Dall'archeologia, all'arte sacra, dal Barocco al Contemporaneo: con i suoi 1200 metri, Via Duomo rappresenta una delle strade a più alta densità di musei del mondo.
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Chiesa di San Severo al Pendino
Di Massimo Visone
La chiesa di San Severo al Pendino è collocata sul versante meridionale di via Duomo ed è stata oggetto di diverse trasformazioni, sia di carattere architettonico che urbanistico. La conformazione attuale è frutto di un progetto di Giovan Giacomo di Conforto – uno degli esponenti di spicco dell’architettura della Controriforma – e dell’intervento postunitario di allargamento della sezione stradale prima e di risanamento dei quartieri bassi poi. In questa sede cercheremo di ricostruire la storia di questo edificio: dall’antica chiesa di Santa Maria a Selice a quella moderna dedicata a uno dei santi patroni di Napoli, dalla soppressione degli ordini nel 1809 alla destinazione museale del sito nella città contemporanea.
Premessa
A Napoli, l’intensa urbanizzazione, l’alterazione dell’assetto territoriale, una diversa mobilità e la variazione dei riferimenti culturali hanno mutato la comune percezione dello spazio urbano, ma, soprattutto, hanno tradito una confidenza fisica con la sua orografia, le cui tracce spesso sopravvivono solo in alcuni segni che hanno resistito al corso naturale della storia, quali la toponomastica, o singolari elementi materiali, che solo un approccio di tipo archeologico ci consente di comprendere. Una puntuale decodifica della morfologia del suolo e delle architetture può aiutare la comprensione delle dinamiche insediative, delle qualità ambientali e delle amenità del sito. Ciò è vero innanzitutto per quei luoghi collocati in aree di margine della città antica, sui promontori, lungo i crinali o a ridosso delle mura, come nel nostro caso. L’evoluzione urbana ha visto questi terreni scoscesi sistemati prima ad aree agricole, poi a giardini, infine frammentati o venduti, trasformando mura, fabbriche, terrazzamenti e terrapieni in fortificazioni, palazzi, chiese, conventi, cortili, chiostri e giardini di grande impatto vedutistico.
Il rinnovato interesse verso il centro storico di Napoli, le correnti politiche che investono su alcuni sistemi culturali, i più recenti studi su Palazzo Como e sulle opere del risanamento, l’opportunità di riflettere su un bene artistico e architettonico hanno spinto la ricerca a rendere intellegibile l’odierna chiesa di San Severo al Pendino, l’immediato contesto e il territorio circostante nel suo sviluppo storico, urbano e architettonico.
Santa Maria a Selice (844-1448)
Nel 1623, Cesare d’Engenio Caracciolo informa che una prima cappella intitolata a Santa Maria a Selice con annesso ospedale per i “poveri infermi” fu edificata in questo sito nell’844 a opera di Pietro Caracciolo, abate della vicina basilica di San Giorgio maggiore, costruita tra la fine del IV e il principio del V secolo e a cui la storia della nostra chiesa sarà a lungo intrecciata.
Nel 1444, in una bolla di Eugenio IV si legge che la fabbrica è in giuspatronato agli Acciapaccia: un’antica famiglia napoletana aggregata dal 1420 al Seggio di Portanova. Nel 1445 Nicola, Renzo e Ladislao Acciapaccia ottengono dall’arcivescovo il consenso per affidare l’edificio al chierico Francesco Latro. Nel 1448 il complesso versa in stato di rovina e la famiglia concede la proprietà ai napoletani, che dedicano la chiesa a san Severo.
Nulla sappiamo sulla conformazione della prima cappella e del relativo ospedale d’età altomedievale, ma è possibile tentare di ricostruirne il contesto. Santa Maria a Selice sorgeva a mezzogiorno della città, nella contrada che le dava il nome, sita a ridosso del primo tracciato della città greco-romana, su di un pianoro caratterizzato da una linea di demarcazione naturale ben definita. I collegamenti tra la città a monte e i quartieri a valle erano possibili attraverso una serie di ‘penninate’. In tal senso, la consultazione della Pianta del Comune di Napoli (1872-1880) è un utile strumento per analizzare l’orografia del sito prima del risanamento, grazie alla puntuale indicazione delle quote stradali.
Sul fronte meridionale, questo confine naturale si dispiega da via Sedile di Porto, orientativamente dal convento di Santa Maria la Nova, fino al monastero dei Santi Severino e Sossio, qui ripiega verso l’interno a formare un’ansa fino a San Giorgio maggiore. Si configura così un profilo irregolare che partecipa alla fortificazione di Napoli.
Il tessuto conserva il tracciato compatto e irregolare della città medievale cresciuta sulle mura meridionali, al di là delle quali si apriva a valle l’espansione dell’area portuale e commerciale, presso cui era la Sellaria, una delle strade moderne più belle e oggetto di un significativo intervento di riqualificazione a opera di Alfonso I d’Aragona iniziato nel 1456. A monte si erano insediati alcuni complessi monastici, mentre tutt’intorno si era stratificata un’edilizia civile di significativo interesse, tra queste si realizzano gradonate di attraversamento scavate in lunghi cavoni, come il pendino Santa Barbara, o appoggiate alla falesia di tufo, come quella antistante il complesso dei Santi Severino e Sossio, oggi malcelati allo sguardo contemporaneo.
In questa sede piace pensare che la nostra cappella potesse aprirsi sul sagrato antistante la chiesa di San Giorgio maggiore; questa si ergeva su di un podio preceduto da un ampio portico, che dominava il terrazzamento sito proprio a ridosso del salto di quota, mentre l’ospedale annesso a Santa Maria a Selice doveva trovarsi plausibilmente a monte.
San Severo al Pendino (1448-1809)
Nel 1448, rovinata Santa Maria a Selice, la famiglia Acciapaccia cede il complesso ai napoletani. Da questo momento, la cappella, viene retta da un’estaurita della chiesa di San Giorgio, cioè un’istituzione a scopo di beneficenza dipendente da laici e, grazie alle elemosine di alcuni devoti, è riedificata e dedicata a san Severo, vescovo di Napoli (357-400), fondatore della vicina chiesa di San Giorgio maggiore e santo patrono secondario della città. A questi, secondo la leggenda devozionale, è legato il primo dei miracoli della liquefazione del sangue di san Gennaro, così come è invece vero che per un periodo le celebrazioni furono svolte presso la basilica paleocristiana. Possiamo pertanto dire che la storia del culto di San Gennaro coinvolge anche questa tratto meridionale della strada.
Nel fervore assistenziale alimentato dalle istanze della Controriforma nacquero e si moltiplicarono a Napoli numerose istituzioni pie collegate alla formazione di congregazioni, scuole e ospedali a sostegno dei poveri. In continuità con i complessi religiosi nascevano o si riutilizzavano fabbriche finanziate da un crescente flusso di donazioni e di lasciti alimentati dall’assunto della salvezza dell’anima attraverso le opere caritatevoli.
In questo contesto nascono i banchi pubblici napoletani e San Severo fu coinvolta in questo fenomeno. Il 28 maggio 1583, infatti, qui si formò la compagnia del Santissimo Nome di Dio, composta da ventinove gentiluomini sotto la guida di fra Paolino da Lucca – a cui il vicario generale aveva concesso il complesso insieme ad altri domenicani nel 1575 – e per opera di Orazio Teodoro, un’opera pia per assolvere alla carità cristiana.
La prossimità all’antica basilica, presso cui era ospitato il più noto Monte de’ poveri, portò a una prima unione nel 1588 e alla nascita della Compagnia del Nome di Dio, del Monte de’ poveri e poi alla definitiva fusione nel 1599, conservando nel titolo la memoria delle rispettive origini (Monte dei Poveri del Sacro Nome di Dio).
Grazie alle attività di carità e alle iniziative di privati, come le elemosine del marchese d’Umbriatico della famiglia Bisballo, l’architetto Giovan Giacomo Conforto fu incaricato del rifacimento della chiesa, mentre nel 1587 fu acquisito il vicino palazzo Como adibito a convento sempre sotto la direzione di Conforto. L’attività di Giovan Giacomo Conforto è documentata tra il 1599 e il 1620; nel 1604 la chiesa è stata terminata, poi proseguono i lavori nel vicino convento.
C’è chi ha ipotizzato che gli interventi di ampliamento dell’edificio preesistente avessero potuto riguardare soprattutto la zona verso l’altare maggiore, sulla quale fu impostata la nuova cupola. “Potrebbero invece risalire al periodo rinascimentale le arcate in piperno che delimitano le cappelle laterali, a sesto pieno e sormontate da un’alta trabeazione, scandita da triglifi e ornata sulla parte superiore da una piccola cornice a ovoli. Risalenti al XV-XVI secolo appaiono anche i battenti lignei del portone principale, decorati da motivi geometrici”.
Si tratta di una chiesa disegnata nel pieno rispetto delle regole della Chiesa della Controriforma. Consiste di un impianto a croce latina inscritta in un rettangolo e con cupola e coperto con volta a botte, con undici cappelle, essendo la seconda a destra della navata occupata dalla porta minore, di cui due nella crociera; di prospetto è l’altare maggiore, alle cui spalle è sistemato il coro in un’ampia scarsella. A un’attenta analisi comparativa del partito decorativo sopradescritto, possiamo facilmente accostare il motivo di San Severo a quello utilizzato sul portale del Monte di Pietà, opera coeva di Giovan Battista Cavagna, presso cui aveva lavorato anche Conforto. Seppure si tratti di pilastri fasciati in pietra misti, la presenza del triglifo in testa al capitello e sulla chiave di volta dell’arco attesta una certa ascendenza linguistica di stampo manierista tra i due architetti, entrambi impegnati con cantieri legati a opere pie. Altrettanto ricorrente è la variazione di questo tema in altre chiese che si realizzano a Napoli a cavallo tra XVI e XVII secolo.
La chiesa risulta perfettamente funzionante nel 1692, ma era stata in parte rimaneggiata dopo i danni del terremoto del 1688 e contraddistinta da una scala esterna a doppia rampa con balaustra a volute in piperno, raffigurata in una delle litografie a colori di Raffaele D’Ambra (1899).
Giuseppe Sigismondo è l’ultimo autore che nella sua guida ci descrive la chiesa prima del decreto di soppressione. “Il Cappellone dalla parte della Epistola è dedicato alla B. Vergine del Rosario con un bel quadro. I marmi che vi si veggono colle statue, colonne, e’l bassorilievo che serve innanzi Altare sono del deposito di Gio[vanni] Alfonso Bisballo Marchese di Umbriativo figlio del Conte Ferdinando, e di Diana Caracciolo, che militò sotto Carlo V, e Filippo Secondo, qual deposito era dietro il maggiore Altare del Coro; ma nel tremuoto del 1688, avendo patito di molto la Chiesa, bisognò toglierla il deposito: i marmi furono adattati per ornamento di questa Cappella, ed il tumulo colla statua giacente del Marchese fu situato nel lato della Espistola sul vano che introduce alla nave delle Cappelle.
Nella Sagrestia possono osservarsi sei opere in cera della celebre Caterina de Julianis, cioè un Cimiterio, una Madonna col Bambino in braccio, altra col Bambino in atto di dormie, un Ecce Homo a mezza figura, una S. Rosa di Lima, ed un S. Domenico che disputa cogli Eretici” [Sigismondo 1788, 105-106]. Gli oggetti d’arte che l’arredavano sono in parte presenti, in parte conservati in varie sedi e altri ancora non identificati.
Si segnala all’esterno, sul fianco destro della chiesa, al n. 13° di piazzetta Paparelle al Pendino un piccolo portale ornato da un tondo scolpito con la raffigurazione del busto del santo vescovo titolare.
La soppressione
Con la soppressione dell’ordine dei frati minori osservanti, nell’agosto del 1809, il complesso ebbe funzione di carattere civile, fino al 1845, con il ritorno dei religiosi.
Il 18 settembre 1860 Giuseppe Garibaldi firma il decreto con il quale si dà il via alla realizzazione di progetti in massima parte risalenti al periodo borbonico, come il taglio nel centro storico per l’allargamento dell’odierna via Duomo fino a via San Biagio dei Librai. Il prolungamento dell’intervento nel tratto meridionale, che consente alla nuova strada l’attraversamento di tutto il centro storico, avverrà con il più noto intervento del risanamento con la legge speciale per Napoli del 1885.
La chiesa fu coinvolta nella rettifica del versante occidentale della strada e venne privata delle prime due cappelle e della facciata barocca, sostituita con una in stile neorinascimentale. Dell’antico ambiente circostante sopravvivono infatti solo i due palazzi fronteggianti la chiesa.
Nel 1879, invece, furono avviati i lavori per l’apertura del tratto meridionale di via Duomo che comportarono il completo stravolgimento di questa parte della città: fu innalzata la quota stradale, soppressa la scalinata di accesso alla chiesa, amputate le chiese di San Giorgio Maggiore e di San Severo, rispettivamente della navata destra e del campanile pensile la prima e della parte anteriore la seconda; venne inoltre demolito il complesso conventuale.
Nel Novecento ha subito diversi riusi, come la trasformazione in rifugio antiaereo nella Seconda guerra mondiale.
Il ruolo museale
Nel 1999, in occasione del Maggio dei Monumenti, la chiesa di San Severo al Pendino riapre al pubblico dopo cinquant’anni di chiusura. I lavori di restauro e di consolidamento, iniziati alla fine degli anni Settanta e curati dalla Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Napoli e provincia, hanno restituito alla città uno spazio espositivo all’interno del percorso di via Duomo. L’edificio così recuperato ha acquistato in maniera progressiva un posto nell’asset delle attività culturali promosse dal Comune nel nucleo antico del centro storico, proprio negli anni in cui si avviava la rinascita della vocazione turistica di Napoli.
Oggi è una delle cinque sedi che il Comune di Napoli mette a servizio della città per sale espositive e spazi per meeting, insieme al Palazzo Arti Napoli (Pan), Castel dell’Ovo, la sala Gemito al secondo piano della galleria Principe di Napoli e la sala Campanella a piazza del Gesù.
Bibliografia
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Da Palazzo Como a Museo Filangieri. Storia, tutela e restauro di una residenza del Rinascimento a Napoli, a cura di A. Ghisetti Giavarina, F. Mangone, A. Pane, Grimaldi & C., Napoli 2019
Foto di Mario Ferrara
Progetto: ARCCA - ARchitettura della Conoscenza CAmpana - ECOSISTEMA DIGITALE PER LA CULTURA