Nunzio Gallo - Sona
Canzone Napoletana
Canzone classica napoletana, un bene emozionale dell’umanità che dalla fine del XIX secolo racconta con diverse forme vocali luci, ombre, storie e costumi di una città nata dal canto sofferto della sirena Partenope
Dalla fine dell’800 testo e melodia si fondono per creare un genere inimitabile di musica vocale: la canzone napoletana cosiddetta classica. Un repertorio che mescola matrici sonore locali con quelle europee e d’oltreoceano per raccontare la storia sociale, politica e di costume di Napoli, una città cantante che dalla sua fondazione ha fatto del canto il principale strumento di comunicazione
Nunzio Gallo
(Napoli, 25 marzo 1928–Telese Terme, 22 febbraio 2008)
Prima tenore poi baritono, ma dai suggestivi timbri popolari, Nunzio Galllo fu scoperto per caso da Roberto Godono, che convinse suo padre, che aveva una bottega di frutta e verdura alla Pignasecca, a fargli studiare canto. Godono, Nunzio Bari e il maestro Campanino formarono quella voce potente e duttile, già sfruttata in chiesa, dove il piccolo Nunzio era accompagnato al piano da Roberto De Simone.
Courtesy Federico Vacalebre
La sua carriera iniziò nel Dopoguerra, cantando per le truppe alleate, nel ‘48 arrivò secondo al concorso lirico nazionale della Rai, che gli fece proporre arie d’opera e melodie partenopee con l’orchestra Anepeta. La Scala gli concesse un provino, ma il sovrintendente Ghiringhelli lo bocciò: «Bella voce, ma come la sua ce ne sono tante». Gallo perseverò, cantò «Bohème» e «Il segreto di Susanna» di Wolf Ferrari al teatro Nuovo. Poi tra delusione, rabbia e necessità scoprì la rivista: con la Magnani in «Chi è di scena», nel 1950 nella versione teatrale di «Carosello napoletano». Aveva trovato la sua strada, quella della canzone napoletana, poco importa che alla Scala avessero cambiato idea. Ghiringhelli gli offrì un contratto per un tour a Londra e poi un lungo ingaggio: «Prenda una delle tante voci a sua disposizione», gli rispose.
Nel ‘57 vinse a Sanremo insieme con Claudio Villa («Corde della mia chitarra»), l’anno dopo al Festival di Napoli con «Vurrìa» di Pugliese-Rendine, abbinato all’amico Aurelio Fierro: nel ‘61 sbancò l’hit parade - oltre un milione di copie vendute - con «Sedici anni», da lui scritta con Marcello Zanfagna e Austin Forte, mentre al Giugno della Canzone napoletana vinse con «Credere», di cui era autore con De Crescenzo, Forlani e Forte. Nell’orchestra che lo accompagnava passò un giovane Francesco Guccini, Totò era suo fan.
Colpito dal successo di Celentano, decise di ritirarsi quando capì che il mondo e la canzone stavano cambiando. Ma restò fermo solo tre anni, poi tornò - attivo sino alla fine - tra concerti, teatro («Festa di Piedigrotta» e «Eden teatro» per la regia di De Simone) e cinema.
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Il mito della canzone napoletana si diffuse anche grazie alla circolazione di volantini illustrati, che riportavano i testi delle canzoni. Fogli volanti prima, e Copielle poi, venivano distribuiti a pagamento o in forma gratuita a tutta la popolazione per dare visibilità agli editori musicali del XIX secolo.