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LA CASA ARMONICA
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null Carosone, l'Americano di Napoli

Carosone, l'Americano di Napoli

«Orgoglioso delle mie radici, creavo quelli che oggi, con maggiore coscienza e quindi minore naturalezza, si chiamano crossover sonori»

«Facendo l’americano aprivo la strada ai vari Peppino Di Capri, Showmen, Pino Daniele, Edoardo Bennato, Almamegretta, 99 Posse, ma, nello stesso tempo, continuavo la tradizione contaminatrice (sembra un paradosso, ma è così) della canzone partenopea», scrive Renato Carosone nella sua autobiografia, spiegando come avesse rinnovato la canzone partenopea, e quindi italiana, trovando il minino comun denominatore tra il pianoforte di Fats Waller e i mandolini dell’orchestra Anepeta.

«Orgoglioso delle mie radici, creavo quelli che oggi, con maggiore coscienza e quindi minore naturalezza, si chiamano crossover sonori», continuava l’uomo di «Tu vuo’ fa’ l’americano»: «Ero un contaminatore che non sapeva niente di villaggio globale o di McLuhan, ma sapeva di dover fare i conti con i codici del consumo di massa, anche su scala internazionale. I miei cocktail, i miei minestroni musicali, quando trovavano terreni di confine da frequentare, pagavano in termini sia artistici sia commerciali, creavano incroci e non sterili ibridi, valorizzavano la specificità napoletana, abilitandola appunto anche al mercato internazionale.

Courtesy Federico Vacalebre

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'E spingule frangese

Curiose protagoniste del brano iconico della canzone napoletana sono le spille dette "francesi". Secondo alcuni, furono proprio i francesi a introdurle a Napoli nel ‘700, mentre, secondo un'altra interpretazione, il titolo prenderebbe spunto dal fatto che la spilla da balia a Napoli si chiama spingula 'e nutriccia, francesismo di "nourrice" (ovvero balia, nutrice). In copertina: Autografo musicale della canzone ’E spingule frangese, musicata da Enrico De Leva (Fondazione Bideri)

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