Pop, rock e oltre

Dall’influenza della musica angloamericana nel dopoguerra al meticciato sonoro contemporaneo, sia quello mainstream che quello sommerso e marginale che nasce dalle periferie mescolando identità locali con le musiche dal mondo

In principio fu Renato Carosone, che resuscitò la melodia napoletana aggiungendovi un sound internazionale e l'ironia a stemperare il melodramma. Poi vennero Di Capri, il neapolitan Power, Daniele e i neri a metà, i Bennato, i cantautori veraci e la Vesuwave, le posse e i collettivi meticci, i rapper e i trapper di Scampia. Napoli incontra il rock, il rap, il jazz, il blues, la trap, il reggae, il funky e, soprattutto, sé stessa

null Tony Esposito

Tony Esposito

(Napoli, 16 luglio 1950)
La scuola percussionistica partenopea era iniziata, alla grande, con Gegè Di Giacomo, il fantasista carosoniano dei tamburi, e, passando per Tullio De Piscopo, arriva a Tony Esposito trovando nuovi colori: non più solo motore ritmico, non più solo accompagnamento, il percussionista diventa coprotagonista nella scansione dell’atmosfera di ogni singola composizione, costruisce su misura i propri strumenti e, quindi, il proprio suono, peraltro donandogli una definizione etnica tipica della cultura africana o sudamericana ben più di quella europea.

Courtesy Federico Vacalebre

Antonio Esposito da Chiaia, figlio di un barbiere di via Manzoni amante della musica classica, allievo dell’istituto d’arte, è una delle colonne portanti del neapolitan power, con e senza il supergruppo di Pino Daniele, prima e dopo il supergruppo di Pino Daniele, da cui esce per raccogliere il successo solista di «Kalimba de luna», che conquista anche una versione internazionale dei Booney M. e lo proietta in una dimensione che gli sarà poi difficile mantenere.
Ma è con lp come «Rosso napoletano», «Processione sul mare» e «Gente distratta» che, dalla metà degli anni Settanta in poi, marchia il suo sound, usando padelle e pentole e oggetti della quotidianità come percussioni, dando un tocco «glocal» al jazz rock ed alla fusion più verace.

Edoardo Bennato, Alan Sorrenti, Dalla, Francesco De Gregori, Vecchioni, Guccini... tra i tanti che si sono giovati del suo tocco, ma lui preferirebbe ricordare la militanza con Musica Nova e il Perigeo e gli incontri con Don Cherry, Paul Buckmaster, Don Moye, Gato Barbieri, Eumir Deodato, Brian Auger, Gilberto Gil, Billy Cobham, Naná Vasconcelos. E l’invenzione del tamborder che ha marchiato anche «Kalimba de luna», fondendo le percussioni africane con l’elettronica in un tamburo di frontiera.

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