Aurelio Fierro - Sona
Canzone Napoletana
Canzone classica napoletana, un bene emozionale dell’umanità che dalla fine del XIX secolo racconta con diverse forme vocali luci, ombre, storie e costumi di una città nata dal canto sofferto della sirena Partenope
Dalla fine dell’800 testo e melodia si fondono per creare un genere inimitabile di musica vocale: la canzone napoletana cosiddetta classica. Un repertorio che mescola matrici sonore locali con quelle europee e d’oltreoceano per raccontare la storia sociale, politica e di costume di Napoli, una città cantante che dalla sua fondazione ha fatto del canto il principale strumento di comunicazione
Aurelio Fierro
(Montella, 13 settembre 1923 – Napoli, 11 marzo 2005)
«Cafone ‘e fora», il recordman di vittorie al Festival di Napoli era irpino di Montella, terra di castagne. Mandato a Napoli a studiare ingegneria, Aurelio Fierro fu folgorato sulla strada della melodia napoletana. «Il mondo avrà un cantante in più e un ingegnere in meno», annunziò alla madre. Che si disperò, ma poi benedisse la carriera del figlio, convinta dall’ascolto delle sue versioni di «I’ te vurria vasa’» e «Voce ‘e notte»: era bravo davvero, anche se il mondo dello spettacolo le faceva paura. Il ragazzo, però, aveva fede - in Dio e nel proprio avvenire artistico - e frequentava gli ambienti giusti: Pasquariello, Vittorio Parisi, Carlo Croccolo e Gigi Reder: «Scommisi con loro che mi sarei presentato a un concorso di voci nuove».
Courtesy Federico Vacalebre
Nel ‘54 trionfò alla Piedigrotta Bideri con «Scapricciatiello», canzone di giacca che vestì d’allegria e divenne suo cavallo di battaglia. Erede dello stile smargiasso del mitico Rubino, mister Scapricciatiello aveva imparato ad accompagnare la voce con i gesti, usava le mani e la mimica del volto per porgere i versi come gli chansonnier francesi, proponendosi come alternativa allo sfoggio d’ugola di Bruni e Villa. Nel ‘56 una telefonata di raccomandazione del ministro irpino Fiorentino Sullo gli valse il debutto al Festival di Napoli. Arrivò primo - e stavolta senza raccomandazioni - con “Guaglione”, divisa con Grazia Gresi, e secondo con “Suspiranno ‘na canzone”, in coppia con Giacomo Rondinella.
Un successo strepitoso, il brano di Nisa e Fanciulli divenne «Bambino» per Dalidà, fu ripreso da Carosone, tradotto in arabo da Lili Boniche. Nel ‘57 sfiorò la vittoria lanciando «Lazzarella» (Modugno-Pazzaglia), nel ‘58 tornò primo con Nunzio Gallo e «Vurria» (Pugliese-Rendine). Nel ‘59 rifiutò «Cerasella» («e me ne pentii»), nel ‘61 fece centro da cantautore («Tu si’ ‘a malincunia» divisa con Betty Curtis), nel ‘65 vinse con Tony Astarita e «Serenata all’acqua ‘e mare» (Cerbone-Rucco), il quinto alloro arrivò nel ‘69 con Mirna Doris e «Preghiera a ‘na mamma» (Russo-Mazzocco), nel ‘66 il secondo posto con Gaber e «’A pizza» restò nell’immaginario collettivo italiano.
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Le origini della canzone napoletana
Il mito della canzone napoletana si diffuse anche grazie alla circolazione di volantini illustrati, che riportavano i testi delle canzoni. Fogli volanti prima, e Copielle poi, venivano distribuiti a pagamento o in forma gratuita a tutta la popolazione per dare visibilità agli editori musicali del XIX secolo.