Pop, rock e oltre

Dall’influenza della musica angloamericana nel dopoguerra al meticciato sonoro contemporaneo, sia quello mainstream che quello sommerso e marginale che nasce dalle periferie mescolando identità locali con le musiche dal mondo

In principio fu Renato Carosone, che resuscitò la melodia napoletana aggiungendovi un sound internazionale e l'ironia a stemperare il melodramma. Poi vennero Di Capri, il neapolitan Power, Daniele e i neri a metà, i Bennato, i cantautori veraci e la Vesuwave, le posse e i collettivi meticci, i rapper e i trapper di Scampia. Napoli incontra il rock, il rap, il jazz, il blues, la trap, il reggae, il funky e, soprattutto, sé stessa

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James Senese

(Napoli, 6 gennaio 1945)
A 74 anni suonati - è il caso di dirlo - James Senese ha celebrato nel 2019 i suoi primi cinquant'anni di musica con una ripartenza, cambiando la formazione dei Napoli Centrale, la sua creatura del cuore.
James da Miano, il nero di Napoli, il «blackman» verace come un Mario Merola, usa il suo sassofono come un biglietto per un viaggio che parte dalla sua terra («Campagna», «Chi tene ‘o mare» con l’omaggio al «fratello» Pino Daniele) per inerpicarsi nelle terre del soul, del jazz rock, del funky, del r’n’b, di un protorap carnale che è preghiera di pancia. I tappeti elettronici nulla tolgono - anzi - alla tribalità del rito, Senese è il Fela Kuti partenopeo, come lui innesta sulla musica delle sue radici quella che ha imparato dai dischi, senza preoccuparsi troppo di distinguere James Brown dai Wheather Report, Miles Davis dal neapolitan power, Sergio Bruni da John Coltrane. 

Courtesy Federico Vacalebre

Figlio della guerra e di un soldato americano di pelle nera e sangue indiano, andato via da Napoli troppo presto perché lui lo conoscesse, Jamesiello, come lo chiamava la gente del suo quartiere di periferia da bambino, Gaetano all'anagrafe, ha trovato il «suo» suono, inimitabile, come quello di Gato Barbieri. Con gli Showmen e il «nero a metà» Mario Musella ha inventato il rhythm and blues all'italiana - Zucchero non ce ne voglia - poi con Pino Daniele ha cesellato la stagione del neapolitan power, dopo avergli mostrato la strada con il jazz rock verace dei Napoli Centrale, appunto.

I suoi ultimi brani, i suoi ultimi dischi sono domande inevase, spari nella notte, voglia di trovare un conforto spirituale al dolore quotidiano, singolo e collettivo. C’è una canzone che tutti gli chiedono e lui non vuole mai affrontare, «Tammurriata nera»: «Parla troppo della mia vita, della mia storia, e non nel modo in cui l’ho vissuta io», spiega, prima di soffiare nel suo sax il dolore di una «Campagna» che non c’è più, il blues di una «Malasorte», il lascito del più verace degli americani di Napoli, dei napoletani d’America.

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