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Il restauro della chiesa seicentesca di Donnaregina a Napoli e l’istituzione del Museo diocesano
Luigi Veronese
Il restauro della chiesa trecentesca di Donnaregina, condotto a cavallo degli anni Venti e Trenta del Novecento dal soprintendente Gino Chierici, ebbe come principale conseguenza sulla chiesa seicentesca la riduzione del coro barocco, che venne alterato nella propria configurazione originaria per far posto alla ricostruzione dell’abside medievale. Prima di tale intervento le due chiese costituivano un unico aggregato architettonico che consentiva il passaggio dal coro della chiesa “nuova” a quello dell’edificio trecentesco, dal quale si raggiungeva poi l’appartamento della badessa. Il piano terra di Donnaregina “vecchia” era utilizzato come deposito del convento, separato dal livello superiore dal prolungamento del solaio del coro realizzato dopo la costruzione del nuovo edificio ecclesiastico. Nel 1861, con l’Unità d’Italia, fu decretata la soppressione degli ordini religiosi e le monache che popolavano il convento furono costrette a trasferirsi nei monasteri di Santa Chiara e di Santa Maria Donnalbina. La chiesa trecentesca iniziò così il suo lungo obliò, fatto di usi incongrui e dannosi che aggravarono il suo stato di conservazione, mentre l’edificio barocco passò al Fondo per il Culto, che ne cedette l’uso provvisorio prima all’Arciconfraternita di S. Maria della Visitazione e poi, nel 1871, al Comune di Napoli.
La chiesa, realizzata tra il 1620 e il 1649, su progetto di Giovanni Guarini, presenta una facciata sopraelevata rispetto al piano stradale del Largo Donnaregina con il quale è collegato tramite una scalinata in piperno e marmo. Il fronte è ripartito in due ordini con lesene corinzie marmoree e presenta un timpano di coronamento. Al primo ordine si apre un portale con colonne corinzie al di sopra delle quali poggia un timpano arcuato spezzato con una piccola edicola al centro; ai lati del prospetto sono ricavate due nicchie entro le quali sono collocate sculture datate 1647 che raffigurano Sant'Andrea e San Bartolomeo. Al secondo ordine, in corrispondenza delle nicchie laterali e del portale d'accesso, si aprono tre finestre inquadrate all'interno di semplici decorazioni marmoree.
L'interno è a navata unica senza transetto con sei profonde cappelle, tre per lato, ornate con marmi barocchi.
La volta a botte lunettata è decorata con stucchi dorati tipici del barocco napoletano e fu affrescata da Francesco Maria De Benedictis nel 1654.
L'altare maggiore in breccia di Sicilia e verde antico del presbiterio è opera di Giovanni Ragozzino e Giovanni di Filippo su disegno del Solimena; ai lati si trovano due grandi dipinti di Luca Giordano, Nozze di Cana e Moltiplicazione dei pani e dei pesci, entrambi firmati e datati 1705 e considerati le ultime opere dell'artista napoletano.
La cupola conserva resti di affreschi di Agostino Beltrano del 1654, il quale riprese scene del Paradiso al centro, figure allegoriche tra le finestre del tamburo e il Cristo e la Maddalena e i Santi Giovanni Battista ed Evangelista sui lunettoni; i pennacchi vedevano invece ritratti quattro evangelisti, poi trafugati dopo il 1950 quando furono staccati e messi in deposito per effettuare lavori di consolidamento della struttura.
Ai lati del presbiterio due porte conducono ad altri ambienti della chiesa tra cui spiccano la sacrestia e la sala del comunichino, che succedendosi tra loro ruotano alle spalle della zona absidale. Da questi corridoi è possibile giungere ad altre sale del secondo piano della chiesa dove, oltre ai cori delle monache e delle converse, è possibile visitare ulteriori ambienti.
La sala del comunichino, dietro la parete a sinistra del presbiterio, vedeva invece esposta prima dell'intervento del Chierici il monumento funebre della regina Maria d'Ungheria; la sala è decorata inoltre da affreschi nella volta sul Miracolo della manna del 1729 ancora del Cirillo e presenta alle pareti sculture e monumenti sepolcrali nell'ambito del rinascimento napoletano, tutti provenienti dalla chiesa Vecchia e solo successivamente spostati in questa nuova sede assieme al sepolcro di Maria d'Ungheria, che invece poi ritornò appunto nella sua collocazione originaria.
Entrambi i cori della chiesa sono posti al piano superiore della stessa, raggiungibili da una scala dietro la zona absidale; il coro delle converse è posto sopra la controfacciata della chiesa e conserva in maniera pressoché frammentaria affreschi di Luca Giordano del 1687 circa, mentre il coro delle monache è posto in linea d'aria al livello superiore della zona absidale. Da qui, attraverso una porta ornata da un bassorilievo marmoreo, tutt’ora esistente, si accedeva al coro della chiesa trecentesca che si presentava in continuità con l’edificio del XVII secolo; il ciclo di affreschi sulla volta del coro con la Vita di San Francesco ed i santi Andrea, Gennaro e Bartolomeo sono datati 1684 e sono firmati da un giovane Solimena, così come la grande scena frontale sopra la porta che un tempo portava al complesso vecchio che raffigura il Miracolo delle rose e che costituisce di fatto il primo affresco di grandi dimensioni del pittore.
La presenza di tale affresco nel coro seicentesco aveva determinato una questione di rilevante interesse nel progetto di separazione delle due chiese attuato da Gino Chierici. L’affresco firmato da un giovane e inesperto Solimena era stato, infatti, ritoccato dall’autore stesso con la tempera, il che rendeva - com'è noto - impossibile staccarlo col metodo dello strappo. Tale operazione era necessaria per arretrare la parete di fondo del coro seicentesco e liberare l’abside trecentesca della chiesa adiacente. Non potendo quindi ricorrere allo smontaggio e rimontaggio dell’affresco fu progettato dal soprintendente il complesso artificio tecnico che portò alla traslazione verso sud della parete terminale della chiesa “nuova”.
L’intervento, ampiamente discusso dalla letteratura scientifica e da Chierici stesso che lo raccontò nel suo volume sulla chiesa trecentesca di Donnaregina, determinò la demolizione della volta a padiglione del coro nuovo, la sua ricostruzione in forme ridotte, a crociera, e il trasporto degli affreschi esistenti in alcune sale restaurate della chiesa vecchia. L’intervento produsse altresì l’eliminazione, su ciascun lato del coro, di una delle tre finestre esistenti.
La chiesa seicentesca di Donnaregina, in tale nuova configurazione rimase aperta al pubblico fino al 1972, quando fu chiusa al pubblico e lasciata in una lunga fase di abbandono che ne aggravò lo stato di conservazione. Importanti lavori di restauro furono effettuati in più occasioni nei decenni successivi, anche con lo scopo di destinare la chiesa a usi diversi da quelli religiosi, ma rimasero progetti irrealizzati o incompiuti fino all’intervento del 1995-97 che portò alla completa riabilitazione della chiesa e alla sua riapertura come Museo diocesano della Curia di Napoli, destinazione che tutt’oggi conserva.
Il primo intervento importante sull’edificio dopo la sua chiusura fu finanziato dalla Cassa per il Mezzogiorno ed eseguito, a partire dal 1977, dall’Ufficio del Genio civile del Comune di Napoli in collaborazione con la soprintendenza per i beni architettonici e ambientali della Campania, diretta da Mario Zampino. L’intervento prevedeva la destinazione della chiesa ad uso pubblico quale “Auditorium e centro di cultura musicale”, escludendo, in accordo con la Curia di Napoli, un riutilizzo dell’edificio per ragioni di culto. Tale destinazione d’uso risultava centrale nel progetto di restauro della chiesa, non solo per quanto riguardava la riabilitazione architettonica dell’edificio, ma anche di tutta l’area a nord-est di via Duomo che attraverso la collocazione di un istituto culturale poteva mirare a una riqualificazione urbana, anche in termini di condizione sociale.
Prima di tali lavori la chiesa si trovava in uno stato di abbandono che aveva notevolmente ampliato gli effetti del degrado, dovuti principalmente all’umidità e alle acque piovane che filtravano dalla copertura; un problema che non era stato del tutto risolto dall’intervento che a partire dal 1973 aveva rifatto le pluviali e gli intonaci su vico Donnaregina, che si presentavano fortemente compromessi.
Il primo lotto dei lavori realizzati comportò lo smontaggio completo della struttura di copertura della navata centrale, realizzata con un’orditura in legname, che si presentava fortemente compromessa dalle acque filtranti dal tetto. Le condizioni di degrado degli elementi di sostegno esistenti non permettevano, infatti, una loro conservazione e l’intervento di sostituzione totale venne ritenuto necessario anche in ragione di una prassi molto consolidata in quegli anni. Il nuovo tetto fu realizzato con una struttura metallica reticolare che reggeva una lamiera grecata con masso, rete elettrosaldata e nuova impermeabilizzazione. Tale copertura fu ancorata a un cordolo di cemento armato che chiudeva in sommità l’intero perimetro della chiesa e garantiva il ripristino del sistema scatolare. Anche le murature di sostegno dell’edificio furono consolidate tramite l’uso di cemento che venne iniettato nel paramento tufaceo originario per l’intero perimetro dell’edificio.
L’interno della chiesa vide il restauro degli stucchi che erano stati fortemente danneggiati durante gli anni di abbandono, anche per l’azione del guano degli uccelli lasciati liberi di volare all’interno. Tali elementi furono integrati e spesso interamente rifatti. Per quanto riguarda la pavimentazione, infine, l’originale rivestimento in piastrelle ceramiche aveva in parte retto agli effetti del tempo e venne smontato per garantire il ripristino del masso in gesso e segatura. Anche gli ambulacri laterali furono pesantemente alterati, con la rimozione dei pavimenti e la spicconatura degli intonaci.
Il secondo lotto comportò anche lo smontaggio della struttura di copertura absidale con l’orditura originale in legname che reggeva la volta a incannucciata affrescata, particolarmente compromessa dalle infiltrazioni piovane. Il nuovo tetto, anche in questo caso, venne realizzato con una struttura reticolare metallica con lamiera grecata e masso armato.
Anche la cupola fu consolidata con iniezioni di cemento nella muratura tufacea e le lastre di piombo di rivestimento, che non garantivano più un’adeguata impermeabilizzazione furono sostituite con nuovi elementi dello stesso materiale.
La nuova destinazione d’uso della chiesa prevedeva la realizzazione di appositi spalti per il pubblico da collocare anche negli ambienti superiori della chiesa. Oltre alla sistemazione di poltroncine in fila nella navata principale – posti su un assito in legno che avrebbe coperto le piastrelle di maioliche ottocentesche della pavimentazione esistente – vennero progettati, infatti, pedane inclinate sui due cori, contenenti file di sedute per il pubblico degradanti verso il nuovo palco posto sotto la cupola centrale.
Oltre al restauro degli arredi fissi, infine, fu progettato, in quell’occasione anche un ascensore che avrebbe dovuto collegare facilmente il livello zero con i due cori e i deambulatori della chiesa, dove erano previsti i locali tecnici e i servizi igienici.
Tali lavori non furono mai portati a termine e nonostante raggiunsero l’obiettivo primario di consolidare la chiesa, lasciarono l’edificio senza una destinazione d’uso e con la maggior parte delle finiture ancora da realizzare. In particolare, la navata principale restava priva del pavimento e alcune opere, come i bagni e l’ascensore, furono realizzati solo parzialmente. Restavano nello stato di abbandono in cui erano, invece, le opere d’arte pittoriche mobili, intenzionalmente lasciate fuori dal progetto di consolidamento della chiesa.
Il terremoto dell’Irpinia del Novembre 1980 provocò diversi danni anche alla chiesa di Donnaregina nuova e probabilmente fu tra le cause di interruzione dei lavori che erano in corso. Negli anni successivi l’edificio subì numerosi interventi che interessarono sia le parti architettoniche che gli arredi fissi e gli affreschi. Molte perizie, conservate presso l’archivio storico della Soprintendenza, sono riferite principalmente alla messa in sicurezza delle opere d’arte e a locali interventi di consolidamento per danni dovuti al sisma, diretti dall’architetto della soprintendenza Adolfo De Pertis. In particolare, già nei primi mesi del 1981 vennero coperte da un’impalcatura in legno le due grandi tele di Luca Giordano poste ai lati dell’altare maggiore, con lo scopo di proteggerle dalle infiltrazioni di acqua e da ulteriori cadute di materiale dal soffitto.
Nuovi importanti lavori furono affidati nel 1987 a Roberto di Stefano, in quegli anni direttore della Scuola di specializzazione in beni architettonici e del Paesaggio dell’Università di Napoli, ospitata dal 1975 nella chiesa trecentesca di Donnaregina, sulla quale già dal 1982 l’ingegnere napoletano stava conducendo lavori di remissione dai danni del sisma.
L’incarico a Di Stefano era ancora finalizzato a dare alla chiesa una destinazione d’uso pubblica, per ospitare grandi riunioni, concerti, convegni ecc. L’edificio avrebbe dovuto presentare a tal fine due uscite di sicurezza per i circa 336 posti a sedere previsti: una sulla piazza del vescovato e l’altra sul vicolo Donnaregina. Si immaginava, inoltre, già in questa occasione, la destinazione di alcuni locali secondari della chiesa, come la sacrestia, la sala de comunichino e i locali del matroneo, ad esposizione di dipinti e arredi sacri provenienti da altri edifici di culto di Napoli e dalla Cattedrale.
Si trattava di intervenire principalmente sulle parti di finitura interne ed esterne lasciate incompiute dal restauro del 1977 e di consolidare i nuovi danni provocati dal terremoto del 1980. Il primo stralcio delle opere prevedeva una spesa di 470.000.000 Lire, sui fondi della legge 219/1981 per la sistemazione del sagrato della chiesa e dei locali interni.
Tali opere prevedevano il rifacimento della pavimentazione del sagrato esterno con la realizzazione dell’impermeabilizzazione del massetto e la messa in opera di piastrelle di cotto toscano; veniva previsto altresì il restauro della balaustra con integrazioni in stucco e la sistemazione della cancellata in ferro.
Per quanto riguarda l’interno della chiesa veniva previsto il rifacimento degli intonaci della navata, del transetto e dell’abside, con particolare riguardo alle zone ricostruite con muratura di mattoni tra la navata e il transetto e la ripresa delle cornici in stucco.
Nella navata era prevista, infine, la posa in opera del pavimento in marmo policromo (bianco statuario, rosso di Francia e Giallo di Siena) e il restauro degli esistenti pavimenti.
Tra le opere da eseguire vi era anche il restauro del portale di ingresso e il ripristino del portoncino di ingresso su vico Donnaregina, con la ricca balaustra in piperno che doveva fungere da uscita di sicurezza per la chiesa.
Nella perizia generale veniva incluso il restauro e la sistemazione di tutti i locali annessi all’edificio, nonché il restauro della facciata e la sistemazione dei locali ipogei.
Tali lavori che furono iniziati con l’apporto della ditta Pouchin di Roma, non furono mai portati a termine, ma videro ugualmente importanti esiti soprattutto relativi ad alcune indagini archeologiche che nell’occasione vennero effettuate al di sotto della navata centrale e che misero in luce la presenza di un edificio termale riutilizzato in epoca medievale.
L’ultima importante campagna di lavori sulla chiesa seicentesca di Donnaregina ha avuto inizio nel 1995, sotto la supervisione della soprintendenza diretta da Giuseppe Zampino e con la redazione del progetto di restauro ad opera del funzionario architetto Tommaso Russo. Tali lavori condussero alla riapertura della chiesa nel febbraio del 1997, dopo venticinque anni di chiusura e all’inaugurazione del Museo diocesano della Curia di Napoli.
La nuova fase di lavori ha visto, in primo luogo, il completamento degli interventi di impermeabilizzazione del tetto e di irreggimentazione delle acque piovane, con il consolidamento della grande volta della navata e dei solai di copertura delle cappelle laterali. Il pavimento del presbiterio, che presentava gravi mancanze delle tarsie e notevoli fessurazioni di quelle presenti fu restaurato tramite il consolidamento del massetto e l’integrazione delle piastrelle mancanti. La facciata, interessata da notevoli fenomeni di umidità, era rimasta sostanzialmente immutata a seguito dei danni del terremoto del 1980 e venne consolidata con interventi di sarcitura delle lesioni e di irreggimentazione delle acque piovane. L’intonaco venne ripreso, con particolare attenzione al ripristino delle coloriture originali delle lesene e dei pannelli murari, rintracciate tramite analisi stratigrafiche.
Di notevole interesse, inoltre, il sistema di difesa dell’edificio dall’umidità di risalita, che venne realizzato, in collaborazione con l’impresa, tramite un sistema di canalizzazione in pvc sotto-traccia che risolse definitivamente il problema dell’allontanamento delle acque del suolo dall’edificio.
Molti degli sforzi progettuali sono stati destinati, infine, al restauro dei dipinti, con particolare riferimento alle due grandi tele accanto all’altare di Luca Giordano che erano rimaste coperte da impalcati di legno sin dal terremoto del 1980 e agli affreschi della volta, che si presentavano fortemente decoesi.
In quell’occasione venne aperto anche il vano di passaggio nella vanella creata di Chierici tra le due chiese che oggi permette di collegare il percorso museale della chiesa nuova con la chiesa trecentesca.
La chiesa seicentesca di Donnaregina venne inaugurata nel febbraio del 1997 con un nuovo allestimento museale e con i servizi al pubblico pienamente funzionanti.
Il Museo diocesano di Napoli fu inaugurato, per volontà dell'arcivescovo cardinale Crescenzio Sepe, il 23 ottobre 2007 presso la chiesa di Donnaregina Nuova con l'intento di raccogliere le opere provenienti in parte dalle stesse chiese dell’antico complesso conventuale e dai depositi del palazzo arcivescovile, dove in origine il museo aveva sede, o da altre chiese di Napoli chiuse. Il museo è gestito dall'arcidiocesi di Napoli, con la sorveglianza del Polo museale di Napoli e prevede un percorso espositivo che interessa entrambe le chiese del complesso dove sono esposti dipinti appartenenti prevalentemente alla scuola napoletana, con opere di autori quali Luca Giordano, Francesco Solimena, Massimo Stanzione, Aniello Falcone e Andrea Vaccaro.
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Foto di Mario Ferrara
Progetto: ARCCA - ARchitettura della Conoscenza CAmpana - ECOSISTEMA DIGITALE PER LA CULTURA