuovo, auspicato da Antonio Francesconi e Luigi Cangiano, destinato nelle loro intenzioni, a completare il previsto disegno della piazza quadrata e porticata al centro della nuova strada in costruzione, e da posizionare proprio di fronte alla antica facciata della Cattedrale. Di fatto però la nuova piazza sarà realizzata solo parzialmente (dal lato della Cattedrale) per la mancata alienazione del chiostro piccolo dei Girolamini, i quali, si opporranno, in sede legale, all’esproprio forzoso della loro proprietà. Ma probabilmente i tecnici oltre il tentativo di completamento della nuova piazza Duomo intendevano garantire la sopravvivenza dell’arco aragonese che, a quel tempo, appariva nascosto da troppe nel degrado di tante superfetazioni (fabbriche, abitazioni e altro) della struttura di Castelnuovo.

Infatti, come noto, il restauro stilistico avviato da Riccardo Filangieri di Candida alla fine del XIX secolo, che porterà all’“isolamento del monumento” secondo la logica e gli orientamenti del “restauro” al tempo, sarà completato solo nella prima metà del Novecento; e a questo proposito bisogna segnalare che le proposte dei tecnici comunali avranno spesso varianti progettuali proprio per i tanti lavori in corso d’opera, ma anche per le continue direttive municipali sulle cui scelte incideva sovente una cronica mancanza di fondi; un aspetto che, tra corsi e ricorsi storici, rappresenta un dato contemporaneo, dove la difficoltà di esperire progetti è dovuta alla mancata certezza di una programmazione a lungo termine.

Era comunque nello spirito del tempo, nella formazione culturale e nella pratica operativa di ingegneri e architetti una logica di tipo interventista, che sarà mano a mano attenuata dall’istituzione di una Commissione Municipale per la Conservazione dei Monumenti (1877) che avrebbe garantito una tutela sullo stato dei luoghi e delle opere architettoniche. Così come del resto avverrà, sempre nel caso di via Duomo, per la conservazione della facciata rinascimentale di Palazzo Como e di uno straordinario balcone in marmo su mensola in piperno posto ora nell’edificio di fronte (accanto al Palazzo de Bellis di Casamassima) e prima esistente nel vico San Giorgio Maggiore e illustrato da una litografia pubblicata nel volume Napoli antica (1889) di Raffaele D’Ambra.

I lavori alla nuova via del Duomo (1853), non escludevano la proposta del 1839 di Federico Bausan e Luigi Giordano che avevano proposto un ampio percorso con porticati e piazze regolari (all’incrocio con i “decumani” del nucleo antico) e che da via Foria doveva giungere sino a piazza Mercato passando alle spalle della Cattedrale. Un’ipotesi di progetto che prevedeva anche uno svincolo porticato per le due strade su via Foria, riproposto in tono minore nel 1856 ancora da Francesco de Cesare[6].

Ma mentre il progetto della via del Duomo, pur tra molte difficoltà, fu realizzato parzialmente al 1880 (fino all’incrocio con Forcella, con rimaneggiamento delle planimetrie delle chiese di San Giorgio Maggiore e San Severo al Pendino nonché di palazzo Como), e completato (sino alla via Marina) soltanto durante i lavori di risanamento dopo il 1885[7], l’idea del corso Ferdinando[8], ma la più “ampia strada cittadina”, così definita nei documenti storici, rimarrà soltanto sulla carta.

Tra queste due grandi strade in rettifilo che lambivano la sede arcivescovile con piazze e spazi pubblici (carrozzabili e pedonali, destinati alle attività commerciali), nel corso degli anni viene proposto anche un prolungamento della via Duomo sino a Capodimonte, attraverso l’area dei Miracoli e la collina di Miradois (alle spalle del borgo della Sanità). Si configurava così Una strada rettilinea lunga, un asse longitudinale che attraversava tutta la città, dalla Marina a Capodimonte[9].

Per giungere sino al “Museo Farnesiano”, uno dei primi Siti Reali del XVIII secolo, si pensava di creare un sistema di spianate, di piazze e larghi e molto probabilmente, nelle piazze porticate e nei nuovi spazi pubblici, avrebbero trovato posto altre sculture e composizioni celebrative, così come il progetto neoclassico di Antonio Niccolini al Tondo di Capodimonte (terminale del corso Napoleone, ora Amedeo di Savoia), dove con un obelisco (non realizzato) doveva segnare un fulcro visivo prospettico.

Antonio Francesconi e Luigi Cangiano nello spazio porticato della piazza Duomo, che rappresenta una chiara citazione neorinascimentale, fanno realizzare nelle patere poste nei pennacchi degli archi a tutto sesto, bassorilievi che raffigurano i principali personaggi della cultura italica e partenopea (da Giambattista Vico a Salvator Rosa)[10], rimarcando ancora una volta l’importanza dell’elemento decorativo e celebrativo.

La piazza davanti al Duomo resterà incompleta – per una controversia giuridica attivata dai padri Girolamini, contrari al previsto esproprio forzoso – e pertanto realizzata con i portici solo ai lati della Cattedrale; mentre la parte terminale della facciata del complesso oratoriano, ad angolo con la via San Giuseppe dei Ruffi, sarà sistemata intorno al 1869 dagli architetti Francesco Giura e Leopoldo Scognamiglio, così come riportato in un disegno[11], dove accanto alla facciata dell’edificio di proprietà dei religiosi, è riportata anche l’ipotesi di campata del progetto di Francesconi e Cangiano, che avevano ipotizzato una soluzione unitaria.

L’intera composizione architettonica si adeguava comunque all’antica facciata della Cattedrale e i prospetti degli edifici laterali risultavano proporzionati rispetto al disegno delle torri laterali, avanzate rispetto alla zona di ingresso. Il successivo intervento di ‘rinnovazione’ della facciata, voluto dal cardinale Guglielmo Sanfelice intorno al 1875, sull’esempio di analoghi interventi compiuti in Italia secondo una tendenza che privilegiava il gusto neo-medievalista (gotico o romanico), sarà portato a termine soltanto nel 1905, in seguito a lunghe vicissitudini[12]. Si alterneranno all’opera numerosi tecnici: Errico Alvino, autore del progetto iniziale, già impegnato per il concorso della facciata del duomo di Firenze, e dopo la sua morte (1876), Giuseppe Pisanti (1826-1913) e Nicola Breglia (1834-1912), che realizzeranno l’opera, successivamente controllata dagli architetti “commissari” Michele Ruggiero (1811-1900) e Giovanni Rossi.

Il percorso dei lavori per la via Duomo sarà piuttosto lungo sia per le difficoltà di esproprio che per la sovrapposizione di progetti diversi, tra l’altro in stretta relazione. Nel 1860 con un decreto di Francesco II di Borbone, confermato poi da una nota del dittatore pro tempore Giuseppe Garibaldi, si diede continuità operativa al progetto del Cangiano e del Francesconi, i quali furono confermati direttori dei lavori. La larghezza della via fu ribadita per la misura di 60 palmi (circa 15 metri), iniziando così pratiche di esproprio e indennizzo per tracciare il nuovo asse viario; l’appalto dei lavori fu assegnato con tratti di strada di uguale lunghezza agli imprenditori Giuseppe de Strussenfeld e a Gaetano d’Errico.

Anche l’edilizia residenziale privata presenta caratteri artistici piuttosto interessanti che testimoniano il passaggio da un’impostazione classicista a segni e decorazioni dal carattere più eclettico. Infatti il versante superiore orientale, che doveva riproporre un porticato lineare sino all’incrocio con via Foria, sarà invece completato con la costruzione di sei blocchi edilizi molto curati all’interno e nei cortili, attribuibili proprio all’opera di Antonio Francesconi (1867-70). Si tratta di nuovi edifici residenziali multipiano con cortine continue caratterizzate da regolari teorie di finestre e balconi aderenti nel disegno ai “Precetti d’Arte” indicati dal Consiglio Edilizio. Gli androni con volte a botte e decorazioni a stucchi e le scale aperte (tipiche della tradizione partenopea), con elementi classicheggianti e infissi lignei tipici dell’arte ottocentesca, conferiscono agli interni un aspetto nobile, consono al nuovo gusto borghese, e rappresentano la cifra della nuova produzione architettonica e urbana del periodo postunitario. Ai piani terra dei nuovi edifici, contrassegnati da bugnati e/o listati, si aprivano i vani delle botteghe che, nelle architravi, recavano riquadri e cornici in stucco per accogliere l’insegna del negozio.

La via del Duomo, il primo rettifilo napoletano dai caratteri eclettici, rimarrà comunque interrotta sino al palazzo Como e alla chiesa di San Severo al Pendino, restando incompleta rispetto alle idee originarie. Bisognerà attendere l’intervento compiuto dalla ‘Società pel Risanamento’ dopo il 1884, perché si determini il collegamento definitivo con la via Marina, realizzando la piazza Nicola Amore all’incrocio con il corso Umberto I.

 

 

 

 

Bibliografia (in ordine cronologico)

  • E. Lauria, A. Francesconi, P. Francesconi, Memoria per un Piano Regolatore delle opere pubbliche della Città di Napoli, Napoli (30 ottobre) 1872.
  • E. Cirillo, Il proseguimento della nuova via del Duomo ed il Palazzo Como, Napoli 1879.
  • Pedone, Il Quattrocento ed il Palazzo Como, Napoli 1879.
  • Pedone, Il Quattrocento e Palazzo Como in «Atti del Collegio degli Ingegneri ed Architetti in Napoli», 2 (1880), pp. 36-49.
  • ’abside di S. Giorgio Maggiore in Napoli, «Relazione della Commissione municipale per la conservazione dei monumenti», Napoli 1881.
  • Colombo, Commissione per la conservazione dei monumenti municipali. Lavori compiuti dal giugno 1874 a tutto l’anno 1898. Relazione del commissario incaricato cav. Antonio Colombo letta nell’adunanza ordinaria del 22 dicembre 1899, Napoli 1900.
  • Miola, La facciata del Duomo di Napoli, Napoli 1905.
  • F. Strazzullo, Saggi storici sul Duomo di Napoli, Napoli 1959.
  • G.C. Alisio, Lamont Young. Utopia e realtà urbana nell’urbanistica napoletana dell’Ottocento, Officina Edizioni, Roma 1978.
  • Buccaro, Istituzioni e trasformazioni urbane nella Napoli dell’Ottocento, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1985.
  • G.C. Alisio, Napoli nell'Ottocento, Electa Napoli, Napoli 1992.
  • Buccaro, Opere pubbliche e tipologie urbane nel Mezzogiorno preunitario, Electa Napoli, Napoli 1992.
  • P. Rossi, Sulla chiesa delle Crocelle ai Mannesi in Napoli, in «Campania Sacra», 23 (1992) pp. 313-320.
  • Civiltà del’Ottocento. Architettura e urbanistica, a cura di G.C. Alisio, catalogo mostra, Electa Napoli, Napoli 1997.
  • P. Rossi, Antonio e Pasquale Francesconi. Architetti e urbanisti nella Napoli dell’Ottocento, Electa Napoli, Napoli 1998.
  • G.C. Alisio, A. Buccaro, Napoli millenovecento. Dai catasti del XIX secolo ad oggi: la città, il suburbio, le presenze architettoniche, Electa Napoli, Napoli 2000.
  • P. Rossi, Il quartiere Museo a Napoli: una soluzione per la residenza borghese nella seconda metà dell’Ottocento. Disegni inediti e nuove acquisizioni, in «Annali dell’Università Suor Orsola Benincasa», 2010, pp. 175-208.
  • P. Rossi, Trasformazioni urbane e rappresentazioni monumentali: progetti e traslazioni, in Il Bello o il Vero. la scultura napoletana del secondo Ottocento e del primo Novecento, a cura di I. Valente, Napoli 2014, pp. 107-114.
  • Palazzo Como a Museo Filangieri. Storia, tutela e restauro di una residenza del Rinascimento a Napoli, a cura di A. Ghisetti Giavarina, F. Mangone, A. Pane, Napoli 2019.

 

[1] «Napoli è una delle più antiche città di’Europa. I suoi luoghi conservano traccia di preziose tradizioni di incomparabili fermenti artistici e di una storia millenaria. Nelle sue piazze ed edifici è nata e si è sviluppata una cultura unica al mondo che diffonde valori universali per un pacifico dialogo tra i popoli. Il suo centro storico inserito dal 1995 nella lista del Patrimonio Mondiale UNESCO appartiene all’Umanità intera.» Il testo è riportato in una lapide collocata a piazza del Gesù dal Comune di Napoli nel 1997.

[2] F. Strazzullo, Saggi storici sul Duomo di Napoli, Napoli 1959, p. 75. ASN

[3] Come riferimento per una bibliografia essenziale si veda: G.C. Alisio, Lamont Young. Utopia e realtà urbana nell’urbanistica napoletana dell’Ottocento, Officina Edizioni, Roma 1978; A. Buccaro, Istituzioni e trasformazioni urbane nella Napoli dell’Ottocento, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1985; G.C. Alisio, Napoli nell'Ottocento, Electa Napoli, Napoli 1992; A. Buccaro, Opere pubbliche e tipologie urbane nel Mezzogiorno preunitario, Electa Napoli, Napoli 1992; Civiltà dell’Ottocento. Architettura e urbanistica, a cura di G.C. Alisio, catalogo mostra, Electa Napoli, Napoli 1997; P. Rossi, Antonio e Pasquale Francesconi. Architetti e urbanisti nella Napoli dell’Ottocento, Electa Napoli, Napoli 1998; G.C. Alisio, A. Buccaro, Napoli millenovecento. Dai catasti del XIX secolo ad oggi: la città, il suburbio, le presenze architettoniche, Electa Napoli, Napoli 2000; P. Rossi, Il quartiere Museo a Napoli: una soluzione per la residenza borghese nella seconda metà dell’Ottocento. Disegni inediti e nuove acquisizioni, in «Annali dell’Università Suor Orsola Benincasa», 2010, pp. 175-208; P. Rossi, Trasformazioni urbane e rappresentazioni monumentali: progetti e traslazioni, in Il Bello o il Vero. la scultura napoletana del secondo Ottocento e del primo Novecento, a cura di I. Valente, Napoli 2014, pp. 107-114; Palazzo Como a Museo Filangieri. Storia, tutela e restauro di una residenza del Rinascimento a Napoli, a cura di A Ghisetti Giavarina, F. Mangone, A. Pane, Napoli 2019.

[4] Archivio di Stato di Napoli (d’ora innanzi ASNa), Ministero dell’Interno, III inventario, vol. 209, fasc. 273. Il documento, datato 16 giugno 1858, a firma dell'Intendente Presidente Carlo Cianciulli è indirizzata al Direttore del Ministero dell'Interno che autorizza la missione prevista, secondo questa richiesta: «Sig. Direttore, L’Architetto Commissario Onorario Antonio Francesconi domanda un permesso di tre mesi per recarsi prima a Genova col Principe di Angri, il quale deve accomodare vari interessi circa una vasta proprietà che possiede in comune col Principe Colonna, e quindi fare una corsa a Parigi per osservare tutte le nuove grandi opere di quella Città (…)».

[5] Cfr. P. Rossi, Antonio e Pasquale Francesconi. Architetti e urbanisti nella Napoli dell’Ottocento, Napoli 1998, p. 35.

[6] Archivio di Stato di Napoli (d’ora innanzi ASNa), Ministero Interno, III Inventario, vol. 377/II, fasc. 33.

[7] Cfr. P. Rossi, Antonio e Pasquale Francesconi…, cit., pp. 34-45.

[8] Cfr. ASNa, Ministero Interno, III Inventario, vol. 206, fasc. 168. Nel documento si legge: «(...) La strada che andrà ad aprirsi da Foria al mare progettata dai Signori Cangiano e Francesconi, e che ha in mira principale dare alla Cattedrale un accesso facile e nobile potrebb’esser detta Strada del Duomo. L’altra che la prelodata M[aestà].S[ua]. comandava fosse aperta similmente da Foria al mare sotto la direzione dei Signori Bausan e Giordano, e che per ampiezza, magnificenza, comodo e dirittura non avrà eguale in Napoli potrebb’esser chiamata colla denominazione di Corso Ferdinando (...).»

[9] Cfr. E. Lauria, A. Francesconi, P. Francesconi, Memoria per un Piano Regolatore delle opere pubbliche della Città di Napoli, Napoli (30 ottobre) 1872, p. 66.

[10] Nei portici ai lati della Cattedrale nei medaglioni in bassorilievo sono realizzati i profili di: Torquato Tasso, Salvator Rosa, S. Tommaso d’Aquino, Gaetano Filangieri, Giovan Battista della Porta, Antonio Solario Lo Zingaro, Giambattista Vico. Uno dei tondi sul lato destro del Duomo è vuoto.

[11] Cfr. ACSR, Ministero Pubb. Istruz. Dir. Gen. Antichità e BB. AA., I Vers., B. 494, f. 567. La vicenda dei lavori alla facciata è descritta da R. G. Colella, La tutela a Napoli dopo l’Unità d’Italia e l’opera della Commissione conservatrice provinciale, in Tutela e restauro dei monumenti in Campania 1860-1900, a cura di G. Fiengo, Napoli 1993, pp. 117-118.

[12] A. Miola, La facciata del Duomo di Napoli, Napoli 1905, p. 18. Sull’argomento cfr. anche ASDN, Pastorali e notificazioni, Card. G. Sanfelice, 9, (3/12/1878), “Per il restauro della facciata del Duomo”; Pastorali e notificazioni, Card. G. Prisco, 11 (7/12/1898), “Notificazione per la facciata del Duomo”; e ancora F. Strazzullo, La facciata del Duomo di Napoli, in «Campania Sacra», 5 (1974) pp. 156-199; Idem, Saggi storici sul Duomo..., op. cit.; R. Di Stefano, La cattedrale di Napoli. Storia, restauro, scoperte, ritrovamenti, Napoli 1974.

Foto di Mario Ferrara