Pop, rock e oltre

Dall’influenza della musica angloamericana nel dopoguerra al meticciato sonoro contemporaneo, sia quello mainstream che quello sommerso e marginale che nasce dalle periferie mescolando identità locali con le musiche dal mondo

In principio fu Renato Carosone, che resuscitò la melodia napoletana aggiungendovi un sound internazionale e l'ironia a stemperare il melodramma. Poi vennero Di Capri, il neapolitan Power, Daniele e i neri a metà, i Bennato, i cantautori veraci e la Vesuwave, le posse e i collettivi meticci, i rapper e i trapper di Scampia. Napoli incontra il rock, il rap, il jazz, il blues, la trap, il reggae, il funky e, soprattutto, sé stessa

null Clementino

Clementino

(Avellino, 21 dicembre 1982)
Sul contingente del rap newpolitano Clemente Maccaro (così all'anagrafe) ha sempre avuto le idee chiare: «Ci salva l’ironia e il dialetto, non fingiamo di essere i Cypress Hill o i Wu-Tang Clan, la nostra black music è quella di James Senese e Pino Daniele. Mettiamo magliette di Maradona o San Gennaro, non certo dei Chicago Bulls».

Courtesy Federico Vacalebre

All’italiano Clementino alterna il dialetto («come rinunciarci con tutte quelle tronche?»), e di Napoli rappa spesso e volentieri, riconoscendo l’importanza delle radici, come delle ali che gli ha messo l’hip hop, fin dal tempo in cui è stato eletto re del free style. Incoronato «Rapstar» da Fabri Fibra, gioca con le sue due facce: Black Pulcinella è uno spararime verace, Iena White latra e qualche volta morde anche. In ogni caso, sa da dove viene, mentre deve ancora decidere dove vuole andare: «Siamo nipotini di Carosone, figli del Nero a Metà e del neapolitan power».

Carisma da vendere, le prove attoriali a cinema e in teatro a rafforzare la tenuta scenica, gioca con il dissing ma stempera tutto nell’ironia, moltiplica i «featuring» ma brilla negli assolo old school o nei duetti con il «fratellino» Rocco Hunt: «L’hip hop mi ha salvato, sono un ragazzo cresciuto a Cimitile, nella provincia in cui non c’è niente, chissà che fine avrei potuto fare. Nel non luogo in cui oggi cerco di essere un punto di riferimento il rap mi ha permesso di diventare qualcuno, invece di essere uno dei tanti nessuno. Sono stato in gara a Sanremo, ho viaggiato, mi sono esibito a New York, ho fatto il conduttore del Primo maggio. Ma preferisco avere duemila persone sotto il palco per una lunga carriera che due milioni di follower sotto un post e basta. Fare rap vuol dire dare parola alle tue gioie e ai tuoi dolori, con ironia, con rabbia, con sentimento».

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